mercoledì 26 maggio 2004

Un po' d'ironia

Poiché non si può essere sempre seri mi sono fatta un giro sul sito VOTANTONIO dove ho trovato alcune vignette carine come quella sottoriportata:













E c'è anche un nuovo portale:











A proposito di Berlusconi, ha nuovamente detto che dopo il voto diminuirà  le tasse, allora votiamolo, dopo le elezioni (da una vignetta di Altan).

LUI SAPEVA






We know that long before September 11th, indeed from its first days, the Bush Administration was planning for war with Iraq and the subsequent occupation of the country.

Ignoring reports from weapons inspectors, overriding objections from our allies, overruling the dissenting views of his intelligence agencies, George Bush relentlessly led us into a war that has cost 500 American lives, left 3,000 seriously injured, and has already cost more than $100 billion.
He knew Iraq was not a nuclear threat. He knew there was no Iraq connection to 9/11.
For all these reasons, Congress must censure George Bush.

WIN WITHOUT WAR

La statua della libertà con il cappuccio nero





La Statua della Libertà con la testa coperta da un cappuccio nero, come se l'America fosse uscita dalla prigione di Abu Ghraib, e una voce fuori campo che afferma:“DICEVANO CHE ANDAVAMO IN IRAQ PER PORTARE I VALORI AMERICANI: DEMOCRAZIA, LIBERTA’. MA QUALCOSA E’ ANDATO TERRIBILMENTE STORTO”.
Si tratta di uno spot di protesta per le torture in Iraq intitolato “Licenziare Rumsfeld” che ha cominciato a girare oggi in 14 grandi città degli Usa e che resterà sugli schermi per una settimana. A incappucciare la statua è stata la "MoveON.org", l'organizzazione “liberal” che, nella corsa alla Casa Bianca 2004, propone da mesi slogan e filmati anti-Bush.


martedì 25 maggio 2004

La trappola Iraq

Se la guerra lampo è stata un successo, e come poteva non esserlo quando il più potente esercito del mondo attacca un piccolo paese, peraltro immiserito da 10 anni di blocco economico, il “dopoguerra”  si è dimostrato un totale fallimento.
Le forze della coalizione non sono state accolte come liberatrici, ma avversate come occupanti e l’ostilità nei loro confronti non accenna a diminuire coinvolgendo anche le nostre truppe che, in teoria, dovrebbero svolgere una missione di “peacekeeping”, ma si sono trovate implicate in una vera e propria guerra.
In sintesi il governo Bush ha voluto e fatto questa guerra adducendo motivazioni che si sono dimostrate tutte false o irrealizzabili, e cioè:
-          sventare un attacco con armi di distruzione di massa  che non sono state trovate;
-          sconfiggere il terrorismo islamico che, in Iraq, prima della guerra, non era molto rappresentato (peraltro, tenuto conto che dei 14 arrestati per la strage dell’11 settembre ben 14 erano sauditi, ci si potrebbe domandare perché allora attaccare l’Iraq anziché l’Arabia Saudita),mentre, proprio a causa della guerra, il paese è diventato un’immensa base di Al Qaeda, organizzazione cui si sono avvicinati anche coloro che pur non essendo fondamentalisti vogliono tuttavia cacciare le truppe straniere dal proprio paese;
-          esportare la democrazia in Iraq e poi in tutta l’area mediorientale con conseguente stabilizzazione dell’area, ma, a prescindere dal fatto che la democrazia non si esporta con le bombe, si è visto che tra gli esportatori di democrazia c’erano  torturatori e pervertiti sessuali, forse solo tollerati, ma, più probabilmente, comandati a quei comportamenti dai vertici militari e dei servizi segreti.
Intanto,mentre la situazione rimane incandescente in tutta l’area mediorientale, anche per la politica scriteriata di Sharon appoggiato senza condizioni dal governo Bush, il prezzo del petrolio aumenta e le aziende, in larga parte americane, accorse in Iraq per dare l’avvio alla stramiliardaria opera di ricostruzione, sono costrette alla fuga.
Ora Stati Uniti e Inghilterra invocano l’ONU, fin qui tanto disprezzata, e sperano di continuare a dirigere la guerra sotto una divisa diversa.  Ma giustamente la Francia frena perché vuole garanzie sui comandi. E non si può certo pretendere che chi ha avversato questa disgraziata guerra ora voglia venire incontro a chi l’ha voluta salvandogli la faccia senza nemmeno ottenere un comando e garanzie sulla partecipazione alla ricostruzione.
Intanto da noi i politici degli opposti schieramenti continuano a discutere, insultandosi a vicenda, se dobbiamo andarcene o restare in Iraq.
Chi sostiene il mantenimento delle truppe lo motiva in larga parte con il fatto che andarsene significherebbe consegnare il paese alla guerra civile. Forse, ma può anche essere che proprio la presenza di truppe straniere nel paese abbia riunito Sciiti e Sanniti che potrebbero anche trovare un accordo.
A mio parere eventualmente i motivi per restare sono essenzialmente i seguenti:
-          Andarsene oggi potrebbe apparire una fuga disonorevole anche a causa dei venti morti che abbiamo lasciato nella scriteriata operazione decisa per compiacere un potente alleato che si credeva ormai vittorioso  (motivazione non nuova nella storia del nostro paese);
-          Non conviene a noi e a nessun paese occidentale lasciare il paese in mano ai fondamentalisti islamici.
Così una guerra sbagliata voluta sostanzialmente dal governo americano, ma sostenuta anche dalla dabbenaggine di altri governi europei vassalli degli Stati Uniti, è diventata una trappola con poche vie d’uscita.
Infatti anche l’intervento dell’ONU resta improbabile se gli Stati Uniti non intendono rinunciare al comando delle operazioni e dubito che lo faranno.

lunedì 17 maggio 2004

Siamo in guerra

Ormai è palese che la  nostra non è più una missione pace.Non lo è mai stata, ma fino a qualche tempo fa si poteva fingere che lo fosse. Ora siamo in guerra. Sarà il caso che almeno il Parlamento si esprima, come vuole la Costituzione.
Avremmo dovuto essere solidali con Francia e Germania l'anno scorso. Non avremmo poi dovuto partecipare ad una missione che di pace aveva solo il nome. L'Italia e l'Europa non avevano alcun interesse a partecipare alla sconsiderata avventura di Bush. Oggi però da quell'avventura è derivata una situazione pericolosa per tutto l'Occidente e forse non è più il caso di abbandonare, non tanto per l'eventuale guerra civile che potrebbe insorgere nel paese (in fondo sono fatti degli iracheni), quanto perché il paese è diventato una base di Al Qaeda, ciò che non era ai tempi di Saddam Hussein, e l'eventuale vittoria degli estremisti islamici costituirebbe un grave pericolo per tutto l'Occidente. A questo punto ci vorrebbe una risoluzione comune europea che decidesse di continuare la guerra. Ma posso anche capire che chi non l'ha mai voluta non si voglia impegnare, anche perché le opinioni pubbliche sono in larga parte contrarie.

domenica 16 maggio 2004

Iraq - Che si arrangino da soli!

[La vignetta di Elle Kappa presa dalla Repubblica diceva "che succederà  se lasciamo l'Iraq?" "Niente, gli lasciamo cappuccio, chiodi, filo spinato, elettrodi, ecc., e che si arrangino da soli]




















sabato 15 maggio 2004

BARBARIE

Non ci sono limiti all’orrore.
Prima le foto delle torture sui prigionieri iracheni da parte dei soldati americani venuti a portare la democrazia a chi per trent’anni aveva subito il terrore di un regime dittatoriale, poi il video del civile americano sgozzato.
Si tratta di episodi ugualmente esecrabili, con la differenza che loro, i fondamentalisti islamici, sono “barbari”, mentre gli americani non solo dovrebbero essere civili, ma si sarebbero assunti il compito di portare la democrazia nel mondo.

martedì 11 maggio 2004

Moschee e terrore

E' possibile che ci si accorga solo ora che molte moschee sono centri di organizzazione del fondamentalismo islamico e del terrorismo? Che ci si accorga solo ora che gli "imam" predicano l'odio nei confronti dell'Occidente e incitano alla guerra santa, plagiando anche minorenni cui inculcano il concetto del martirio.
Non si tratta certo di criminalizzare tutti i musulmani, tanto meno si vuole sostenere la necessità di limitare le libertà democratiche per nessuno, ma certamente bisogna riconoscere che il fenomeno è molto esteso, pericoloso, e soprattutto che non è nato negli ultimi tempi.
Lo Stato sarebbe dovuto intervenire prima, ma anche la cultura e la politica hanno le loro colpe. Occorre riconoscere che molto spesso, per un malinteso concetto di multiculturalità, molto sentito a sinistra, non si è voluto vedere la realtà. E mentre in occidente si parla di multiculturalità, i musulmani sono i primi a non volerla, loro vogliono solo imporci la loro di "cultura". E mi sembra abnorme che la sinistra si senta vicina a chi porta avanti concetti antitetici al progresso. Qui ha ragione la Fallaci quando dice che la sinistra non è mai stata laica. Un movimento laico e progressista (ma come poteva essere tale il catto-comunismo) non avrebbe potuto sentirsi vicino a chi sostiene una concezione a dir poco arcaica dell'esistenza che, tra l’altro, e non è poco, comporta la sottomissione totale della donna, e che per questa concezione arcaica è disposto a mettere a ferro e fuoco il mondo.
La guerra dunque l’avevamo e l’abbiamo in casa. E’ qui e non in Iraq che dobbiamo combattere e l’avremmo dovuto fare da tempo. E la guerra è prima culturale che militare.
Questo non vuol dire che non si debba distinguere tra i musulmani che sono terroristi, che sostengono il terrorismo o che almeno non lo condannano e i musulmani che sinceramente lo avversano, anche se comunque è un dato di fatto che nel mondo islamico manca il concetto della separazione tra Stato e Chiesa senza il quale non ci può essere democrazia.
Tutto ciò ovviamente non riduce l’orrore e la condanna per gli episodi delle torture sui prigionieri in Iraq, a prescindere dal fatto che non tutti gli iracheni che combattono le forze di occupazione (perché tali sono) sono fondamentalisti islamici e terroristi, ma sicuramente c’è anche chi è spinto legittimamente da orgoglio nazionale.
Tutto ciò non giustifica l’intervento armato in paesi sovrani con la motivazione ipocrita di portare la democrazia (e il libero mercato e governi vassalli degli Stati Uniti), tanto più ipocrita quando poi si utilizzano certi sistemi.
Ora i filoamericani sostengono che in democrazia i torturatori finiscono in galera, mentre nelle dittature fanno carriera. Si, finiscono in galera, certo, ma solo perché qualcuno ha parlato e la cosa è finita sui giornali, mentre da un anno i vertici sapevano, tolleravano e spesso incoraggiavano. Ora che finiscano in galera gli esecutori materiali, sicuramente perversi psicolabili, va bene, ma non è sufficiente, perché in galera ci dovrebbero finire anche e soprattutto i responsabili ai più alti livelli, ma per il momento sono assai improbabili persino le dimissioni.

venerdì 7 maggio 2004

Habeas Corpus

Ci si scandalizza giustamente per i fatti di Abu Ghraib, soprattutto perché in quelle immagini la democrazia che impone se stessa con le armi non si dimostra meglio delle dittature che dice di volere abbattere.
Ma a 800 anni dall’”Habeas corpus” sancito dalla “Magna Carta”, cioè la promessa del sovrano di non “mettere mano” sul corpo del suddito, la tortura continua ad essere pratica comune e nel nostro paese si discute una legge in cui la tortura è tale solo se reiterata!
Ad ogni modo mi sembra interessante la lettura del commento di Massimo Cacciari su Repubblica nell’articolo “Il male radicale” ove si invita a riflettere su quante Abu Ghraib ci siano nel mondo che rimarranno nascoste fino al giorno in cui per qualche motivo non finiranno sui giornali, e sulle cause che le determinano. Ci sarà pure un motivo se alcune potenze, tra cui gli USA, rifiutano di aderire alla Corte Penale Internazionale.

Privatizzazione della guerra

Si è parlato in questi giorni dei “contractors”, cioè civili arruolati attraverso agenzie di sicurezza per andare in Iraq come guardie del corpo, autisti o per “interrogare” i prigionieri. Uomini armati, che talvolta si trovano anche a combattere, ma essendo civili sfuggono alle regole (e alla giustizia) militare. Di questi “contractors” in Iraq se ne troverebbero circa diecimila.
Un rapporto dell'esercito USA (di cui sono entrati in possesso New Yorker, New York Times e Los Angeles Times ) cita due società appaltatrici del Pentagono, La Caci di Arlington, Virginia, e la Titan di San Diego, California. Ai loro dipendenti era stato affidato il compito di "facilitare gli interrogatori" dell'intelligence militare.
In un articolo di Repubblica di ieri si legge che la CACI aveva ancora fino a pochi giorni fa sul suo sito la pubblicità per chi voleva essere assunto come “interrogatore” con l’assicurazione che avrebbe lavorato sotto una “moderata supervisione”. Ovviamente la società smentisce qualsiasi coinvolgimento negli episodi accaduti nella prigione di Abu Ghraib.
Ad ogni modo il conflitto iracheno ha portato alla ribalta una questione non nuova, ma spesso sottovalutata o addirittura sconosciuta: la privatizzazione della guerra e della sicurezza.

mercoledì 5 maggio 2004

Guerre (democratiche) e pratiche connesse

Brevemente,perché non sto scrivendo dal mio computer, che è stato colpito da SASSER (Dio stramaledica gli inventori dei virus, o worms che dir si voglia, i quali danneggeranno pure Bill Gates, ma li rompono anche a me).

Ritornando alle torture dei militari Usa sui detenuti iracheni, sembra che non si tratti di episodi isolati da addebitare alla perversione di alcuni singoli ma di un comportamento diffuso. E sembra che in diversi casi abbiano comportato anche la morte di coloro che a quelle pratiche sono stati sottoposti. Ad ogni modo quello che più mi ha fatto schifo, al di là  delle violenze, ovviamente esecrabili, è l'umiliazione dei prigionieri, l'utilizzo dei loro corpi in simulazioni di pratiche oscene e simili nefandezze.  Perversione e arroganza insieme. Qualcosa che va al di là del tentativo di estorcere confessioni.

Bush si dichiara inorridito e le massime autorità politiche e militari condannano gli abusi ma non manca chi denuncia che queste pratiche sono abituali, anche nei paesi più avanzati. E comunque guerre, sommosse e rivoluzioni, hanno sempre comportato eccessi e violenze che vanno al di là della pura pratica bellica.  Ciò è pur vero, ma quando un paese si definisce l'impero del bene e poi non controlla il comportamento dei propri soldati o addirittura li incoraggia in pratiche orrende, come sembra sia accaduto, queste giustificazioni sono inaccettabili.

Ma qualcuno pensava davvero che la guerra condotta dall'impero del bene e dai suoi alleati per portare la democrazia al popolo iracheno fosse veramente tale? Chi ci credeva dovrebbe ricredersi, ma sono certa che non lo farà , anche perché ipocritamente fingeva solo di crederci e continuerà a farlo.

Quello che mi fa più schifo è l' ipocrisia che negli ultimi tempi ha raggiunto livelli veramente rivoltanti.

Peraltro ci sarebbe anche da domandarsi come mai quegli episodi che non sono certo di ieri (peraltro sembra siano accaduti anche in Afghanistan, ovviamente) siano stati denunciati solo ora. Qualcuno si è improvvisamente  schifato e ha parlato, oppure di certi comportamenti già  si sapeva, ma sarebbero stati passati sotto silenzio se la guerra di Bush non fosse finita in un'empasse tanto che anche negli USA si comincia a desiderare da più parti di levarsi dalle scatole Bush e l'impegno disastroso in Iraq, mentre gli alleati non vedono l'ora di fuggire con la strana eccezione dell'Italia di Berlusconi che si fregia del titolo di miglior alleato (vassallo).

Una volta le potenze facevano la loro politica di potenza e mandavano i propri soldati dove ritenevano utile per i loro interessi. E si sapeva che la guerra era la guerra con tutto quello che una guerra comporta.

Oggi l'iperpotenza americana ha inventato la guerra per portare la democrazia a tutto il mondo, democrazia che sarebbe la naturale condizione cui gli uomini aspirano insieme con il corollario del libero mercato.

L'URSS invadeva i paesi satelliti con la scusa di essere stata chiamata dai partiti fratelli in pericolo, gli USA stanno facendo di peggio. Prima occupano un paese e poi cercano di instaurare un governo fantoccio che avalli l'occupazione e la trasformi in liberazione. Ma sembra che in Iraq non siano tornati i conti.

Intanto i filo americani di casa nostra, come i filosovietici di una volta, non vedono e non sentono e una giustificazione alla loro patria di elezione la trovano sempre.



domenica 2 maggio 2004

Iraq - Vecchi funzionari e vecchi metodi

Dopo un mese di combattimenti gli americani hanno tolto l’assedio a Falluja e non hanno trovato niente di meglio che affidare il compito di riportare la calma e l’ordine in città ad un ex-generale della Guardia Repubblicana di Saddam Hussein, Jassim Mohammed Saleh, accolto con grandi manifestazioni di gioia e sventolii di bandiere irachene, da un migliaio di persone, per lo più profughi fuggiti nei giorni dell’assedio statunitense.
Del resto è stato sostenuto da diverse parti che gli americani avrebbero sbagliato ad epurare completamente i funzionari del vecchio regime. Ora se si può essere d’accordo con questa tesi in relazione a funzionari statali, insegnanti, e simili, che probabilmente avevano preso la tessera del partito Baath solo per poter lavorare, mi sembra che  richiamare in servizio i soldati e soprattutto i generali della guardia repubblicana sia una marcia indietro un po’ eccessiva.

Intanto hanno fatto il giro del mondo le foto choc delle torture inferte dai militari americani ai prigionieri iracheni nel carcere di Abu Ghraib, già adibito allo scopo ai tempi di Saddam. Ovviamente il governo USA è inorridito e certamente i responsabili saranno puniti. Ma il generale Janis Karpinski, capo del famigerato carcere in cui si sono verificati i fatti, che ora rischia posto e carriera, in un'intervista telefonica al New York Times - che ne riferisce sul suo sito internet – dicendosi "nauseata" dalle fotografie, di cui sarebbe venuta a conoscenza solo settimane dopo, ha affermato che sarebbero stati gli 007 a "incoraggiare" i soldati Usa a tali comportamenti sui prigionieri. La Karpinski ha spiegato di aver deciso di parlare perché ritiene che i comandanti militari stiano cercando di addossare esclusivamente a lei e ai suoi soldati la responsabilità di quanto avvenuto nella prigione, per non coinvolgere ufficiali dell'intelligence ancora operativi in Iraq.

mercoledì 26 maggio 2004

Un po' d'ironia

Poiché non si può essere sempre seri mi sono fatta un giro sul sito VOTANTONIO dove ho trovato alcune vignette carine come quella sottoriportata:













E c'è anche un nuovo portale:











A proposito di Berlusconi, ha nuovamente detto che dopo il voto diminuirà  le tasse, allora votiamolo, dopo le elezioni (da una vignetta di Altan).

LUI SAPEVA






We know that long before September 11th, indeed from its first days, the Bush Administration was planning for war with Iraq and the subsequent occupation of the country.

Ignoring reports from weapons inspectors, overriding objections from our allies, overruling the dissenting views of his intelligence agencies, George Bush relentlessly led us into a war that has cost 500 American lives, left 3,000 seriously injured, and has already cost more than $100 billion.
He knew Iraq was not a nuclear threat. He knew there was no Iraq connection to 9/11.
For all these reasons, Congress must censure George Bush.

WIN WITHOUT WAR

La statua della libertà con il cappuccio nero





La Statua della Libertà con la testa coperta da un cappuccio nero, come se l'America fosse uscita dalla prigione di Abu Ghraib, e una voce fuori campo che afferma:“DICEVANO CHE ANDAVAMO IN IRAQ PER PORTARE I VALORI AMERICANI: DEMOCRAZIA, LIBERTA’. MA QUALCOSA E’ ANDATO TERRIBILMENTE STORTO”.
Si tratta di uno spot di protesta per le torture in Iraq intitolato “Licenziare Rumsfeld” che ha cominciato a girare oggi in 14 grandi città degli Usa e che resterà sugli schermi per una settimana. A incappucciare la statua è stata la "MoveON.org", l'organizzazione “liberal” che, nella corsa alla Casa Bianca 2004, propone da mesi slogan e filmati anti-Bush.


martedì 25 maggio 2004

La trappola Iraq

Se la guerra lampo è stata un successo, e come poteva non esserlo quando il più potente esercito del mondo attacca un piccolo paese, peraltro immiserito da 10 anni di blocco economico, il “dopoguerra”  si è dimostrato un totale fallimento.
Le forze della coalizione non sono state accolte come liberatrici, ma avversate come occupanti e l’ostilità nei loro confronti non accenna a diminuire coinvolgendo anche le nostre truppe che, in teoria, dovrebbero svolgere una missione di “peacekeeping”, ma si sono trovate implicate in una vera e propria guerra.
In sintesi il governo Bush ha voluto e fatto questa guerra adducendo motivazioni che si sono dimostrate tutte false o irrealizzabili, e cioè:
-          sventare un attacco con armi di distruzione di massa  che non sono state trovate;
-          sconfiggere il terrorismo islamico che, in Iraq, prima della guerra, non era molto rappresentato (peraltro, tenuto conto che dei 14 arrestati per la strage dell’11 settembre ben 14 erano sauditi, ci si potrebbe domandare perché allora attaccare l’Iraq anziché l’Arabia Saudita),mentre, proprio a causa della guerra, il paese è diventato un’immensa base di Al Qaeda, organizzazione cui si sono avvicinati anche coloro che pur non essendo fondamentalisti vogliono tuttavia cacciare le truppe straniere dal proprio paese;
-          esportare la democrazia in Iraq e poi in tutta l’area mediorientale con conseguente stabilizzazione dell’area, ma, a prescindere dal fatto che la democrazia non si esporta con le bombe, si è visto che tra gli esportatori di democrazia c’erano  torturatori e pervertiti sessuali, forse solo tollerati, ma, più probabilmente, comandati a quei comportamenti dai vertici militari e dei servizi segreti.
Intanto,mentre la situazione rimane incandescente in tutta l’area mediorientale, anche per la politica scriteriata di Sharon appoggiato senza condizioni dal governo Bush, il prezzo del petrolio aumenta e le aziende, in larga parte americane, accorse in Iraq per dare l’avvio alla stramiliardaria opera di ricostruzione, sono costrette alla fuga.
Ora Stati Uniti e Inghilterra invocano l’ONU, fin qui tanto disprezzata, e sperano di continuare a dirigere la guerra sotto una divisa diversa.  Ma giustamente la Francia frena perché vuole garanzie sui comandi. E non si può certo pretendere che chi ha avversato questa disgraziata guerra ora voglia venire incontro a chi l’ha voluta salvandogli la faccia senza nemmeno ottenere un comando e garanzie sulla partecipazione alla ricostruzione.
Intanto da noi i politici degli opposti schieramenti continuano a discutere, insultandosi a vicenda, se dobbiamo andarcene o restare in Iraq.
Chi sostiene il mantenimento delle truppe lo motiva in larga parte con il fatto che andarsene significherebbe consegnare il paese alla guerra civile. Forse, ma può anche essere che proprio la presenza di truppe straniere nel paese abbia riunito Sciiti e Sanniti che potrebbero anche trovare un accordo.
A mio parere eventualmente i motivi per restare sono essenzialmente i seguenti:
-          Andarsene oggi potrebbe apparire una fuga disonorevole anche a causa dei venti morti che abbiamo lasciato nella scriteriata operazione decisa per compiacere un potente alleato che si credeva ormai vittorioso  (motivazione non nuova nella storia del nostro paese);
-          Non conviene a noi e a nessun paese occidentale lasciare il paese in mano ai fondamentalisti islamici.
Così una guerra sbagliata voluta sostanzialmente dal governo americano, ma sostenuta anche dalla dabbenaggine di altri governi europei vassalli degli Stati Uniti, è diventata una trappola con poche vie d’uscita.
Infatti anche l’intervento dell’ONU resta improbabile se gli Stati Uniti non intendono rinunciare al comando delle operazioni e dubito che lo faranno.

lunedì 17 maggio 2004

Siamo in guerra

Ormai è palese che la  nostra non è più una missione pace.Non lo è mai stata, ma fino a qualche tempo fa si poteva fingere che lo fosse. Ora siamo in guerra. Sarà il caso che almeno il Parlamento si esprima, come vuole la Costituzione.
Avremmo dovuto essere solidali con Francia e Germania l'anno scorso. Non avremmo poi dovuto partecipare ad una missione che di pace aveva solo il nome. L'Italia e l'Europa non avevano alcun interesse a partecipare alla sconsiderata avventura di Bush. Oggi però da quell'avventura è derivata una situazione pericolosa per tutto l'Occidente e forse non è più il caso di abbandonare, non tanto per l'eventuale guerra civile che potrebbe insorgere nel paese (in fondo sono fatti degli iracheni), quanto perché il paese è diventato una base di Al Qaeda, ciò che non era ai tempi di Saddam Hussein, e l'eventuale vittoria degli estremisti islamici costituirebbe un grave pericolo per tutto l'Occidente. A questo punto ci vorrebbe una risoluzione comune europea che decidesse di continuare la guerra. Ma posso anche capire che chi non l'ha mai voluta non si voglia impegnare, anche perché le opinioni pubbliche sono in larga parte contrarie.

domenica 16 maggio 2004

Iraq - Che si arrangino da soli!

[La vignetta di Elle Kappa presa dalla Repubblica diceva "che succederà  se lasciamo l'Iraq?" "Niente, gli lasciamo cappuccio, chiodi, filo spinato, elettrodi, ecc., e che si arrangino da soli]




















sabato 15 maggio 2004

BARBARIE

Non ci sono limiti all’orrore.
Prima le foto delle torture sui prigionieri iracheni da parte dei soldati americani venuti a portare la democrazia a chi per trent’anni aveva subito il terrore di un regime dittatoriale, poi il video del civile americano sgozzato.
Si tratta di episodi ugualmente esecrabili, con la differenza che loro, i fondamentalisti islamici, sono “barbari”, mentre gli americani non solo dovrebbero essere civili, ma si sarebbero assunti il compito di portare la democrazia nel mondo.

martedì 11 maggio 2004

Moschee e terrore

E' possibile che ci si accorga solo ora che molte moschee sono centri di organizzazione del fondamentalismo islamico e del terrorismo? Che ci si accorga solo ora che gli "imam" predicano l'odio nei confronti dell'Occidente e incitano alla guerra santa, plagiando anche minorenni cui inculcano il concetto del martirio.
Non si tratta certo di criminalizzare tutti i musulmani, tanto meno si vuole sostenere la necessità di limitare le libertà democratiche per nessuno, ma certamente bisogna riconoscere che il fenomeno è molto esteso, pericoloso, e soprattutto che non è nato negli ultimi tempi.
Lo Stato sarebbe dovuto intervenire prima, ma anche la cultura e la politica hanno le loro colpe. Occorre riconoscere che molto spesso, per un malinteso concetto di multiculturalità, molto sentito a sinistra, non si è voluto vedere la realtà. E mentre in occidente si parla di multiculturalità, i musulmani sono i primi a non volerla, loro vogliono solo imporci la loro di "cultura". E mi sembra abnorme che la sinistra si senta vicina a chi porta avanti concetti antitetici al progresso. Qui ha ragione la Fallaci quando dice che la sinistra non è mai stata laica. Un movimento laico e progressista (ma come poteva essere tale il catto-comunismo) non avrebbe potuto sentirsi vicino a chi sostiene una concezione a dir poco arcaica dell'esistenza che, tra l’altro, e non è poco, comporta la sottomissione totale della donna, e che per questa concezione arcaica è disposto a mettere a ferro e fuoco il mondo.
La guerra dunque l’avevamo e l’abbiamo in casa. E’ qui e non in Iraq che dobbiamo combattere e l’avremmo dovuto fare da tempo. E la guerra è prima culturale che militare.
Questo non vuol dire che non si debba distinguere tra i musulmani che sono terroristi, che sostengono il terrorismo o che almeno non lo condannano e i musulmani che sinceramente lo avversano, anche se comunque è un dato di fatto che nel mondo islamico manca il concetto della separazione tra Stato e Chiesa senza il quale non ci può essere democrazia.
Tutto ciò ovviamente non riduce l’orrore e la condanna per gli episodi delle torture sui prigionieri in Iraq, a prescindere dal fatto che non tutti gli iracheni che combattono le forze di occupazione (perché tali sono) sono fondamentalisti islamici e terroristi, ma sicuramente c’è anche chi è spinto legittimamente da orgoglio nazionale.
Tutto ciò non giustifica l’intervento armato in paesi sovrani con la motivazione ipocrita di portare la democrazia (e il libero mercato e governi vassalli degli Stati Uniti), tanto più ipocrita quando poi si utilizzano certi sistemi.
Ora i filoamericani sostengono che in democrazia i torturatori finiscono in galera, mentre nelle dittature fanno carriera. Si, finiscono in galera, certo, ma solo perché qualcuno ha parlato e la cosa è finita sui giornali, mentre da un anno i vertici sapevano, tolleravano e spesso incoraggiavano. Ora che finiscano in galera gli esecutori materiali, sicuramente perversi psicolabili, va bene, ma non è sufficiente, perché in galera ci dovrebbero finire anche e soprattutto i responsabili ai più alti livelli, ma per il momento sono assai improbabili persino le dimissioni.

venerdì 7 maggio 2004

Habeas Corpus

Ci si scandalizza giustamente per i fatti di Abu Ghraib, soprattutto perché in quelle immagini la democrazia che impone se stessa con le armi non si dimostra meglio delle dittature che dice di volere abbattere.
Ma a 800 anni dall’”Habeas corpus” sancito dalla “Magna Carta”, cioè la promessa del sovrano di non “mettere mano” sul corpo del suddito, la tortura continua ad essere pratica comune e nel nostro paese si discute una legge in cui la tortura è tale solo se reiterata!
Ad ogni modo mi sembra interessante la lettura del commento di Massimo Cacciari su Repubblica nell’articolo “Il male radicale” ove si invita a riflettere su quante Abu Ghraib ci siano nel mondo che rimarranno nascoste fino al giorno in cui per qualche motivo non finiranno sui giornali, e sulle cause che le determinano. Ci sarà pure un motivo se alcune potenze, tra cui gli USA, rifiutano di aderire alla Corte Penale Internazionale.

Privatizzazione della guerra

Si è parlato in questi giorni dei “contractors”, cioè civili arruolati attraverso agenzie di sicurezza per andare in Iraq come guardie del corpo, autisti o per “interrogare” i prigionieri. Uomini armati, che talvolta si trovano anche a combattere, ma essendo civili sfuggono alle regole (e alla giustizia) militare. Di questi “contractors” in Iraq se ne troverebbero circa diecimila.
Un rapporto dell'esercito USA (di cui sono entrati in possesso New Yorker, New York Times e Los Angeles Times ) cita due società appaltatrici del Pentagono, La Caci di Arlington, Virginia, e la Titan di San Diego, California. Ai loro dipendenti era stato affidato il compito di "facilitare gli interrogatori" dell'intelligence militare.
In un articolo di Repubblica di ieri si legge che la CACI aveva ancora fino a pochi giorni fa sul suo sito la pubblicità per chi voleva essere assunto come “interrogatore” con l’assicurazione che avrebbe lavorato sotto una “moderata supervisione”. Ovviamente la società smentisce qualsiasi coinvolgimento negli episodi accaduti nella prigione di Abu Ghraib.
Ad ogni modo il conflitto iracheno ha portato alla ribalta una questione non nuova, ma spesso sottovalutata o addirittura sconosciuta: la privatizzazione della guerra e della sicurezza.

mercoledì 5 maggio 2004

Guerre (democratiche) e pratiche connesse

Brevemente,perché non sto scrivendo dal mio computer, che è stato colpito da SASSER (Dio stramaledica gli inventori dei virus, o worms che dir si voglia, i quali danneggeranno pure Bill Gates, ma li rompono anche a me).

Ritornando alle torture dei militari Usa sui detenuti iracheni, sembra che non si tratti di episodi isolati da addebitare alla perversione di alcuni singoli ma di un comportamento diffuso. E sembra che in diversi casi abbiano comportato anche la morte di coloro che a quelle pratiche sono stati sottoposti. Ad ogni modo quello che più mi ha fatto schifo, al di là  delle violenze, ovviamente esecrabili, è l'umiliazione dei prigionieri, l'utilizzo dei loro corpi in simulazioni di pratiche oscene e simili nefandezze.  Perversione e arroganza insieme. Qualcosa che va al di là del tentativo di estorcere confessioni.

Bush si dichiara inorridito e le massime autorità politiche e militari condannano gli abusi ma non manca chi denuncia che queste pratiche sono abituali, anche nei paesi più avanzati. E comunque guerre, sommosse e rivoluzioni, hanno sempre comportato eccessi e violenze che vanno al di là della pura pratica bellica.  Ciò è pur vero, ma quando un paese si definisce l'impero del bene e poi non controlla il comportamento dei propri soldati o addirittura li incoraggia in pratiche orrende, come sembra sia accaduto, queste giustificazioni sono inaccettabili.

Ma qualcuno pensava davvero che la guerra condotta dall'impero del bene e dai suoi alleati per portare la democrazia al popolo iracheno fosse veramente tale? Chi ci credeva dovrebbe ricredersi, ma sono certa che non lo farà , anche perché ipocritamente fingeva solo di crederci e continuerà a farlo.

Quello che mi fa più schifo è l' ipocrisia che negli ultimi tempi ha raggiunto livelli veramente rivoltanti.

Peraltro ci sarebbe anche da domandarsi come mai quegli episodi che non sono certo di ieri (peraltro sembra siano accaduti anche in Afghanistan, ovviamente) siano stati denunciati solo ora. Qualcuno si è improvvisamente  schifato e ha parlato, oppure di certi comportamenti già  si sapeva, ma sarebbero stati passati sotto silenzio se la guerra di Bush non fosse finita in un'empasse tanto che anche negli USA si comincia a desiderare da più parti di levarsi dalle scatole Bush e l'impegno disastroso in Iraq, mentre gli alleati non vedono l'ora di fuggire con la strana eccezione dell'Italia di Berlusconi che si fregia del titolo di miglior alleato (vassallo).

Una volta le potenze facevano la loro politica di potenza e mandavano i propri soldati dove ritenevano utile per i loro interessi. E si sapeva che la guerra era la guerra con tutto quello che una guerra comporta.

Oggi l'iperpotenza americana ha inventato la guerra per portare la democrazia a tutto il mondo, democrazia che sarebbe la naturale condizione cui gli uomini aspirano insieme con il corollario del libero mercato.

L'URSS invadeva i paesi satelliti con la scusa di essere stata chiamata dai partiti fratelli in pericolo, gli USA stanno facendo di peggio. Prima occupano un paese e poi cercano di instaurare un governo fantoccio che avalli l'occupazione e la trasformi in liberazione. Ma sembra che in Iraq non siano tornati i conti.

Intanto i filo americani di casa nostra, come i filosovietici di una volta, non vedono e non sentono e una giustificazione alla loro patria di elezione la trovano sempre.



domenica 2 maggio 2004

Iraq - Vecchi funzionari e vecchi metodi

Dopo un mese di combattimenti gli americani hanno tolto l’assedio a Falluja e non hanno trovato niente di meglio che affidare il compito di riportare la calma e l’ordine in città ad un ex-generale della Guardia Repubblicana di Saddam Hussein, Jassim Mohammed Saleh, accolto con grandi manifestazioni di gioia e sventolii di bandiere irachene, da un migliaio di persone, per lo più profughi fuggiti nei giorni dell’assedio statunitense.
Del resto è stato sostenuto da diverse parti che gli americani avrebbero sbagliato ad epurare completamente i funzionari del vecchio regime. Ora se si può essere d’accordo con questa tesi in relazione a funzionari statali, insegnanti, e simili, che probabilmente avevano preso la tessera del partito Baath solo per poter lavorare, mi sembra che  richiamare in servizio i soldati e soprattutto i generali della guardia repubblicana sia una marcia indietro un po’ eccessiva.

Intanto hanno fatto il giro del mondo le foto choc delle torture inferte dai militari americani ai prigionieri iracheni nel carcere di Abu Ghraib, già adibito allo scopo ai tempi di Saddam. Ovviamente il governo USA è inorridito e certamente i responsabili saranno puniti. Ma il generale Janis Karpinski, capo del famigerato carcere in cui si sono verificati i fatti, che ora rischia posto e carriera, in un'intervista telefonica al New York Times - che ne riferisce sul suo sito internet – dicendosi "nauseata" dalle fotografie, di cui sarebbe venuta a conoscenza solo settimane dopo, ha affermato che sarebbero stati gli 007 a "incoraggiare" i soldati Usa a tali comportamenti sui prigionieri. La Karpinski ha spiegato di aver deciso di parlare perché ritiene che i comandanti militari stiano cercando di addossare esclusivamente a lei e ai suoi soldati la responsabilità di quanto avvenuto nella prigione, per non coinvolgere ufficiali dell'intelligence ancora operativi in Iraq.