sabato 14 giugno 2003

REFERENDUM



Domenica 15 e lunedì 16 giugno 2003 si vota per i seguenti Referendum Popolari:

1) Abrogazione delle norme che stabiliscono limiti numerici ed esenzioni per l'applicazione dell'art.18 dello Statuto dei Lavoratori.

L’obiettivo del referendum è l’estensione del diritto al reintegro nel posto di lavoro per i dipendenti licenziati senza giusta causa. Tale diritto, infatti, non è attualmente previsto per i lavoratori delle aziende che occupano meno di 15 dipendenti. Per questi, infatti, la legge stabilisce in caso di licenziamento senza giusta causa solo un risarcimento di carattere economico.

Le ragioni del sì

Chi sostiene il 'sì' al referendum sull’articolo 18 sostiene che il reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa è un “diritto di civiltà” che, se vale per i lavoratori di aziende medio-grandi, deve valere anche per quelli delle piccole imprese. In sostanza i promotori vogliono porre fine a quella che viene considerata una “discriminazione” di alcuni lavoratori a vantaggio di altri e limitare anche nelle aziende di piccole dimensioni possibili decisioni arbitrarie dei datori di lavoro sui loro dipendenti. Alle maggiori tutele, secondo i favorevoli, corrispondono anche vantaggi di ordine economico: la non licenziabilità produce stabilità e investimento del singolo nel proprio posto di lavoro.

 

Le ragioni del no

Le piccole imprese – fa notare chi si è schierato per l’astensione, dunque perché non si raggiunga il quorum – sono realtà profondamente diverse dalle aziende medio-grandi, nelle quali è in vigore la norma del reintegro. Così tra i contrari al referendum ci sono sia quelli che vorrebbero rivedere il diritto al reintegro anche nelle imprese con più di 15 dipendenti (come la Confindustria) ma anche quelli (come i Ds) che pur difendendo le norme attuali considerano l’estensione dell’articolo 18 una “rigidità” che rischia di mettere in difficoltà il sistema delle imprese di piccole dimensioni. Per chi è contrario, l’articolo 18 esteso a tutti potrebbe avere effetti controproducenti: per esempio scoraggiare le aziende con meno di 15 dipendenti dal fare nuove assunzioni a tempo indeterminato. E dunque, in linea generale, penalizzare l’occupazione.

 

Le posizioni di partiti e sindacati

 

Sì: Rifondazione comunista, Verdi, Pdci, sinistra Ds, Cgil

Astensione: Cisl, Uil, Margherita, maggioranza Ds, Forza Italia, An, Lega, Udc, Confindustria

2)Abrogazione della servitù coattiva di elettrodotto

L’obiettivo del referendum è rendere più difficile e comunque più “garantito” il passaggio degli elettrodotti sul territorio. L'attuale normativa stabilisce che ogni proprietario è obbligato a dare passaggio sui suoi terreni alle condutture elettriche. Se il 15 giugno si raggiunge il quorum e vincono i 'sì', il cittadino e gli enti locali potranno opporsi e così accedere, con maggiore potere contrattuale, alla trattativa nei confronti delle società che trasportano energia elettrica.

Le ragioni del sì

I promotori sostengono che in questo modo si può frenare l'espansione delle decine di impianti che dopo la liberalizzazione promettono di moltiplicarsi sul territorio. Impianti che – dicono ancora i fautori del 'sì' – mettono a rischio la salute dei cittadini. L’obiettivo politico dichiarato è dunque, rendendo più difficile il passaggio degli elettrodotti, che si favorisca lo sviluppo di fonti di energia alternative.

Le ragioni del no

Tra gli argomenti di chi dice 'no' c'è la preoccupazione che il proliferare di opposizioni al passaggio di elettrodotti possa mettere a rischio la fornitura di energia elettrica di intere zone (quartieri di città, case isolate, paesi, industrie). Secondo i contrari al quesito, infatti, questo potenziale ricatto farebbe acquisire al proprietario del fondo attraversato dall'elettrodotto il potere di contrattare con l'azienda elettrica un risarcimento assai superiore ai prezzi di mercato, sia per il semplice passaggio che per l'eventuale acquisto della porzione di terreno interessata. E dunque, dicono i fautori del 'no' o dell'astensione, la vittoria del referendum si tradurrebbe in un aumento indiscriminato delle bollette elettriche.

Le posizioni dei partiti

: Rifondazione Comunista, Verdi, Pdci, minoranza Ds

Astensione: maggioranza Ds, Margherita, Forza Italia, An, Lega, Udc

Alcune considerazioni sull'istituto del Referendum.

L’articolo 75 della Costituzione (quarto comma) stabilisce che per la validità del referendum è necessario che vada a votare la metà più uno degli aventi diritto. La proposta referendaria è approvata se il "sì" raggiunge la metà più uno dei voti espressi. Nel caso di assoluta parità tra "sì" e "no", infatti, il referendum sarebbe respinto.

Con riferimento ai Referendum svoltisi dal 1997 in poi, detto "quorum" non è mai stato raggiunto e anche questa volta sembra che il rischio di non raggiungerlo ci sia, benché negli ultimi giorni almeno il quesito sull'art.18 sembra aver recuperato interesse.

Non sono stati forse troppi i referendum che si sono svolti nel nostro paese, tanto da aver svuotato di significato l'istituto stesso?

Nella storia della Repubblica c’è stato un referendum istituzionale, quello per la scelta tra Monarchia e Repubblica, uno approvativo, o "confermativo" , di legge costituzionale, quando i cittadini italiani sono stati chiamati ad esprimersi sulla riforma Costituzionale sul federalismo (7.10.2001), e numerosi referendum abrogativi di normative vigenti (le consultazioni sono state complessivamente 13 di cui molte comprendenti più referendum).

Il ricorso spregiudicato allo strumento del referendum non rivela tutta la sua inadeguatezza nel caso di materie complesse, come la riforma del sistema elettorale, il riordino della giustizia penale, la normativa di tutela dei diritti dei lavoratori, trovandosi l'elettore a rispondere a quesiti di carattere specialistico che richiederebbero competenze giuridiche e tecniche per poter rispondere con cognizione di causa?

E ritornando ai Referendum per i quali si voterà domani e lunedì non sembrano altrettanto valide sia le ragioni del si che quelle del no?

A ciò si deve aggiungere che in molte occasioni sia i sostenitori del SI che quelli del NO, non hanno speso una grande energia per sostenere le loro ragioni, anzi, nei fatti, se non proprio nella volontà, hanno boicottato la consultazione, mentre televisioni pubbliche e private – che sono, a detta di tutti, ormai il principale veicolo di informazione – dei referendum si è parlato al minimo, per non dire dei giornali.

Di conseguenza non sarà forse il caso di alzare almeno il numero dei sottoscrittori delle proposte di referendum abrogativo o consultivo in modo che le stesse si limitino ad argomenti in grado di coinvolgere larga parte dell'opinione pubblica?

Vi ricordate che una volta abbiamo anche votato per l'eliminazione del Ministero dell'Agricoltura, che peraltro il risultato fu favorevole all'abolizione dello stesso, e infatti ora abbiamo il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali.









2 commenti:

  1. Bella tirata, ma a votare va il 10% degli aventi diritti. Questo paese non ha quorum.

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  2. Comunque anche l'astensione è una manifestazione di volontà, o di insofferenza all'inflazione referendaria.
    Ma stanno già raccogliendo le firme per altri due referendum.
    E' ovvio che la legge sui referendum, va cambiata. O si elimina il quorum, e di conseguenza chi è contrario all'abrogazione di una normativa sarà invogliato a partecipare, sapendo che altrimenti c'è il rischio che la stessa venga abrogata, oppure si innalza il numero delle firme necessarie per proporlo. Se una proposta raccoglie già 3 milioni di firme anzichè 500.000, significa che c'è un interesse abbastanza ampio sull'argomento.

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sabato 14 giugno 2003

REFERENDUM



Domenica 15 e lunedì 16 giugno 2003 si vota per i seguenti Referendum Popolari:

1) Abrogazione delle norme che stabiliscono limiti numerici ed esenzioni per l'applicazione dell'art.18 dello Statuto dei Lavoratori.

L’obiettivo del referendum è l’estensione del diritto al reintegro nel posto di lavoro per i dipendenti licenziati senza giusta causa. Tale diritto, infatti, non è attualmente previsto per i lavoratori delle aziende che occupano meno di 15 dipendenti. Per questi, infatti, la legge stabilisce in caso di licenziamento senza giusta causa solo un risarcimento di carattere economico.

Le ragioni del sì

Chi sostiene il 'sì' al referendum sull’articolo 18 sostiene che il reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa è un “diritto di civiltà” che, se vale per i lavoratori di aziende medio-grandi, deve valere anche per quelli delle piccole imprese. In sostanza i promotori vogliono porre fine a quella che viene considerata una “discriminazione” di alcuni lavoratori a vantaggio di altri e limitare anche nelle aziende di piccole dimensioni possibili decisioni arbitrarie dei datori di lavoro sui loro dipendenti. Alle maggiori tutele, secondo i favorevoli, corrispondono anche vantaggi di ordine economico: la non licenziabilità produce stabilità e investimento del singolo nel proprio posto di lavoro.

 

Le ragioni del no

Le piccole imprese – fa notare chi si è schierato per l’astensione, dunque perché non si raggiunga il quorum – sono realtà profondamente diverse dalle aziende medio-grandi, nelle quali è in vigore la norma del reintegro. Così tra i contrari al referendum ci sono sia quelli che vorrebbero rivedere il diritto al reintegro anche nelle imprese con più di 15 dipendenti (come la Confindustria) ma anche quelli (come i Ds) che pur difendendo le norme attuali considerano l’estensione dell’articolo 18 una “rigidità” che rischia di mettere in difficoltà il sistema delle imprese di piccole dimensioni. Per chi è contrario, l’articolo 18 esteso a tutti potrebbe avere effetti controproducenti: per esempio scoraggiare le aziende con meno di 15 dipendenti dal fare nuove assunzioni a tempo indeterminato. E dunque, in linea generale, penalizzare l’occupazione.

 

Le posizioni di partiti e sindacati

 

Sì: Rifondazione comunista, Verdi, Pdci, sinistra Ds, Cgil

Astensione: Cisl, Uil, Margherita, maggioranza Ds, Forza Italia, An, Lega, Udc, Confindustria

2)Abrogazione della servitù coattiva di elettrodotto

L’obiettivo del referendum è rendere più difficile e comunque più “garantito” il passaggio degli elettrodotti sul territorio. L'attuale normativa stabilisce che ogni proprietario è obbligato a dare passaggio sui suoi terreni alle condutture elettriche. Se il 15 giugno si raggiunge il quorum e vincono i 'sì', il cittadino e gli enti locali potranno opporsi e così accedere, con maggiore potere contrattuale, alla trattativa nei confronti delle società che trasportano energia elettrica.

Le ragioni del sì

I promotori sostengono che in questo modo si può frenare l'espansione delle decine di impianti che dopo la liberalizzazione promettono di moltiplicarsi sul territorio. Impianti che – dicono ancora i fautori del 'sì' – mettono a rischio la salute dei cittadini. L’obiettivo politico dichiarato è dunque, rendendo più difficile il passaggio degli elettrodotti, che si favorisca lo sviluppo di fonti di energia alternative.

Le ragioni del no

Tra gli argomenti di chi dice 'no' c'è la preoccupazione che il proliferare di opposizioni al passaggio di elettrodotti possa mettere a rischio la fornitura di energia elettrica di intere zone (quartieri di città, case isolate, paesi, industrie). Secondo i contrari al quesito, infatti, questo potenziale ricatto farebbe acquisire al proprietario del fondo attraversato dall'elettrodotto il potere di contrattare con l'azienda elettrica un risarcimento assai superiore ai prezzi di mercato, sia per il semplice passaggio che per l'eventuale acquisto della porzione di terreno interessata. E dunque, dicono i fautori del 'no' o dell'astensione, la vittoria del referendum si tradurrebbe in un aumento indiscriminato delle bollette elettriche.

Le posizioni dei partiti

: Rifondazione Comunista, Verdi, Pdci, minoranza Ds

Astensione: maggioranza Ds, Margherita, Forza Italia, An, Lega, Udc

Alcune considerazioni sull'istituto del Referendum.

L’articolo 75 della Costituzione (quarto comma) stabilisce che per la validità del referendum è necessario che vada a votare la metà più uno degli aventi diritto. La proposta referendaria è approvata se il "sì" raggiunge la metà più uno dei voti espressi. Nel caso di assoluta parità tra "sì" e "no", infatti, il referendum sarebbe respinto.

Con riferimento ai Referendum svoltisi dal 1997 in poi, detto "quorum" non è mai stato raggiunto e anche questa volta sembra che il rischio di non raggiungerlo ci sia, benché negli ultimi giorni almeno il quesito sull'art.18 sembra aver recuperato interesse.

Non sono stati forse troppi i referendum che si sono svolti nel nostro paese, tanto da aver svuotato di significato l'istituto stesso?

Nella storia della Repubblica c’è stato un referendum istituzionale, quello per la scelta tra Monarchia e Repubblica, uno approvativo, o "confermativo" , di legge costituzionale, quando i cittadini italiani sono stati chiamati ad esprimersi sulla riforma Costituzionale sul federalismo (7.10.2001), e numerosi referendum abrogativi di normative vigenti (le consultazioni sono state complessivamente 13 di cui molte comprendenti più referendum).

Il ricorso spregiudicato allo strumento del referendum non rivela tutta la sua inadeguatezza nel caso di materie complesse, come la riforma del sistema elettorale, il riordino della giustizia penale, la normativa di tutela dei diritti dei lavoratori, trovandosi l'elettore a rispondere a quesiti di carattere specialistico che richiederebbero competenze giuridiche e tecniche per poter rispondere con cognizione di causa?

E ritornando ai Referendum per i quali si voterà domani e lunedì non sembrano altrettanto valide sia le ragioni del si che quelle del no?

A ciò si deve aggiungere che in molte occasioni sia i sostenitori del SI che quelli del NO, non hanno speso una grande energia per sostenere le loro ragioni, anzi, nei fatti, se non proprio nella volontà, hanno boicottato la consultazione, mentre televisioni pubbliche e private – che sono, a detta di tutti, ormai il principale veicolo di informazione – dei referendum si è parlato al minimo, per non dire dei giornali.

Di conseguenza non sarà forse il caso di alzare almeno il numero dei sottoscrittori delle proposte di referendum abrogativo o consultivo in modo che le stesse si limitino ad argomenti in grado di coinvolgere larga parte dell'opinione pubblica?

Vi ricordate che una volta abbiamo anche votato per l'eliminazione del Ministero dell'Agricoltura, che peraltro il risultato fu favorevole all'abolizione dello stesso, e infatti ora abbiamo il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali.









2 commenti:

  1. Bella tirata, ma a votare va il 10% degli aventi diritti. Questo paese non ha quorum.

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  2. Comunque anche l'astensione è una manifestazione di volontà, o di insofferenza all'inflazione referendaria.
    Ma stanno già raccogliendo le firme per altri due referendum.
    E' ovvio che la legge sui referendum, va cambiata. O si elimina il quorum, e di conseguenza chi è contrario all'abrogazione di una normativa sarà invogliato a partecipare, sapendo che altrimenti c'è il rischio che la stessa venga abrogata, oppure si innalza il numero delle firme necessarie per proporlo. Se una proposta raccoglie già 3 milioni di firme anzichè 500.000, significa che c'è un interesse abbastanza ampio sull'argomento.

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