lunedì 31 dicembre 2012
lunedì 10 dicembre 2012
Meritocrazia
Ho deciso di utilizzare questo blog anche per riportare articoli da quotidiani e riviste che mi sembrano interessanti al fine di capire dove vanno l'Italia, l'Europa e il mondo, dal punto di vista politico, sociale e culturale.
Comincio con questo articolo:
“«Meritocrazia valore di destra» L’idea che la sinistra deve rottamare” di ROGER ABRAVANEL dal Corriere della Sera del 9 dicembre 2012 (ripreso dal blog "Il Quinto Stato")
Una settimana fa Pier Luigi Bersani ha vinto le primarie del centrosinistra. I suoi elettori dicono che ha fatto riscoprire la meritocrazia nella politica con le primarie del centrosinistra dopo che per anni si è assistito al proliferare di candidati scelti dai partiti (quando non personalmente dal padre padrone) unicamente sulla base della fedeltà invece che sul merito individuale. Adesso il suo compito è di creare una nuova sinistra per cercare di vincere le elezioni e governare con successo.
Creare una nuova sinistra non richiede solo di «rottamare» alcuni dei politici come vorrebbero in molti, ma anche alcune vecchie idee. La prima, e forse la più importante, è stata la risposta data al moderatore del dibattito di Sky tra i contendenti alle primarie che chiedeva a Bersani se fosse «in favore di più meritocrazia». Al che il segretario del Partito democratico ha risposto «va bene più meritocrazia, ma anche più eguaglianza». Il che sottintende che la competizione va bene per i vertici della politica e della economia, ma se estesa alle masse dei lavoratori e degli studenti può portare, per esempio, a licenziamenti di massa e alla perdita del «diritto allo studio». Ne deriva che l’unico modo efficace per ridurre la diseguaglianza è quello di ridistribuire la ricchezza dai ricchi ai poveri.
Nulla di nuovo. Per la sinistra italiana la meritocrazia resta un valore «di destra» e l’egalitarismo continua a restare il principio fondante, contrariamente alle sinistre nordeuropee che da più di vent’anni lo hanno fatto evolvere nella ricerca delle pari opportunità. L’idea era semplice: se uno va avanti solo se è bravo e non perché è furbo o raccomandato da qualcuno che gli deve un favore, la mobilità sociale aumenta perché anche un povero meritevole può salire sull’«ascensore sociale».
Questo sistema di valori è in realtà pienamente accettato dalla sinistra italiana che ha lottato negli ultimi anni molto di più della destra contro i privilegi anticoncorrenza e il non rispetto delle regole. Eppure resta sospettosa quando l’idea della competizione spinta viene estesa dall’élite alle masse. Questo avviene per due motivi. Primo, «il bisogno»: il lavoratore che fa male il proprio lavoro meriterebbe di essere licenziato ma «ha bisogno» del posto di lavoro (per mantenere una moglie che non lavora e i figli precari); e quindi resta l’articolo 18. Secondo: il «diritto acquisito»: il precario della scuola ha acquisito il diritto al posto fisso e quindi è giusto opporsi al primo concorso dopo 10 anni che lo mette in competizione con la nuova generazione di insegnanti. È ovvio perché questi due motivi valgono solo per le masse e non per il top: Matteo Renzi e Pier Luigi Bersani non hanno né il «bisogno» né il «diritto» di diventare presidenti del Consiglio e quindi si accetta una competizione accanita. Ma non si accetta per milioni di lavoratori e studenti. E neanche Matteo Renzi, che pure ha preso posizioni coraggiose e anche controproducenti su pensioni e politica estera ha osato esprimersi chiaramente a favore di una meritocrazia più diffusa su temi come il lavoro e la scuola: ha dichiarato di voler adattare il giusto modello della flexsecurity di Pietro Ichino (quasi scomunicato dal Partito democratico) ma non ha parlato della meritocrazia individuale e, relativamente alla scuola, ci si sarebbe aspettata più enfasi nel sostenere l’esigenza di valutare gli insegnanti per migliorare la qualità dell’insegnamento dove è meno buona.
Il problema è che la sinistra italiana non si rende conto che rispettare i «bisogni» e i «diritti acquisiti» perpetua la spaventosa ineguaglianza della società italiana che abbiamo già descritto nelle pagine di questo quotidiano. Se non si può licenziare un lavoratore che lavora male (proteggendolo con ammortizzatori sociali orientati a reinserirlo rapidamente nel mondo del lavoro), aumenterà l’attuale apartheid tra 12 milioni di lavoratori di fatto inamovibili a livello individuale e 9 milioni licenziabili senza vincolo alcuno.
Se il «diritto allo studio» protegge insegnanti mediocri, ciò va a scapito degli studenti con meno mezzi per i quali la scuola è la unica vera chance di azzerare i privilegi della nascita; continuerà in Italia la discriminazione tra gli studenti del Nord che hanno scuole di livello europeo e quelli del sud che l’Ocse misura essere a livello dell’Uruguay e della Thailandia. Se la sinistra da un lato lotta giustamente contro la corruzione nella sanità, ma dall’altro protegge indiscriminatamente chi ci lavora, in alcune regioni del Centro Sud con sprechi assurdi, incompetenza e pessimo livello di servizio, l’ineguaglianza della qualità del servizio sanitario pubblico tra alcune regioni del Nord e altre del Centro Sud è destinata ad aumentare, in particolare adesso che non si può ricorrere più alla spesa pubblica.
La mancanza di meritocrazia ci ha resi più ineguali, nonostante la pretesa di essere una società basata sulla solidarietà. Ma è anche la principale causa della stagnazione economica degli ultimi 25 anni. L’apartheid del lavoro, oltre a essere ingiusto, ha distrutto la produttività, perché il precario bravo raramente riceve dalle imprese gli investimenti in formazione e in sviluppo professionale, che alla fine ci rimettono in produttività. E l’immettere ogni anno molto meno studenti eccellenti (un terzo) delle società nordeuropee con scuole capaci di seguire i più lenti ma anche di valorizzare i più bravi, non creerà la classe dirigente per fare ripartire l’economia del nuovo millennio.
Convincersi che la meritocrazia porta a più eguaglianza e conseguentemente «rottamare» tanti tabù della vecchia sinistra sarà essenziale a Pier Luigi Bersani per convincere gli elettori del Pd che hanno votato per Matteo Renzi a votare per lui alle prossime elezioni e a vincerle. Ma soprattutto sarà essenziale per governare un Paese fermo da 25 anni.
lunedì 5 novembre 2012
Twitter versus Facebook?
Sono
su Facebook nel novembre 2008 e salvo brevi periodi di disaffezione sono sempre
stata assidua.
Nell'ottobre
2010 mi sono iscritta anche a Twitter, ma all'inizio non l'ho frequentato
molto. Al primo impatto non mi è piaciuto. Tuttavia negli ultimi mesi mi sono
ricreduta e non posso più farne a meno. Sembra che la stessa cosa sia accaduta
a molti. All'inizio Twitter non piace, poi si diventa dipendenti, più che nei
confronti di altri social network.
E'
certo che riuscire a dire qualcosa di sensato in 140 caratteri non è semplice e
ovviamente ci vuole buona capacità di sintesi.
Ma
c'è addirittura chi sostiene che con tale mezzo non sia possibile esternare pensieri
complessi.
Tra questi Michele
Serra che a Twitter ha dedicato un' Amaca
di qualche mese fa affermando che il mezzo genera un linguaggio totalmente binario, o X o Y, o tesi o antitesi, in
sostanza uno scontro tra slogan eccitati e
frasette monche, concludendo che
Twitter gli fa proprio schifo.
Altri la pensano diversamente.
C'è chi sostiene che dipende dalle persone usare in un modo o
in un altro il mezzo cui non si può imputare nulla di per sé, opinione con la
quale concordo pienamente.
C'è addirittura chi tira in ballo i grandi, filosofi, letterati, scienziati, che, anche
in un passato molto remoto, si sono espressi spesso attraverso il pensiero
sintetico.
E chi
non ricorda alcune massime di grandi personaggi, anche se talvolta quelle
massime sono state estrapolate da un contesto molto più articolato e complesso?
Insomma Eraclito,Marziale, Pascal, Wilde, Wittgenstein, e via elencando, avrebbero usato ottimamente Twitter.
Infine
addirittura l'Accademia della Crusca promuove Twitter e afferma che il social
network è una buona palestra di sintesi.
Poi
c'è chi spiega le buone maniere su Twitter.
E
chi scrive un libro per spiegare ai giornalisti come utilizzarlo.
E ovviamente ci sono anche guide generali all'uso come questa.
E ovviamente ci sono anche guide generali all'uso come questa.
Diversi
scrittori, giornalisti, politici, opinionisti, hanno deciso di esserci e molti
di loro sono assidui, altri come Serra rifiutano il mezzo, tanto che qualcuno
ha rispolverato la contrapposizione tra apocalittici e integrati, dal titolo
del famoso saggio uscito una cinquantina di anni fa in cui Umberto Eco si
occupava del tema della cultura di massa e dei mezzi di comunicazione di massa
individuandovi
sia aspetti positivi che negativi. E oggi Eco con riferimento a Twitter si
potrebbe annoverare tra gli integrati.
Sempre
in difesa di Twitter, Riccardo Scandellari, titolare del blog Skande.com, dedicato
al marketing non convenzionale, ai social network, e a tutti i nuovi mezzi di comunicazione, nota da utilizzatore di Twitter di “lunga” data che
al contrario di Facebook i deliri di singoli utenti o le speculazioni sono più
sotto controllo e un buon numero di utenti vigilanti sono in ascolto, in modo
da tenere le informazioni errate (per quelle inutili ci attrezzeremo) sotto
controllo e definisce l'amata piattaforma una sorta di intelligenza collettiva autoregolata e difficilmente
influenzabile che generi anticorpi contro le informazioni false e tendenziose.
E
qui veniamo al contrasto tra Twitter e Facebook.
Mi
sembra che chi ama l'uno non sopporti l'altro, un po' come accade tra gattofili
e cinofili, perché chi ama i gatti
difficilmente ama anche i cani allo stesso modo e viceversa. Ma soprattutto noto un certo snobismo da parte degli
utenti di Twitter nei confronti di quelli di Facebook, anche se sono in molti ad avere l'account
su entrambi.
Vittorio
Sgarbi su Twitter invita i cretini a stare su Facebook, ma vedo che, tra una
nota d'arte e l'altra, insulta e riceve insulti a raffica con utilizzo di un
fraseggio che non so quanto abbia a vedere con l'intelligenza. Ci sono anche
tweet sul rimorchio e le corna (altrui).
Ma
non è il solo a considerarsi più intelligente perché sta su Twitter.
Sud
Sound System, tanto per citarne uno, ha scritto che "Facebook è un secchio
mentre Twitter è un torrente". Mah!
E
poi si sa che le osservazioni sull'intelligenza altrui ci sono sempre state e hanno
preso e prendono a pretesto qualsiasi cosa.
Ho
trovato persino un articolo in cui si riporta uno studio per il quale coloro che utilizzano
i browser Chrome e Firefox sarebbero più intelligenti di quelli che usano Explorer, relegando tra i più sfigati quelli che utilizzano
Explorer 6. Sicuramente questi ultimi sono meno attenti all'utilizzo
dell'informatica, ma l'intelligenza credo c'entri il giusto.
Del
resto sono stati anche fatti studi (e mi piacerebbe sapere chi li finanzia) per
arrivare alla conclusione che sono più intelligenti, di volta in volta, i più
alti, i fratelli maggiori, i figli unici, i mancini, gli uomini, le donne e via
elencando.
Per
quanto mi riguarda, uso entrambi i social network che, a mio parere, rispondono
ad esigenze diverse.
Credo
che il segreto di Twitter stia nel fatto che lo si può modellare secondo le
proprie esigenze. C'è chi lo utilizza come fonte di notizie, per divertimento,
per lavoro, ecc.
Su
Twitter non si va tanto per scambiare opinioni, anche se comunque è possibile
farlo, quanto piuttosto per lasciare i
propri tweet e leggere quelli altrui, che forse leggeranno i nostri, e magari
li "ritwitteranno", e noi i loro, sperando ciascuno di noi di aumentare il numero dei follower e delle citazioni.
Ma su Twitter si cercano anche notizie sugli argomenti che ci interessano, e magari si ottengono in diretta, non solo seguendo i singoli giornalisti, opinionisti, politici e quant'altro, ma anche perché qualcuno dei nostri following, anche un comune mortale, si trova per caso sul teatro di un evento importante.
E poi su Twitter si commentano in diretta i talkshow e altri programmi televisivi, così che ormai non ci si può più neanche sbracare sul divano a guardarsi un programma in pace, perché siamo obbligati a interagire!
E poi su Twitter si commentano in diretta i talkshow e altri programmi televisivi, così che ormai non ci si può più neanche sbracare sul divano a guardarsi un programma in pace, perché siamo obbligati a interagire!
Da
un certo punto di vista Twitter è più divertente di Facebook e si presta maggiormente
all'ironia. Sicuramente è anche più narcisistico e meno "social".
Ovviamente per farsi leggere in 140 caratteri occorre essere lapidari e ironici. Non tutti ci riescono o almeno non sempre.
Ovviamente per farsi leggere in 140 caratteri occorre essere lapidari e ironici. Non tutti ci riescono o almeno non sempre.
Inoltre
se su Facebook si appare generalmente con il proprio nome e cognome e del resto
non avrebbe senso se non ci si mette la propria faccia, su Twitter è più
frequente usare nick di fantasia (fake). Così abbiamo Dio, Gesù, il Diavolo, il Triste
Mietitore, La Sfiga, e poi personaggi famosi, anche del passato, come Dante
Alighieri.
Ogni
utente può inserire una bio (biografia) rigorosamente in 140 caratteri e questa
è una difficoltà notevole da superare. Ovviamente si può anche non mettere la
bio, ma se vogliamo farci leggere è meglio inserirne una accattivante. C'è
anche chi insegna come farla.
La
bio di Dio è la seguente: Il Signore Iddio
Onnipotente, fondatore e CEO dell'Universo, noto anche come Massimo Fattore.
Entra sempre nel bagno delle donne, perché c'è scritto Signore. Dio ha
anche un blog. Ha vinto il premio di miglior "fake" nell'edizione 2012 dei "Tweet Award" e in una recente intervista spiega perché ha scelto Twitter.
Ed
ecco la bio del Triste Mietitore: Il mio
mestiere è deprimente. Lavoro dalla notte dei tempi e non andrò in pensione.
Sono il Tristo Mietitore depresso. Sono la Morte. E
questo è il suo blog. Tra i Tweet Award diciamo che è arrivato secondo tra i "fake".
Di
Gesù poi ce ne sono diversi. Ecco
alcune delle loro bio:
1)
Sono il re dei raccomandati, il più
grande figlio-di-papà della Storia, e vi amo anche se non ve lo meritate!
!PorcaMamma Nell'alto dei Cieli
2)
Io sono colui che cercherà di salvarvi...
invano.
Gerusalemme (pendolare)
3)
l'uomo il cui compleanno è noto per
essere il più famoso della storia senza festeggiato. Sceso sulla Terra a diffondere
il Complemento Oggetto
Questa invece è la bio del Diavolo Ψ (ma sicuramente non è l'unico diavolo e non ho
ancora fatto una ricerca sugli altri nomi con i quali è conosciuto)
Signore indiscusso delle pentole. Da
poco iscritto al corso De Agostini Coperchi&Coperchi. Preferirete l'Inferno
anche per il clima; Ho i climatizzatori ora!
E
questa, della Sfiga:
E' vero, vi vedo benissimo. Io sono
quello che vi fa incontrare il 94enne col cappello che guida ai 30 all'ora solo
quando avete fretta
E infine
quella di Dante Alighieri:
Nel mezzo del mio esilio in Paradiso |
m'avvidi che l'italico bordello | facea ai connazional perder 'l sorriso
Per
il sommo poeta mi sarei aspettata di meglio, ma qualche suo tweet è veramente
carino come questo su Marchionne che ha offeso Firenze:
e' notte di risate, e' notte insonne /
Firenze tutta Civitate ride / udendo le stronzate d'un #Marchionne
Personalmente
su Twitter mi sento più sciolta, forse perché pochi tra i miei follower mi
conoscono nella vita reale, mentre diversi degli amici di Facebook sanno almeno
chi sono e alcuni mi conoscono personalmente.
Devo
dire che sono iscritta anche a Volunia, che avrebbe dovuto essere un incrocio tra motore di ricerca e socialnetwork, ma non mi pare abbia decollato e comunque al momento non mi interessa, forse più
avanti.
E
ora c'è anche Universe, ma sarà meglio lasciar perdere.
Mi sono iscritta invece a Overblog, la piattaforma francese
che recentemente ha introdotto una nuova forma di blog in cui gli aggiornamenti di
stato dei diversi social network diventano i post di un unico blog. Così ho creato il Blog "Diario di Bordo",
sul quale non scrivo niente di nuovo, perché di blog ne ho già due e mi
sembrano sufficienti, però lo utilizzo per ricucire i frammenti personali che
altrimenti risulterebbero dispersi nei vari socialnetwork, compresi anche You Tube
e Instagram.
Che non si fa per esserci! Qualche volta penso di dovermi disintossicare.
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martedì 9 ottobre 2012
Riconoscersi nei personaggi di Fabio Volo
Incuriosita dal discredito quasi unanime che Fabio Volo riceve sui social network, nonostante il notevole successo di pubblico, ho deciso di leggere uno dei suoi romanzi.
Ne ho sfogliati alcuni in libreria. Stavo quasi per acquistare "E' una vita che ti aspetto" soprattutto perché mi ero riconosciuta nelle parole che il protagonista rivolge all'amico medico entrando nel suo ambulatorio qualche giorno dopo aver fatto delle analisi: "Cos’è, una malattia grave? Inguaribile? Insomma, che cos’ho? Dimmelo, non tenermi nascosto niente. Devo fare una TAC?".
Ciò a prescindere dal fatto che io ormai non vado quasi più dal medico perché la mia ipocondria si è trasformata in patofobia ed evito come la peste anche le analisi. Poi, non so nemmeno perché, la mia scelta è caduta invece su "Il giorno in più".
Il protagonista è un trentenne, Giacomo, che vive giornate sempre uguali, attraversa la vita rimanendo sempre in superficie, finché non fa un incontro casuale con una sconosciuta e, per la prima volta, decide di assumersi un rischio, anche quello di apparire ridicolo, e parte all'inseguimento di un sogno che alla fine sarà coronato da successo.
Ho l'impressione comunque che i romanzi di Volo si somiglino un po' tutti e che abbiano sempre per protagonisti personaggi irrisolti poco più che trentenni che ad un certo punto trovano il coraggio di vivere la propria vita e di fare delle scelte.
Certo profondità non ce n'è e anche lo stile lascia a desiderare, soprattutto se, come è successo a me, si passa a Volo subito dopo Haruki Murakami di cui ho da poco finito di leggere la prima parte di 1Q84.
Credo che i romanzi di Volo si possano mettere sullo stesso piano di quelli della Sveva Casati Modignani o della Kinsella, insomma una declinazione moderna del romanzo rosa.
Ad ogni modo considerato che nel mio presente c'è una situazione di empasse mi sono sentita in sintonia con il personaggio di Giacomo.
Mi riconosco in lui quando dice "Questo è sempre stato il mio pensiero sulle donne: ho sempre creduto che se stavo con una avrei perso tutte le altre. Sono stato così in tutto. Nello sport, per esempio,ho fatto karatè, ping-pong, calcio, basket. Non mi sono mai focalizzato su un'attività sola. Ho scavato sempre mille buche, forse per questo non ho mai trovato niente."
Devo ammettere che anch'io avevo questa sensazione di perdita ogniqualvolta iniziavo una storia con un uomo e che anch'io non riesco a focalizzarmi su una sola attività e mi disperdo in mille rivoli, aiutata in ciò anche dalla navigazione in internet e dai social network.
E mi trovo in sintonia anche con altre osservazioni come quelle sotto riportate:
"Sin da piccolo, mi ero sempre sentito come uno che va a una festa a cui non era stato invitato"
"La verità è che non ho paura di morire, ma mi scoccia da matti. Mi scoccia che un giorno non ci sarò più. Mi dispiace andarmene da qui. Ma non è paura, è semplicemente fastidio. Morire è una vera stronzata. Darei la vita per non morire."
Banalità che comunque fanno parte della vita e con le quali ci confrontiamo ogni giorno e che causano angoscia, paura, dolore.
Del resto, come ricordavo in uno dei miei precedenti post, lo psichiatra e romanziere Irvin D. Yalom sostiene che i quattro fattori che causano il dolore nell'umana esistenza sono il timore di fallire nelle relazioni umane e quindi di restare soli, l’inevitabilità della morte, la libertà di scegliere e la responsabilità che ne deriva, la consapevolezza della mancanza di significato della vita.
Poi se ne può parlare in maniera più o meno elevata e scriverci intorno storie più complesse e profonde come fanno Yalom e Murakami, o più semplici come Volo.
Il romanzo è piaciuto anche a mia madre che ha detto che Giacomo mi somiglia molto.
Non so se preoccuparmi considerato che, purtroppo per me, i trent'anni sono ormai un ricordo sbiadito!
venerdì 31 agosto 2012
Single più liberi ma più angosciati?
E'
proprio vero che i single sono più liberi ma angosciati?
Così
la pensa il neuropsichiatra Boris Cyrulnik citato in questo articolo il quale
afferma che“l’ansia è il prezzo da pagare
per la libertà”.
L'articolo
peraltro mi pare un po' confuso. Si parte infatti ponendo l'accento sul
cammino della donna che ha conquistato la libertà, ma con essa anche la
solitudine e l'ansia che ne consegue.
Poi però il discorso si fa più generale. E mi pare ovvio. Eventualmente si può dire che un tempo alla
donna non era dato scegliere e pertanto o si sposava o restava nella famiglia
d'origine. Così difficilmente
sperimentava la solitudine, ma non per questo le era risparmiata l'angoscia,
anzi.
Credo
tuttavia che l'angoscia sia connaturata all'animo umano e principalmente connessa alla paura della
malattia, della vecchiaia, della morte, più che della solitudine, e che
ovviamente riguardi entrambi i generi.
E' ovvio che si riduca nel momento in cui si
vive una relazione affettiva soddisfacente, anche perché quella relazione per
un po' di tempo ci distoglie dai pensieri
cupi. Al contrario se la
relazione non è soddisfacente ci si sente ancora più soli e angosciati.
Poi
mi domando anche perché debba esserci contrapposizione tra libertà che
comporterebbe ansia e stabilità affettiva che ci renderebbe più sereni. Anzi credo che in un rapporto veramente soddisfacente debbano
rimanere spazi di libertà per entrambi i partner, altrimenti si tratta di un
rapporto malato, che si trasforma presto in una gabbia soffocante dalla quale
la fuga è l'unica soluzione per non ripiombare nell'angoscia.
martedì 28 agosto 2012
Se la tua casa andasse a fuoco cosa porteresti con te prima di scappare?
Il fotografo Foster Huntington ha realizzato un
blog che si intitola appunto
" TheBurning House" (la casa che brucia) e che raccoglie le fotografie delle cose che porterebbero
con sé le persone che hanno risposto alla domanda.
E questo è uno degli articoli che ne parlano, ma anche la versione cartacea del Corriere della Sera del 25 agosto ha dedicato due pagine alla notizia.
Fatti i debiti scongiuri, ecco la
mia lista:
Ciri, il mio gatto
La mia borsa nella quale c'è
sempre quasi tutto l'essenziale (documenti, soldi, carte di credito, cellulare, agenda, penna, sigarette, portatrucco)
L'ultimo libro che sto leggendo
Un blocco per appunti
Il computer portatile
Il disco portatile
La video camera
Il lettore di e-book
Un paio di jeans e una maglietta,
un giacchetto di jeans e uno simil-militare
Gli orecchini a forma di gatto
L'orologio Avatar
Qualche vecchia foto
E voi cosa vi portereste?
giovedì 23 agosto 2012
Cinquanta sfumature di grigio - Un successo preoccupante
Oggi a pranzo, al tavolo accanto
al mio, si discuteva animatamente di un libro. Dal contesto del discorso
presumo si trattasse di "Cinquanta sfumature di grigio", o di nero o
di rosso. Non ne parlavano bene, ma il
discorso era molto animato.
In serata mi sono fermata in una
libreria. Nel giro di cinque minuti sono entrate in due a comprare le
"cinquanta sfumature".
Ora mi pare preoccupante il
successo di un libro in cui la protagonista accetta di diventare schiava di un
uomo fino a sottoporsi a violenze fisiche.
Poiché non ho letto il libro non posso
valutare se regga il confronto con illustri precedenti, quali "Justine"
di De Sade, il fumetto "Valentina" di Guido Crepax, "Histoire
d'O" dell'autrice francese
Dominique Aury o magari anche "Venere in pelliccia " di Sacher-Masoch
in cui lo schiavo è invece il protagonista maschile. Quel che è certo è che
l'autrice, tale E.L. James, pseudonimo di
Erika Leonard, mai sentita prima, deve avere fatto un bel po' di soldi.
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Von Sacher-Masoch
lunedì 20 agosto 2012
L'amore dopo i 50 anni
Già
ero abbastanza di umor nero, nonostante il Serene iperico extra, integratore
alimentare a base di biancospino, passiflora, valeriana, escolzia e
naturalmente iperico, e cosa cattura stamani la mia attenzione sulla prima
pagina del Corriere della Sera? No, non la crisi di cui peraltro Monti, al
meeting di Comunione e Liberazione ha dichiarato di vedere la fine (considerata
la sede, ha visto forse la Madonna?); no, l’articolo che mi ha fatto sobbalzare
è quello in basso dal titolo: “Ho 58anni, troppo vecchio per l’amore” a firma di Paolo Conti.
Una
mazzata! Proprio ora che volevo innamorarmi non essendoci riuscita da giovane!
Certo
nel mio profondo lo so che è improbabile ma, si sa, la speranza è l’ultima a
morire!
Conti
dice che dura a morire è invece l’abitudine, quella di innamorarsi. E buon per lui, perché io questa
abitudine non l’ho mai acquisita. Dice di essersi innamorato più volte da
giovane “scoprendo poi, puntualmente, che si tratta sempre e comunque di un
confronto tra un futuro carnefice e una futura vittima.” Definisce l’amore
una trappola crudele nella quale una volta si sostiene ora un ruolo ora un
altro, e che va bene da giovani, dopo, solo l’ipotesi è pietosa, anzi ridicola.
Quindi
fa l'esempio dell'uomo che si innamora di una donna molto più giovane.
In
tal caso concordo con la sua opinione, così come nel caso in cui sia una donna
a innamorarsi di qualcuno dell'età di suo figlio o magari di suo nipote, cosa
più rara, ma capita pure quella. Si, in questi casi è ovvio che si scade nel
ridicolo, anche perché si sa per quale motivo la persona tanto più giovane
accetta il rapporto, che è solo uno scambio di bellezza e gioventù con soldi,
tanti. Avete mai visto una persona anziana non ricca, non importante, fare
coppia con una molto più giovane?
Mi
domando tuttavia se non sia possibile innamorarsi di un coetaneo/a e perché mai
la cosa dovrebbe essere pietosa, anzi ridicola. Certo i corpi non sono più
quelli di una volta, qualcosa sicuramente pende, anche se ci siamo tenuti bene
e non siamo obesi e neanche sovrappeso, ma considerarsi finiti a 50 anni è
troppo deprimente. Dunque dopo i 50 ci si dovrebbe chiudere in casa? A fare
cosa? Ad aspettare la fine? Magari oscurando gli specchi come fece la contessa
di Castiglione una volta compiuti i 30, ma si era nell’800 e allora le donne a
quell’età erano vecchie. E gli uomini poco dopo. Ricordo che nel Gattopardo il
principe di Salina a 46 anni si considerava un vecchio, e sentiva ormai vicina
la morte. Ma di acqua né è passata sotto i ponti. Per fortuna!
E
ancora, perché ci si dovrebbe considerare ridicoli se dopo i 50 facciamo ancora
sport? Quanto ai rischi per la salute ci sono anche prima di quell’età, per gli
sportivi della domenica, e non solo. Salvo l’agonismo che ovviamente è limitato
alla gioventù, tenersi in forma va bene, anzi è necessario a tutte le età,
purché l'attività fisica sia graduale e continuata, altrimenti non serve a
niente ed è pericolosa.
E
a parte l’amore e lo sport cos’altro è ridicolo alla nostra età? Il modo di
vestire? E’ certo che io “da vecchia” non mi ci vestirò mai e non mi pare di essere ridicola, ma se
qualcuno lo pensa problemi suoi.
In
sostanza credo che Conti faccia della confusione, perché probabilmente, come
molti uomini, non riesce a pensare di innamorarsi di una persona non più
giovane, ovvero di una coetanea, o comunque lo considera un ripiego, come si
può capire dalla conclusione dell’articolo. Infatti l’autore dice di poter al
massimo immaginare, come scrive Erri de Luca nel suo ultimo libro - I pesci non chiudono gli occhi -, che gli
capiti “un tempo finale in comune con una
donna, con la quale coincidere come fanno le rime, in fine di parola” concludendo
che nella maturità, se si ha la fortuna di avere un matrimonio o un rapporto di
coppia ancora in piedi, allora è bene coltivarlo e non buttarlo via. Se si è
single, è molto salutare coltivare amicizie "generose". O seguire i
suggerimenti di Erri De Luca. O vivere da soli con se stessi al meglio.
Ma
cos'è l’amore? Esiste davvero "l'amore
che strappa i capelli"? Forse per qualcuno, forse nei romanzi.
A
mio parere l’amore è complicità, comunanza di sentire, lealtà, amicizia, rispetto
e ammirazione reciproca, e, certo, attrazione, un’alchimia difficile da realizzare
ma che non può prescindere dalla “coincidenza”,
altrimenti è solo attrazione fisica che può essere scambiata per passione ma
poi finisce nel niente, perché manca qualcosa che cementi il rapporto.
E
cosa sarebbero le amicizie “generose”?
Amicizie con le quali all'occorenza si può anche fare sesso? Credo che non
funzioni. Con gli amici, e nemmeno con i conoscenti di lunga data, può esserci
sesso. Nella maggioranza dei casi serve solo a far finire l’amicizia, a chiudere una lunga conoscenza e senza
neanche essersi divertiti granché. Quindi se si ha la sfortuna di essere single
a oltre 50 anni, si deve lasciare ogni speranza?
Certo
rispetto alla gioventù nell'età matura trovare un compagno/a è più difficile, perché
manca la possibilità di scegliere nel grande numero, ma non certo ridicolo. La
maggioranza dei coetanei è accoppiata o non cerca più forse proprio perché
crede che sia passato il tempo. Ma allora è passato anche il tempo di imparare,
di viaggiare, di godere dei piaceri, sia fisici che intellettuali? Ma se la
pensiamo così allora chiudiamoci in casa in attesa della fine o facciamo
domanda per l’ospizio o buttiamoci nel primo cassonetto.
Mi
piacerebbe sapere come la pensano i miei coetanei. Nell’attesa di saperlo leggerò
l’ultimo libro di De Luca.
giovedì 9 agosto 2012
Perché andiamo nello spazio
Lunedì scorso il rover curiosity ha raggiunto Marte e per due anni fornirà informazioni sul pianeta.
La missione è stata seguita con interesse in tutto il mondo, ma ha anche riacceso vecchie polemiche.
Molti si chiedono infatti perché spendiamo tanto per andare nello spazio quando ci sarebbero tanti problemi da risolvere sulla terra?
Una domanda simile fu posta anche nel 1970 all’allora direttore scientifico della NASA, Ernst Stuhlinger, da una suora attiva in Zambia. In questo articolo c'è la traduzione della risposta. Molto bella ma anche un po' retorica.
Secondo me la vera risposta è nell'articolo successivo: l'esplorazione è insita nella natura umana. Tutti ricordiamo i versi di Dante nel canto XXVI° dell'Inferno "fatti non foste a viver come bruti, ma per seguire virtute e conoscenza." In sostanza è ciò che si legge nel dialogo riportato nel secondo articolo e che è tratto da un episodio della serie televisiva americana "West Wing" ambientata nell'Ala Ovest della Casa Bianca (da cui il titolo) dove lavora il Presidente degli Stati Uniti d'America e il suo staff, e dove è ubicato il famoso Studio Ovale.
"Noi siamo usciti dalle caverne, abbiamo guardato oltre le colline, abbiamo conosciuto il fuoco, abbiamo attraversato l'oceano e abbiamo conquistato le terre dell'Ovest e ora vogliamo impadronirci del cielo. La storia dell'uomo è il diario delle sue esplorazioni."
C'è un po' di retorica americana con quel riferimento alla conquista dell'Ovest, ma il senso dell'affermazione è chiaro.
mercoledì 8 agosto 2012
Il problema Spinoza
Ho da poco finito di
leggere “Il problema Spinoza” di Irvin
D. Yalom, psichiatra, psicoterapeuta e romanziere statunitense, e devo dire che
era diverso tempo che non leggevo un romanzo che mi appassionasse dall'inizio
alla fine.
Durante
l'occupazione tedesca dell’Olanda l'intera biblioteca del filosofo di origine
ebraica Baruch Spinoza è requisita da
un'unità ai comandi di Alfred Rosenberg, fondatore e teorico del movimento nazista, condannato a morte al processo di
Norimberga: la scritta "Il problema
Spinoza" appare nel rapporto del nazista che la confiscò.
Prendendo
spunto da quest'episodio Yalom
costruisce il suo romanzo immaginando che il teorico nazista sia stato
ossessionato per tutta la vita dal filosofo ebreo del XVII° secolo.
L’espediente narrativo
fa incontrare a Rosenberg il filosofo ebreo all’epoca dei suoi studi quando, in conseguenza di alcune sue affermazioni violentemente antisemite, è costretto dal preside di
origine ebraiche Epstein a imparare a memoria alcuni passi dell’autobiografia
di Goethe nei quali l’autore del Faust, profondamente venerato dall'adolescente
quale massimo poeta tedesco e simbolo dell'anima germanica, si dichiara grande ammiratore
di Spinoza.
Ma anche se non c'è cura
per chi è ormai ossessionato dal razzismo, tuttavia da allora si insinua
nella mente di Rosenberg un tarlo: come può aver raggiunto tali sublimi altezze
un appartenente a una razza inferiore? E questo tarlo lo accompagnerà per tutta
la vita.
I capitoli si succedono
alternando la storia dell’uno e dell’altro personaggio, come due vite parallele,
e la trovata rende la narrazione più vivida anche se forse un po’ snervante,
perché si seguono le vicende di un personaggio fino a un punto critico e a quel
punto occorre calarsi nelle vicende dell’altro.
Rosenberg si arrovella
sul "problema Spinoza" cercandovi una soluzione che non troverà.
E' vero che Spinoza è un
ebreo sui generis, bandito dalla comunità ebraica di Amsterdam perché considera
l'ebraismo una forma di superstizione. Tuttavia allo stesso modo il filosofo rifiuta
qualsiasi altra religione in nome della ragione e della ricerca di Dio, che non
è fatto a immagine e somiglianza dell’uomo, ma che è tutt'uno con la natura. Il
filosofo è un precursore dell’illuminismo e nelle sue teorie politiche ci sono
già i germi del concetto di democrazia. Pertanto le teorie politiche di Spinoza
non potevano piacere a Rosenberg che forse però si riconosce nel rifiuto
delle religioni, anche se, a suo modo, anche il nazismo, di cui Rosenberg fu
fondatore e teorico, era una religione basata sul volk (popolo) e sul sangue
nonché sugli antichi miti nordici e come le religioni invadeva ogni aspetto della
vita dei singoli.
Ma a mio parere l'autore
unisce i protagonisti di queste vite parallele sulla base della reciproca
difficoltà a esternare i propri sentimenti, a sentirsi parte di un'umanità che
invece si limitano a osservare. Sia l’uno che l’altro vorrebbero amare ed
essere amati, ma non possono, anche se l'autore li mette entrambi in contatto
con due personaggi, di pura invenzione, con i quali riescono a mettere a nudo,
almeno in parte, il loro animo, uno psicanalista nel caso di Rosenberg, un
esponente della comunità ebraica nel caso di Spinoza.
Rosenberg appare come un
individuo interiormente privo di interesse nei confronti dell'altro, e anche
l'interesse per il filosofo sembra dominato da un unico interrogativo,
comprendere il paradosso per cui un esponente di una razza inferiore possa aver
raggiunto tali livelli di pensiero.
E che dire di Spinoza
che interpreta in maniera geometrica anche passioni ed emozioni?
Nel romanzo gli è
attribuito un unico amore, quello per la figlia del suo maestro Van den Enden
dalla quale fu però rifiutato, episodio sul quale concordano anche i biografi, tanto
che qualcuno si è domandato se da tale rifiuto derivi la sua estrema misoginia che gli fa affermare che
le donne sono incapaci di puro pensare, concetto tipicamente medioevale in un
pensatore per altri versi già così moderno.
Ma mentre Spinoza
sublima la sua incapacità di stabilire veri rapporti umani nelle vette del
pensiero filosofico, Rosenberg scarica le sue frustrazioni e le sue insicurezze
che derivano in larga parte dal non sentirsi amato e dal timore di non avere
l’approvazione altrui nell’odio per gli ebrei che è il suo pensiero dominante,
anche se in questo odio tuttavia c’è lo spazio per l’ammirazione di un filosofo
di origine ebraica, seppur allontanato dalla sua comunità.
Come ho letto in questo articolo che ha per oggetto un altro dei romanzi di Yalom, "Love’s
Executioner", che credo non sia stato tradotto in italiano, per l'autore il
timore di fallire nelle relazioni umane e quindi di restare soli è uno dei quattro
fattori che causano il dolore nell'umana esistenza. Gli altri sono: l’inevitabilità
della morte, la libertà di scegliere e la responsabilità che ne deriva, la consapevolezza
della mancanza di significato della vita.
Ma Yalom ha scritto
altri due romanzi in cui protagonisti sono dei filosofi, "La cura
Schopenhauer" e "Le lacrime di Nietzsche" e ciò mi fa venire in
mente che da qualche anno la filosofia si è proposta come alternativa alla
psicoterapia.
Veramente non so come la
pensi lo psicoterapeuta Yalom in merito, ma attraverso questo romanzo non solo
sono entrata nel vivo della filosofia di
Spinoza, ho creduto di comprendere il personaggio e le sue idee molto più di
quando l'ho studiato al liceo, tanto che, diversamente da allora, mi è venuta voglia di leggerne gli scritti,
in particolare i due citati nel romanzo, l’ Etica e il Trattato
teologico-filosofico, (nonostante le sue affermazioni sulle donne!), ma sono
riuscita a vedere in maniera più chiara anche alcune questioni che mi
riguardano.
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mercoledì 18 luglio 2012
Il questionario di Proust
Il Questionario di Proust era un
gioco di società in voga nei salotti del XIX° Secolo, una specie di antenato
dei test della personalità fatti per divertimento. Comprende una serie di
domande volte a conoscere i gusti e le aspirazioni personali di chi risponde. Malgrado
la denominazione possa indurre a pensare che sia stato creato da Marcel Proust,
il grande scrittore francese si limitò a fornire le proprie risposte. Quindi Proust non l'ha inventato, ma lo ha solo reso
celebre partecipando al gioco: qui ci sono le sue risposte, complete di
riproduzione del foglio su cui le scrisse.
Spesso il questionario è stato
riproposto a personaggi celebri. Talvolta ci si è divertiti a inventare le risposte
che avrebbero potuto dare personaggi celebri del passato come in questo esempio
in cui è Annibale a rispondere.
Riporto qui di seguito le domande
se qualcuno ci si volesse cimentare o si volesse divertire a fornire le
risposte di personaggi famosi del presente o del passato o anche dei
protagonisti di romanzi e film.
Il tratto principale del mio carattere.
La qualità che desidero in un uomo.
La qualità che preferisco in una donna.
Quel che apprezzo di più nei miei amici.
Il mio principale difetto.
La mia occupazione preferita.
Il mio sogno di felicità.
Quale sarebbe, per me, la più grande disgrazia.
Quale sarebbe, per me, la più grande disgrazia.
Quel che vorrei essere.
Il paese dove vorrei vivere.
Il colore che preferisco.
Il fiore che amo.
L'uccello che preferisco.
I miei autori preferiti in prosa.
I miei poeti preferiti.
I miei eroi nella finzione.
Le mie eroine preferite nella finzione.
I miei compositori preferiti.
I miei pittori preferiti.
I miei eroi nella vita reale.
Le mie eroine nella storia.
I miei nomi preferiti.
Quel che detesto più di tutto.
Le mie eroine nella storia.
I miei nomi preferiti.
Quel che detesto più di tutto.
I personaggi storici che disprezzo di più.
L'impresa militare che ammiro di più.
La riforma che apprezzo di più.
Il dono di natura che vorrei avere.
Il dono di natura che vorrei avere.
Come vorrei morire.
Stato attuale del mio animo.
Le colpe che mi ispirano maggiore indulgenza.
Il mio motto.
martedì 17 luglio 2012
Dai blog ai social network
Quando, nel gennaio 2003, ho aperto il mio primo blog sulla piattaforma di Splinder, in Italia il fenomeno era ancora recente. Sarebbe diventato popolare di lì a poco tanto che anche quotidiani e riviste avrebbero cominciato a interessarsene.
Ho tuttavia scoperto solo oggi leggendo questo articolo sulla Repubblica che il blog compie 15 anni. Infatti il primo strumento per "bloggare", termine che sarebbe stato coniato successivamente, fu annunciato da uno sviluppatore statunitense esattamente il 18 luglio 1997.
Nell'articolo citato c'è tutta la storia del fenomeno blog, dai primordi allo stravolgimento operato dai servizi di micro- blogging come Twitter e Facebook fino all'introduzione da parte della piattaforma francese "Overblog" di una nuova forma di blog in cui gli aggiornamenti di status dei diversi social network diventano i post di un unico blog ovviando alla dispersività dei primi.
Dunque buon compleanno blog!
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lunedì 31 dicembre 2012
lunedì 10 dicembre 2012
Meritocrazia
Ho deciso di utilizzare questo blog anche per riportare articoli da quotidiani e riviste che mi sembrano interessanti al fine di capire dove vanno l'Italia, l'Europa e il mondo, dal punto di vista politico, sociale e culturale.
Comincio con questo articolo:
“«Meritocrazia valore di destra» L’idea che la sinistra deve rottamare” di ROGER ABRAVANEL dal Corriere della Sera del 9 dicembre 2012 (ripreso dal blog "Il Quinto Stato")
Una settimana fa Pier Luigi Bersani ha vinto le primarie del centrosinistra. I suoi elettori dicono che ha fatto riscoprire la meritocrazia nella politica con le primarie del centrosinistra dopo che per anni si è assistito al proliferare di candidati scelti dai partiti (quando non personalmente dal padre padrone) unicamente sulla base della fedeltà invece che sul merito individuale. Adesso il suo compito è di creare una nuova sinistra per cercare di vincere le elezioni e governare con successo.
Creare una nuova sinistra non richiede solo di «rottamare» alcuni dei politici come vorrebbero in molti, ma anche alcune vecchie idee. La prima, e forse la più importante, è stata la risposta data al moderatore del dibattito di Sky tra i contendenti alle primarie che chiedeva a Bersani se fosse «in favore di più meritocrazia». Al che il segretario del Partito democratico ha risposto «va bene più meritocrazia, ma anche più eguaglianza». Il che sottintende che la competizione va bene per i vertici della politica e della economia, ma se estesa alle masse dei lavoratori e degli studenti può portare, per esempio, a licenziamenti di massa e alla perdita del «diritto allo studio». Ne deriva che l’unico modo efficace per ridurre la diseguaglianza è quello di ridistribuire la ricchezza dai ricchi ai poveri.
Nulla di nuovo. Per la sinistra italiana la meritocrazia resta un valore «di destra» e l’egalitarismo continua a restare il principio fondante, contrariamente alle sinistre nordeuropee che da più di vent’anni lo hanno fatto evolvere nella ricerca delle pari opportunità. L’idea era semplice: se uno va avanti solo se è bravo e non perché è furbo o raccomandato da qualcuno che gli deve un favore, la mobilità sociale aumenta perché anche un povero meritevole può salire sull’«ascensore sociale».
Questo sistema di valori è in realtà pienamente accettato dalla sinistra italiana che ha lottato negli ultimi anni molto di più della destra contro i privilegi anticoncorrenza e il non rispetto delle regole. Eppure resta sospettosa quando l’idea della competizione spinta viene estesa dall’élite alle masse. Questo avviene per due motivi. Primo, «il bisogno»: il lavoratore che fa male il proprio lavoro meriterebbe di essere licenziato ma «ha bisogno» del posto di lavoro (per mantenere una moglie che non lavora e i figli precari); e quindi resta l’articolo 18. Secondo: il «diritto acquisito»: il precario della scuola ha acquisito il diritto al posto fisso e quindi è giusto opporsi al primo concorso dopo 10 anni che lo mette in competizione con la nuova generazione di insegnanti. È ovvio perché questi due motivi valgono solo per le masse e non per il top: Matteo Renzi e Pier Luigi Bersani non hanno né il «bisogno» né il «diritto» di diventare presidenti del Consiglio e quindi si accetta una competizione accanita. Ma non si accetta per milioni di lavoratori e studenti. E neanche Matteo Renzi, che pure ha preso posizioni coraggiose e anche controproducenti su pensioni e politica estera ha osato esprimersi chiaramente a favore di una meritocrazia più diffusa su temi come il lavoro e la scuola: ha dichiarato di voler adattare il giusto modello della flexsecurity di Pietro Ichino (quasi scomunicato dal Partito democratico) ma non ha parlato della meritocrazia individuale e, relativamente alla scuola, ci si sarebbe aspettata più enfasi nel sostenere l’esigenza di valutare gli insegnanti per migliorare la qualità dell’insegnamento dove è meno buona.
Il problema è che la sinistra italiana non si rende conto che rispettare i «bisogni» e i «diritti acquisiti» perpetua la spaventosa ineguaglianza della società italiana che abbiamo già descritto nelle pagine di questo quotidiano. Se non si può licenziare un lavoratore che lavora male (proteggendolo con ammortizzatori sociali orientati a reinserirlo rapidamente nel mondo del lavoro), aumenterà l’attuale apartheid tra 12 milioni di lavoratori di fatto inamovibili a livello individuale e 9 milioni licenziabili senza vincolo alcuno.
Se il «diritto allo studio» protegge insegnanti mediocri, ciò va a scapito degli studenti con meno mezzi per i quali la scuola è la unica vera chance di azzerare i privilegi della nascita; continuerà in Italia la discriminazione tra gli studenti del Nord che hanno scuole di livello europeo e quelli del sud che l’Ocse misura essere a livello dell’Uruguay e della Thailandia. Se la sinistra da un lato lotta giustamente contro la corruzione nella sanità, ma dall’altro protegge indiscriminatamente chi ci lavora, in alcune regioni del Centro Sud con sprechi assurdi, incompetenza e pessimo livello di servizio, l’ineguaglianza della qualità del servizio sanitario pubblico tra alcune regioni del Nord e altre del Centro Sud è destinata ad aumentare, in particolare adesso che non si può ricorrere più alla spesa pubblica.
La mancanza di meritocrazia ci ha resi più ineguali, nonostante la pretesa di essere una società basata sulla solidarietà. Ma è anche la principale causa della stagnazione economica degli ultimi 25 anni. L’apartheid del lavoro, oltre a essere ingiusto, ha distrutto la produttività, perché il precario bravo raramente riceve dalle imprese gli investimenti in formazione e in sviluppo professionale, che alla fine ci rimettono in produttività. E l’immettere ogni anno molto meno studenti eccellenti (un terzo) delle società nordeuropee con scuole capaci di seguire i più lenti ma anche di valorizzare i più bravi, non creerà la classe dirigente per fare ripartire l’economia del nuovo millennio.
Convincersi che la meritocrazia porta a più eguaglianza e conseguentemente «rottamare» tanti tabù della vecchia sinistra sarà essenziale a Pier Luigi Bersani per convincere gli elettori del Pd che hanno votato per Matteo Renzi a votare per lui alle prossime elezioni e a vincerle. Ma soprattutto sarà essenziale per governare un Paese fermo da 25 anni.
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lunedì 5 novembre 2012
Twitter versus Facebook?
Sono
su Facebook nel novembre 2008 e salvo brevi periodi di disaffezione sono sempre
stata assidua.
Nell'ottobre
2010 mi sono iscritta anche a Twitter, ma all'inizio non l'ho frequentato
molto. Al primo impatto non mi è piaciuto. Tuttavia negli ultimi mesi mi sono
ricreduta e non posso più farne a meno. Sembra che la stessa cosa sia accaduta
a molti. All'inizio Twitter non piace, poi si diventa dipendenti, più che nei
confronti di altri social network.
E'
certo che riuscire a dire qualcosa di sensato in 140 caratteri non è semplice e
ovviamente ci vuole buona capacità di sintesi.
Ma
c'è addirittura chi sostiene che con tale mezzo non sia possibile esternare pensieri
complessi.
Tra questi Michele
Serra che a Twitter ha dedicato un' Amaca
di qualche mese fa affermando che il mezzo genera un linguaggio totalmente binario, o X o Y, o tesi o antitesi, in
sostanza uno scontro tra slogan eccitati e
frasette monche, concludendo che
Twitter gli fa proprio schifo.
Altri la pensano diversamente.
C'è chi sostiene che dipende dalle persone usare in un modo o
in un altro il mezzo cui non si può imputare nulla di per sé, opinione con la
quale concordo pienamente.
C'è addirittura chi tira in ballo i grandi, filosofi, letterati, scienziati, che, anche
in un passato molto remoto, si sono espressi spesso attraverso il pensiero
sintetico.
E chi
non ricorda alcune massime di grandi personaggi, anche se talvolta quelle
massime sono state estrapolate da un contesto molto più articolato e complesso?
Insomma Eraclito,Marziale, Pascal, Wilde, Wittgenstein, e via elencando, avrebbero usato ottimamente Twitter.
Infine
addirittura l'Accademia della Crusca promuove Twitter e afferma che il social
network è una buona palestra di sintesi.
Poi
c'è chi spiega le buone maniere su Twitter.
E
chi scrive un libro per spiegare ai giornalisti come utilizzarlo.
E ovviamente ci sono anche guide generali all'uso come questa.
E ovviamente ci sono anche guide generali all'uso come questa.
Diversi
scrittori, giornalisti, politici, opinionisti, hanno deciso di esserci e molti
di loro sono assidui, altri come Serra rifiutano il mezzo, tanto che qualcuno
ha rispolverato la contrapposizione tra apocalittici e integrati, dal titolo
del famoso saggio uscito una cinquantina di anni fa in cui Umberto Eco si
occupava del tema della cultura di massa e dei mezzi di comunicazione di massa
individuandovi
sia aspetti positivi che negativi. E oggi Eco con riferimento a Twitter si
potrebbe annoverare tra gli integrati.
Sempre
in difesa di Twitter, Riccardo Scandellari, titolare del blog Skande.com, dedicato
al marketing non convenzionale, ai social network, e a tutti i nuovi mezzi di comunicazione, nota da utilizzatore di Twitter di “lunga” data che
al contrario di Facebook i deliri di singoli utenti o le speculazioni sono più
sotto controllo e un buon numero di utenti vigilanti sono in ascolto, in modo
da tenere le informazioni errate (per quelle inutili ci attrezzeremo) sotto
controllo e definisce l'amata piattaforma una sorta di intelligenza collettiva autoregolata e difficilmente
influenzabile che generi anticorpi contro le informazioni false e tendenziose.
E
qui veniamo al contrasto tra Twitter e Facebook.
Mi
sembra che chi ama l'uno non sopporti l'altro, un po' come accade tra gattofili
e cinofili, perché chi ama i gatti
difficilmente ama anche i cani allo stesso modo e viceversa. Ma soprattutto noto un certo snobismo da parte degli
utenti di Twitter nei confronti di quelli di Facebook, anche se sono in molti ad avere l'account
su entrambi.
Vittorio
Sgarbi su Twitter invita i cretini a stare su Facebook, ma vedo che, tra una
nota d'arte e l'altra, insulta e riceve insulti a raffica con utilizzo di un
fraseggio che non so quanto abbia a vedere con l'intelligenza. Ci sono anche
tweet sul rimorchio e le corna (altrui).
Ma
non è il solo a considerarsi più intelligente perché sta su Twitter.
Sud
Sound System, tanto per citarne uno, ha scritto che "Facebook è un secchio
mentre Twitter è un torrente". Mah!
E
poi si sa che le osservazioni sull'intelligenza altrui ci sono sempre state e hanno
preso e prendono a pretesto qualsiasi cosa.
Ho
trovato persino un articolo in cui si riporta uno studio per il quale coloro che utilizzano
i browser Chrome e Firefox sarebbero più intelligenti di quelli che usano Explorer, relegando tra i più sfigati quelli che utilizzano
Explorer 6. Sicuramente questi ultimi sono meno attenti all'utilizzo
dell'informatica, ma l'intelligenza credo c'entri il giusto.
Del
resto sono stati anche fatti studi (e mi piacerebbe sapere chi li finanzia) per
arrivare alla conclusione che sono più intelligenti, di volta in volta, i più
alti, i fratelli maggiori, i figli unici, i mancini, gli uomini, le donne e via
elencando.
Per
quanto mi riguarda, uso entrambi i social network che, a mio parere, rispondono
ad esigenze diverse.
Credo
che il segreto di Twitter stia nel fatto che lo si può modellare secondo le
proprie esigenze. C'è chi lo utilizza come fonte di notizie, per divertimento,
per lavoro, ecc.
Su
Twitter non si va tanto per scambiare opinioni, anche se comunque è possibile
farlo, quanto piuttosto per lasciare i
propri tweet e leggere quelli altrui, che forse leggeranno i nostri, e magari
li "ritwitteranno", e noi i loro, sperando ciascuno di noi di aumentare il numero dei follower e delle citazioni.
Ma su Twitter si cercano anche notizie sugli argomenti che ci interessano, e magari si ottengono in diretta, non solo seguendo i singoli giornalisti, opinionisti, politici e quant'altro, ma anche perché qualcuno dei nostri following, anche un comune mortale, si trova per caso sul teatro di un evento importante.
E poi su Twitter si commentano in diretta i talkshow e altri programmi televisivi, così che ormai non ci si può più neanche sbracare sul divano a guardarsi un programma in pace, perché siamo obbligati a interagire!
E poi su Twitter si commentano in diretta i talkshow e altri programmi televisivi, così che ormai non ci si può più neanche sbracare sul divano a guardarsi un programma in pace, perché siamo obbligati a interagire!
Da
un certo punto di vista Twitter è più divertente di Facebook e si presta maggiormente
all'ironia. Sicuramente è anche più narcisistico e meno "social".
Ovviamente per farsi leggere in 140 caratteri occorre essere lapidari e ironici. Non tutti ci riescono o almeno non sempre.
Ovviamente per farsi leggere in 140 caratteri occorre essere lapidari e ironici. Non tutti ci riescono o almeno non sempre.
Inoltre
se su Facebook si appare generalmente con il proprio nome e cognome e del resto
non avrebbe senso se non ci si mette la propria faccia, su Twitter è più
frequente usare nick di fantasia (fake). Così abbiamo Dio, Gesù, il Diavolo, il Triste
Mietitore, La Sfiga, e poi personaggi famosi, anche del passato, come Dante
Alighieri.
Ogni
utente può inserire una bio (biografia) rigorosamente in 140 caratteri e questa
è una difficoltà notevole da superare. Ovviamente si può anche non mettere la
bio, ma se vogliamo farci leggere è meglio inserirne una accattivante. C'è
anche chi insegna come farla.
La
bio di Dio è la seguente: Il Signore Iddio
Onnipotente, fondatore e CEO dell'Universo, noto anche come Massimo Fattore.
Entra sempre nel bagno delle donne, perché c'è scritto Signore. Dio ha
anche un blog. Ha vinto il premio di miglior "fake" nell'edizione 2012 dei "Tweet Award" e in una recente intervista spiega perché ha scelto Twitter.
Ed
ecco la bio del Triste Mietitore: Il mio
mestiere è deprimente. Lavoro dalla notte dei tempi e non andrò in pensione.
Sono il Tristo Mietitore depresso. Sono la Morte. E
questo è il suo blog. Tra i Tweet Award diciamo che è arrivato secondo tra i "fake".
Di
Gesù poi ce ne sono diversi. Ecco
alcune delle loro bio:
1)
Sono il re dei raccomandati, il più
grande figlio-di-papà della Storia, e vi amo anche se non ve lo meritate!
!PorcaMamma Nell'alto dei Cieli
2)
Io sono colui che cercherà di salvarvi...
invano.
Gerusalemme (pendolare)
3)
l'uomo il cui compleanno è noto per
essere il più famoso della storia senza festeggiato. Sceso sulla Terra a diffondere
il Complemento Oggetto
Questa invece è la bio del Diavolo Ψ (ma sicuramente non è l'unico diavolo e non ho
ancora fatto una ricerca sugli altri nomi con i quali è conosciuto)
Signore indiscusso delle pentole. Da
poco iscritto al corso De Agostini Coperchi&Coperchi. Preferirete l'Inferno
anche per il clima; Ho i climatizzatori ora!
E
questa, della Sfiga:
E' vero, vi vedo benissimo. Io sono
quello che vi fa incontrare il 94enne col cappello che guida ai 30 all'ora solo
quando avete fretta
E infine
quella di Dante Alighieri:
Nel mezzo del mio esilio in Paradiso |
m'avvidi che l'italico bordello | facea ai connazional perder 'l sorriso
Per
il sommo poeta mi sarei aspettata di meglio, ma qualche suo tweet è veramente
carino come questo su Marchionne che ha offeso Firenze:
e' notte di risate, e' notte insonne /
Firenze tutta Civitate ride / udendo le stronzate d'un #Marchionne
Personalmente
su Twitter mi sento più sciolta, forse perché pochi tra i miei follower mi
conoscono nella vita reale, mentre diversi degli amici di Facebook sanno almeno
chi sono e alcuni mi conoscono personalmente.
Devo
dire che sono iscritta anche a Volunia, che avrebbe dovuto essere un incrocio tra motore di ricerca e socialnetwork, ma non mi pare abbia decollato e comunque al momento non mi interessa, forse più
avanti.
E
ora c'è anche Universe, ma sarà meglio lasciar perdere.
Mi sono iscritta invece a Overblog, la piattaforma francese
che recentemente ha introdotto una nuova forma di blog in cui gli aggiornamenti di
stato dei diversi social network diventano i post di un unico blog. Così ho creato il Blog "Diario di Bordo",
sul quale non scrivo niente di nuovo, perché di blog ne ho già due e mi
sembrano sufficienti, però lo utilizzo per ricucire i frammenti personali che
altrimenti risulterebbero dispersi nei vari socialnetwork, compresi anche You Tube
e Instagram.
Che non si fa per esserci! Qualche volta penso di dovermi disintossicare.
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martedì 9 ottobre 2012
Riconoscersi nei personaggi di Fabio Volo
Incuriosita dal discredito quasi unanime che Fabio Volo riceve sui social network, nonostante il notevole successo di pubblico, ho deciso di leggere uno dei suoi romanzi.
Ne ho sfogliati alcuni in libreria. Stavo quasi per acquistare "E' una vita che ti aspetto" soprattutto perché mi ero riconosciuta nelle parole che il protagonista rivolge all'amico medico entrando nel suo ambulatorio qualche giorno dopo aver fatto delle analisi: "Cos’è, una malattia grave? Inguaribile? Insomma, che cos’ho? Dimmelo, non tenermi nascosto niente. Devo fare una TAC?".
Ciò a prescindere dal fatto che io ormai non vado quasi più dal medico perché la mia ipocondria si è trasformata in patofobia ed evito come la peste anche le analisi. Poi, non so nemmeno perché, la mia scelta è caduta invece su "Il giorno in più".
Il protagonista è un trentenne, Giacomo, che vive giornate sempre uguali, attraversa la vita rimanendo sempre in superficie, finché non fa un incontro casuale con una sconosciuta e, per la prima volta, decide di assumersi un rischio, anche quello di apparire ridicolo, e parte all'inseguimento di un sogno che alla fine sarà coronato da successo.
Ho l'impressione comunque che i romanzi di Volo si somiglino un po' tutti e che abbiano sempre per protagonisti personaggi irrisolti poco più che trentenni che ad un certo punto trovano il coraggio di vivere la propria vita e di fare delle scelte.
Certo profondità non ce n'è e anche lo stile lascia a desiderare, soprattutto se, come è successo a me, si passa a Volo subito dopo Haruki Murakami di cui ho da poco finito di leggere la prima parte di 1Q84.
Credo che i romanzi di Volo si possano mettere sullo stesso piano di quelli della Sveva Casati Modignani o della Kinsella, insomma una declinazione moderna del romanzo rosa.
Ad ogni modo considerato che nel mio presente c'è una situazione di empasse mi sono sentita in sintonia con il personaggio di Giacomo.
Mi riconosco in lui quando dice "Questo è sempre stato il mio pensiero sulle donne: ho sempre creduto che se stavo con una avrei perso tutte le altre. Sono stato così in tutto. Nello sport, per esempio,ho fatto karatè, ping-pong, calcio, basket. Non mi sono mai focalizzato su un'attività sola. Ho scavato sempre mille buche, forse per questo non ho mai trovato niente."
Devo ammettere che anch'io avevo questa sensazione di perdita ogniqualvolta iniziavo una storia con un uomo e che anch'io non riesco a focalizzarmi su una sola attività e mi disperdo in mille rivoli, aiutata in ciò anche dalla navigazione in internet e dai social network.
E mi trovo in sintonia anche con altre osservazioni come quelle sotto riportate:
"Sin da piccolo, mi ero sempre sentito come uno che va a una festa a cui non era stato invitato"
"La verità è che non ho paura di morire, ma mi scoccia da matti. Mi scoccia che un giorno non ci sarò più. Mi dispiace andarmene da qui. Ma non è paura, è semplicemente fastidio. Morire è una vera stronzata. Darei la vita per non morire."
Banalità che comunque fanno parte della vita e con le quali ci confrontiamo ogni giorno e che causano angoscia, paura, dolore.
Del resto, come ricordavo in uno dei miei precedenti post, lo psichiatra e romanziere Irvin D. Yalom sostiene che i quattro fattori che causano il dolore nell'umana esistenza sono il timore di fallire nelle relazioni umane e quindi di restare soli, l’inevitabilità della morte, la libertà di scegliere e la responsabilità che ne deriva, la consapevolezza della mancanza di significato della vita.
Poi se ne può parlare in maniera più o meno elevata e scriverci intorno storie più complesse e profonde come fanno Yalom e Murakami, o più semplici come Volo.
Il romanzo è piaciuto anche a mia madre che ha detto che Giacomo mi somiglia molto.
Non so se preoccuparmi considerato che, purtroppo per me, i trent'anni sono ormai un ricordo sbiadito!
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venerdì 31 agosto 2012
Single più liberi ma più angosciati?
E'
proprio vero che i single sono più liberi ma angosciati?
Così
la pensa il neuropsichiatra Boris Cyrulnik citato in questo articolo il quale
afferma che“l’ansia è il prezzo da pagare
per la libertà”.
L'articolo
peraltro mi pare un po' confuso. Si parte infatti ponendo l'accento sul
cammino della donna che ha conquistato la libertà, ma con essa anche la
solitudine e l'ansia che ne consegue.
Poi però il discorso si fa più generale. E mi pare ovvio. Eventualmente si può dire che un tempo alla
donna non era dato scegliere e pertanto o si sposava o restava nella famiglia
d'origine. Così difficilmente
sperimentava la solitudine, ma non per questo le era risparmiata l'angoscia,
anzi.
Credo
tuttavia che l'angoscia sia connaturata all'animo umano e principalmente connessa alla paura della
malattia, della vecchiaia, della morte, più che della solitudine, e che
ovviamente riguardi entrambi i generi.
E' ovvio che si riduca nel momento in cui si
vive una relazione affettiva soddisfacente, anche perché quella relazione per
un po' di tempo ci distoglie dai pensieri
cupi. Al contrario se la
relazione non è soddisfacente ci si sente ancora più soli e angosciati.
Poi
mi domando anche perché debba esserci contrapposizione tra libertà che
comporterebbe ansia e stabilità affettiva che ci renderebbe più sereni. Anzi credo che in un rapporto veramente soddisfacente debbano
rimanere spazi di libertà per entrambi i partner, altrimenti si tratta di un
rapporto malato, che si trasforma presto in una gabbia soffocante dalla quale
la fuga è l'unica soluzione per non ripiombare nell'angoscia.
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martedì 28 agosto 2012
Se la tua casa andasse a fuoco cosa porteresti con te prima di scappare?
Il fotografo Foster Huntington ha realizzato un
blog che si intitola appunto
" TheBurning House" (la casa che brucia) e che raccoglie le fotografie delle cose che porterebbero
con sé le persone che hanno risposto alla domanda.
E questo è uno degli articoli che ne parlano, ma anche la versione cartacea del Corriere della Sera del 25 agosto ha dedicato due pagine alla notizia.
Fatti i debiti scongiuri, ecco la
mia lista:
Ciri, il mio gatto
La mia borsa nella quale c'è
sempre quasi tutto l'essenziale (documenti, soldi, carte di credito, cellulare, agenda, penna, sigarette, portatrucco)
L'ultimo libro che sto leggendo
Un blocco per appunti
Il computer portatile
Il disco portatile
La video camera
Il lettore di e-book
Un paio di jeans e una maglietta,
un giacchetto di jeans e uno simil-militare
Gli orecchini a forma di gatto
L'orologio Avatar
Qualche vecchia foto
E voi cosa vi portereste?
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giovedì 23 agosto 2012
Cinquanta sfumature di grigio - Un successo preoccupante
Oggi a pranzo, al tavolo accanto
al mio, si discuteva animatamente di un libro. Dal contesto del discorso
presumo si trattasse di "Cinquanta sfumature di grigio", o di nero o
di rosso. Non ne parlavano bene, ma il
discorso era molto animato.
In serata mi sono fermata in una
libreria. Nel giro di cinque minuti sono entrate in due a comprare le
"cinquanta sfumature".
Ora mi pare preoccupante il
successo di un libro in cui la protagonista accetta di diventare schiava di un
uomo fino a sottoporsi a violenze fisiche.
Poiché non ho letto il libro non posso
valutare se regga il confronto con illustri precedenti, quali "Justine"
di De Sade, il fumetto "Valentina" di Guido Crepax, "Histoire
d'O" dell'autrice francese
Dominique Aury o magari anche "Venere in pelliccia " di Sacher-Masoch
in cui lo schiavo è invece il protagonista maschile. Quel che è certo è che
l'autrice, tale E.L. James, pseudonimo di
Erika Leonard, mai sentita prima, deve avere fatto un bel po' di soldi.
lunedì 20 agosto 2012
L'amore dopo i 50 anni
Già
ero abbastanza di umor nero, nonostante il Serene iperico extra, integratore
alimentare a base di biancospino, passiflora, valeriana, escolzia e
naturalmente iperico, e cosa cattura stamani la mia attenzione sulla prima
pagina del Corriere della Sera? No, non la crisi di cui peraltro Monti, al
meeting di Comunione e Liberazione ha dichiarato di vedere la fine (considerata
la sede, ha visto forse la Madonna?); no, l’articolo che mi ha fatto sobbalzare
è quello in basso dal titolo: “Ho 58anni, troppo vecchio per l’amore” a firma di Paolo Conti.
Una
mazzata! Proprio ora che volevo innamorarmi non essendoci riuscita da giovane!
Certo
nel mio profondo lo so che è improbabile ma, si sa, la speranza è l’ultima a
morire!
Conti
dice che dura a morire è invece l’abitudine, quella di innamorarsi. E buon per lui, perché io questa
abitudine non l’ho mai acquisita. Dice di essersi innamorato più volte da
giovane “scoprendo poi, puntualmente, che si tratta sempre e comunque di un
confronto tra un futuro carnefice e una futura vittima.” Definisce l’amore
una trappola crudele nella quale una volta si sostiene ora un ruolo ora un
altro, e che va bene da giovani, dopo, solo l’ipotesi è pietosa, anzi ridicola.
Quindi
fa l'esempio dell'uomo che si innamora di una donna molto più giovane.
In
tal caso concordo con la sua opinione, così come nel caso in cui sia una donna
a innamorarsi di qualcuno dell'età di suo figlio o magari di suo nipote, cosa
più rara, ma capita pure quella. Si, in questi casi è ovvio che si scade nel
ridicolo, anche perché si sa per quale motivo la persona tanto più giovane
accetta il rapporto, che è solo uno scambio di bellezza e gioventù con soldi,
tanti. Avete mai visto una persona anziana non ricca, non importante, fare
coppia con una molto più giovane?
Mi
domando tuttavia se non sia possibile innamorarsi di un coetaneo/a e perché mai
la cosa dovrebbe essere pietosa, anzi ridicola. Certo i corpi non sono più
quelli di una volta, qualcosa sicuramente pende, anche se ci siamo tenuti bene
e non siamo obesi e neanche sovrappeso, ma considerarsi finiti a 50 anni è
troppo deprimente. Dunque dopo i 50 ci si dovrebbe chiudere in casa? A fare
cosa? Ad aspettare la fine? Magari oscurando gli specchi come fece la contessa
di Castiglione una volta compiuti i 30, ma si era nell’800 e allora le donne a
quell’età erano vecchie. E gli uomini poco dopo. Ricordo che nel Gattopardo il
principe di Salina a 46 anni si considerava un vecchio, e sentiva ormai vicina
la morte. Ma di acqua né è passata sotto i ponti. Per fortuna!
E
ancora, perché ci si dovrebbe considerare ridicoli se dopo i 50 facciamo ancora
sport? Quanto ai rischi per la salute ci sono anche prima di quell’età, per gli
sportivi della domenica, e non solo. Salvo l’agonismo che ovviamente è limitato
alla gioventù, tenersi in forma va bene, anzi è necessario a tutte le età,
purché l'attività fisica sia graduale e continuata, altrimenti non serve a
niente ed è pericolosa.
E
a parte l’amore e lo sport cos’altro è ridicolo alla nostra età? Il modo di
vestire? E’ certo che io “da vecchia” non mi ci vestirò mai e non mi pare di essere ridicola, ma se
qualcuno lo pensa problemi suoi.
In
sostanza credo che Conti faccia della confusione, perché probabilmente, come
molti uomini, non riesce a pensare di innamorarsi di una persona non più
giovane, ovvero di una coetanea, o comunque lo considera un ripiego, come si
può capire dalla conclusione dell’articolo. Infatti l’autore dice di poter al
massimo immaginare, come scrive Erri de Luca nel suo ultimo libro - I pesci non chiudono gli occhi -, che gli
capiti “un tempo finale in comune con una
donna, con la quale coincidere come fanno le rime, in fine di parola” concludendo
che nella maturità, se si ha la fortuna di avere un matrimonio o un rapporto di
coppia ancora in piedi, allora è bene coltivarlo e non buttarlo via. Se si è
single, è molto salutare coltivare amicizie "generose". O seguire i
suggerimenti di Erri De Luca. O vivere da soli con se stessi al meglio.
Ma
cos'è l’amore? Esiste davvero "l'amore
che strappa i capelli"? Forse per qualcuno, forse nei romanzi.
A
mio parere l’amore è complicità, comunanza di sentire, lealtà, amicizia, rispetto
e ammirazione reciproca, e, certo, attrazione, un’alchimia difficile da realizzare
ma che non può prescindere dalla “coincidenza”,
altrimenti è solo attrazione fisica che può essere scambiata per passione ma
poi finisce nel niente, perché manca qualcosa che cementi il rapporto.
E
cosa sarebbero le amicizie “generose”?
Amicizie con le quali all'occorenza si può anche fare sesso? Credo che non
funzioni. Con gli amici, e nemmeno con i conoscenti di lunga data, può esserci
sesso. Nella maggioranza dei casi serve solo a far finire l’amicizia, a chiudere una lunga conoscenza e senza
neanche essersi divertiti granché. Quindi se si ha la sfortuna di essere single
a oltre 50 anni, si deve lasciare ogni speranza?
Certo
rispetto alla gioventù nell'età matura trovare un compagno/a è più difficile, perché
manca la possibilità di scegliere nel grande numero, ma non certo ridicolo. La
maggioranza dei coetanei è accoppiata o non cerca più forse proprio perché
crede che sia passato il tempo. Ma allora è passato anche il tempo di imparare,
di viaggiare, di godere dei piaceri, sia fisici che intellettuali? Ma se la
pensiamo così allora chiudiamoci in casa in attesa della fine o facciamo
domanda per l’ospizio o buttiamoci nel primo cassonetto.
Mi
piacerebbe sapere come la pensano i miei coetanei. Nell’attesa di saperlo leggerò
l’ultimo libro di De Luca.
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giovedì 9 agosto 2012
Perché andiamo nello spazio
Lunedì scorso il rover curiosity ha raggiunto Marte e per due anni fornirà informazioni sul pianeta.
La missione è stata seguita con interesse in tutto il mondo, ma ha anche riacceso vecchie polemiche.
Molti si chiedono infatti perché spendiamo tanto per andare nello spazio quando ci sarebbero tanti problemi da risolvere sulla terra?
Una domanda simile fu posta anche nel 1970 all’allora direttore scientifico della NASA, Ernst Stuhlinger, da una suora attiva in Zambia. In questo articolo c'è la traduzione della risposta. Molto bella ma anche un po' retorica.
Secondo me la vera risposta è nell'articolo successivo: l'esplorazione è insita nella natura umana. Tutti ricordiamo i versi di Dante nel canto XXVI° dell'Inferno "fatti non foste a viver come bruti, ma per seguire virtute e conoscenza." In sostanza è ciò che si legge nel dialogo riportato nel secondo articolo e che è tratto da un episodio della serie televisiva americana "West Wing" ambientata nell'Ala Ovest della Casa Bianca (da cui il titolo) dove lavora il Presidente degli Stati Uniti d'America e il suo staff, e dove è ubicato il famoso Studio Ovale.
"Noi siamo usciti dalle caverne, abbiamo guardato oltre le colline, abbiamo conosciuto il fuoco, abbiamo attraversato l'oceano e abbiamo conquistato le terre dell'Ovest e ora vogliamo impadronirci del cielo. La storia dell'uomo è il diario delle sue esplorazioni."
C'è un po' di retorica americana con quel riferimento alla conquista dell'Ovest, ma il senso dell'affermazione è chiaro.
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mercoledì 8 agosto 2012
Il problema Spinoza
Ho da poco finito di
leggere “Il problema Spinoza” di Irvin
D. Yalom, psichiatra, psicoterapeuta e romanziere statunitense, e devo dire che
era diverso tempo che non leggevo un romanzo che mi appassionasse dall'inizio
alla fine.
Durante
l'occupazione tedesca dell’Olanda l'intera biblioteca del filosofo di origine
ebraica Baruch Spinoza è requisita da
un'unità ai comandi di Alfred Rosenberg, fondatore e teorico del movimento nazista, condannato a morte al processo di
Norimberga: la scritta "Il problema
Spinoza" appare nel rapporto del nazista che la confiscò.
Prendendo
spunto da quest'episodio Yalom
costruisce il suo romanzo immaginando che il teorico nazista sia stato
ossessionato per tutta la vita dal filosofo ebreo del XVII° secolo.
L’espediente narrativo
fa incontrare a Rosenberg il filosofo ebreo all’epoca dei suoi studi quando, in conseguenza di alcune sue affermazioni violentemente antisemite, è costretto dal preside di
origine ebraiche Epstein a imparare a memoria alcuni passi dell’autobiografia
di Goethe nei quali l’autore del Faust, profondamente venerato dall'adolescente
quale massimo poeta tedesco e simbolo dell'anima germanica, si dichiara grande ammiratore
di Spinoza.
Ma anche se non c'è cura
per chi è ormai ossessionato dal razzismo, tuttavia da allora si insinua
nella mente di Rosenberg un tarlo: come può aver raggiunto tali sublimi altezze
un appartenente a una razza inferiore? E questo tarlo lo accompagnerà per tutta
la vita.
I capitoli si succedono
alternando la storia dell’uno e dell’altro personaggio, come due vite parallele,
e la trovata rende la narrazione più vivida anche se forse un po’ snervante,
perché si seguono le vicende di un personaggio fino a un punto critico e a quel
punto occorre calarsi nelle vicende dell’altro.
Rosenberg si arrovella
sul "problema Spinoza" cercandovi una soluzione che non troverà.
E' vero che Spinoza è un
ebreo sui generis, bandito dalla comunità ebraica di Amsterdam perché considera
l'ebraismo una forma di superstizione. Tuttavia allo stesso modo il filosofo rifiuta
qualsiasi altra religione in nome della ragione e della ricerca di Dio, che non
è fatto a immagine e somiglianza dell’uomo, ma che è tutt'uno con la natura. Il
filosofo è un precursore dell’illuminismo e nelle sue teorie politiche ci sono
già i germi del concetto di democrazia. Pertanto le teorie politiche di Spinoza
non potevano piacere a Rosenberg che forse però si riconosce nel rifiuto
delle religioni, anche se, a suo modo, anche il nazismo, di cui Rosenberg fu
fondatore e teorico, era una religione basata sul volk (popolo) e sul sangue
nonché sugli antichi miti nordici e come le religioni invadeva ogni aspetto della
vita dei singoli.
Ma a mio parere l'autore
unisce i protagonisti di queste vite parallele sulla base della reciproca
difficoltà a esternare i propri sentimenti, a sentirsi parte di un'umanità che
invece si limitano a osservare. Sia l’uno che l’altro vorrebbero amare ed
essere amati, ma non possono, anche se l'autore li mette entrambi in contatto
con due personaggi, di pura invenzione, con i quali riescono a mettere a nudo,
almeno in parte, il loro animo, uno psicanalista nel caso di Rosenberg, un
esponente della comunità ebraica nel caso di Spinoza.
Rosenberg appare come un
individuo interiormente privo di interesse nei confronti dell'altro, e anche
l'interesse per il filosofo sembra dominato da un unico interrogativo,
comprendere il paradosso per cui un esponente di una razza inferiore possa aver
raggiunto tali livelli di pensiero.
E che dire di Spinoza
che interpreta in maniera geometrica anche passioni ed emozioni?
Nel romanzo gli è
attribuito un unico amore, quello per la figlia del suo maestro Van den Enden
dalla quale fu però rifiutato, episodio sul quale concordano anche i biografi, tanto
che qualcuno si è domandato se da tale rifiuto derivi la sua estrema misoginia che gli fa affermare che
le donne sono incapaci di puro pensare, concetto tipicamente medioevale in un
pensatore per altri versi già così moderno.
Ma mentre Spinoza
sublima la sua incapacità di stabilire veri rapporti umani nelle vette del
pensiero filosofico, Rosenberg scarica le sue frustrazioni e le sue insicurezze
che derivano in larga parte dal non sentirsi amato e dal timore di non avere
l’approvazione altrui nell’odio per gli ebrei che è il suo pensiero dominante,
anche se in questo odio tuttavia c’è lo spazio per l’ammirazione di un filosofo
di origine ebraica, seppur allontanato dalla sua comunità.
Come ho letto in questo articolo che ha per oggetto un altro dei romanzi di Yalom, "Love’s
Executioner", che credo non sia stato tradotto in italiano, per l'autore il
timore di fallire nelle relazioni umane e quindi di restare soli è uno dei quattro
fattori che causano il dolore nell'umana esistenza. Gli altri sono: l’inevitabilità
della morte, la libertà di scegliere e la responsabilità che ne deriva, la consapevolezza
della mancanza di significato della vita.
Ma Yalom ha scritto
altri due romanzi in cui protagonisti sono dei filosofi, "La cura
Schopenhauer" e "Le lacrime di Nietzsche" e ciò mi fa venire in
mente che da qualche anno la filosofia si è proposta come alternativa alla
psicoterapia.
Veramente non so come la
pensi lo psicoterapeuta Yalom in merito, ma attraverso questo romanzo non solo
sono entrata nel vivo della filosofia di
Spinoza, ho creduto di comprendere il personaggio e le sue idee molto più di
quando l'ho studiato al liceo, tanto che, diversamente da allora, mi è venuta voglia di leggerne gli scritti,
in particolare i due citati nel romanzo, l’ Etica e il Trattato
teologico-filosofico, (nonostante le sue affermazioni sulle donne!), ma sono
riuscita a vedere in maniera più chiara anche alcune questioni che mi
riguardano.
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mercoledì 18 luglio 2012
Il questionario di Proust
Il Questionario di Proust era un
gioco di società in voga nei salotti del XIX° Secolo, una specie di antenato
dei test della personalità fatti per divertimento. Comprende una serie di
domande volte a conoscere i gusti e le aspirazioni personali di chi risponde. Malgrado
la denominazione possa indurre a pensare che sia stato creato da Marcel Proust,
il grande scrittore francese si limitò a fornire le proprie risposte. Quindi Proust non l'ha inventato, ma lo ha solo reso
celebre partecipando al gioco: qui ci sono le sue risposte, complete di
riproduzione del foglio su cui le scrisse.
Spesso il questionario è stato
riproposto a personaggi celebri. Talvolta ci si è divertiti a inventare le risposte
che avrebbero potuto dare personaggi celebri del passato come in questo esempio
in cui è Annibale a rispondere.
Riporto qui di seguito le domande
se qualcuno ci si volesse cimentare o si volesse divertire a fornire le
risposte di personaggi famosi del presente o del passato o anche dei
protagonisti di romanzi e film.
Il tratto principale del mio carattere.
La qualità che desidero in un uomo.
La qualità che preferisco in una donna.
Quel che apprezzo di più nei miei amici.
Il mio principale difetto.
La mia occupazione preferita.
Il mio sogno di felicità.
Quale sarebbe, per me, la più grande disgrazia.
Quale sarebbe, per me, la più grande disgrazia.
Quel che vorrei essere.
Il paese dove vorrei vivere.
Il colore che preferisco.
Il fiore che amo.
L'uccello che preferisco.
I miei autori preferiti in prosa.
I miei poeti preferiti.
I miei eroi nella finzione.
Le mie eroine preferite nella finzione.
I miei compositori preferiti.
I miei pittori preferiti.
I miei eroi nella vita reale.
Le mie eroine nella storia.
I miei nomi preferiti.
Quel che detesto più di tutto.
Le mie eroine nella storia.
I miei nomi preferiti.
Quel che detesto più di tutto.
I personaggi storici che disprezzo di più.
L'impresa militare che ammiro di più.
La riforma che apprezzo di più.
Il dono di natura che vorrei avere.
Il dono di natura che vorrei avere.
Come vorrei morire.
Stato attuale del mio animo.
Le colpe che mi ispirano maggiore indulgenza.
Il mio motto.
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martedì 17 luglio 2012
Dai blog ai social network
Quando, nel gennaio 2003, ho aperto il mio primo blog sulla piattaforma di Splinder, in Italia il fenomeno era ancora recente. Sarebbe diventato popolare di lì a poco tanto che anche quotidiani e riviste avrebbero cominciato a interessarsene.
Ho tuttavia scoperto solo oggi leggendo questo articolo sulla Repubblica che il blog compie 15 anni. Infatti il primo strumento per "bloggare", termine che sarebbe stato coniato successivamente, fu annunciato da uno sviluppatore statunitense esattamente il 18 luglio 1997.
Nell'articolo citato c'è tutta la storia del fenomeno blog, dai primordi allo stravolgimento operato dai servizi di micro- blogging come Twitter e Facebook fino all'introduzione da parte della piattaforma francese "Overblog" di una nuova forma di blog in cui gli aggiornamenti di status dei diversi social network diventano i post di un unico blog ovviando alla dispersività dei primi.
Dunque buon compleanno blog!
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