giovedì 1 settembre 2016

La disgustosa campagna sulla fertilità

Questa volta non gli è andata bene. Gli slogan del Governo hanno fatto un po' schifo. La campagna del "fertility day"  ha suscitato fortunatamente parecchio disgusto. Addirittura la fertilità (talvolta scritto anche con la F maiuscola nel piano del governo!) sarebbe un bene comune, come l'acqua.  Ho notato però che sono pervenuti assensi da parte di insospettabili antigovernativi, in particolare da quelli che temono che gli immigrati ci sostituiranno. Dunque donne fate figli perché altrimenti saremo sostituiti dagli immigrati! Quindi fare figli non sarebbe più una scelta personale (che magari i governi avrebbero il dovere di aiutare con politiche idonee, più lavoro, più garanzie, più asili nido, più mense scolastiche, più servizi ) ma un obbligo di Stato.  

In molti abbiamo detto che ci ricordava qualcosa. Qualcuno per aver parlato di deriva verso il passato mi ha paragonato a un "cagnaccio pavloviano" che appena sente parlare di "nascite" pensa: "fascismo", ma era ovvio che a fronte di tali idiozie la prima cosa che poteva venire in mente era la campagna di mussoliniana memoria sulla potenza del numero. 

Perché si dovrebbe aver paura della denatalità in un mondo sovrappopolato in cui vivono attualmente 7 miliardi di persone ma che presto saranno il doppio? E anche da noi con un territorio in larga parte montuoso e disastrato 60 milioni sono già troppi. Di pianeti ne abbiamo al momento uno solo e lo stiamo distruggendo. Più siamo, più inquiniamo, anche se certo si potrebbero varare efficaci politiche per il territorio, ma non mi sembra che, al di là dei discorsi e degli inutili summit, si faccia molto in questa direzione.

Dunque paura che gli immigrati ci sostituiscano? Probabilmente accadrà se continuiamo a non risolvere i problemi, anzi ad aggravarli. Certo che gli immigrati rappresentano un problema, specialmente quelli che provengono da culture troppo diverse dalla nostra  e che hanno l'intenzione di riproporla da noi. La soluzione però sta nello stabilire e fare rispettare dei criteri (non possiamo accogliere tutti senza distinzioni), nell'operare i necessari controlli,  e soprattutto nella tolleranza zero nei confronti di comportamenti e usi che contrastano talvolta anche con le nostre leggi, ma quasi sempre con i nostri principi, la soluzione sta nell'educazione e soprattutto nella forza dei valori, delle idee. Certo che se non abbiamo più valori e idee, o ci crediamo sempre meno,  e pensiamo di risolvere il problema con il numero siamo perduti. 

domenica 21 agosto 2016

La metamorfosi di femministe e progressisti nei confronti dell'Islam

Ma cosa è successo a femministe e progressisti? Sembra che la paura di apparire islamofobi o razzisti abbia determinato in loro una metamorfosi.

Leggo post deliranti su Facebook e persino articoli altrettanto deliranti di persone che penserei dovessero avere avere una visione della situazione mondiale un po' più profonda della maggior parte di coloro che scrivono sui socialnetwork.

Femministe e larga parte del mondo c.d. progressista, così attenti alla difesa dei diritti civili, ma ultimamente più pronti a scagliarsi contro la mercificazione del corpo delle donne in Occidente, cosa che talvolta assume anche contorni ridicoli,  che a combattere per problemi più seri, ora si dimostrano tolleranti nei confronti della sottomissione della donna islamica, sottomissione che certamente non si esplica solo in un modo di vestire, ma di cui anche il modo di vestire è espressione, e che paragonano le palandrane, comunque esse si chiamino, nelle quali deve rinvolgersi al tacco 12, come se da noi ci fosse una legge o una richiesta pressante in tal senso di genitori e mariti, e poi  chi lo porta se non donne dello spettacolo e della politica (che talvolta è la stessa cosa!), o magari alla taglia 42 come mi disse una filoislamica italiana oltre 10 anni fa quando Facebook ancora non esisteva e blateravamo sui blog.

Nel frattempo filosofi marxisti affermano che "la religione della trascendenza (peraltro come se esistessero religioni che non si occupano della trascendenza) – sia islamica, sia cristiana – è una feconda risorsa di senso e di resistenza rispetto al monoteismo idolatrico del mercato, all’integralismo fanatico dell’economia e al nichilismo assoluto della forma merce." (vedere l'articolo di Diego Fusaro su "Il fatto quotidiano" del 17 agosto scorso). 

E se è ormai riconosciuto da molti che questa che vogliono far apparire come guerra di religione e guerra di civiltà, è stata in larga parte creata con finanziamenti occidentali oltre che dell'Arabia Saudita e alleati, e ancora non è chiaro se la cosa sia sfuggita di mano o se invece si stia proseguendo con un disegno ben preciso che potrebbe avere diversi scopi, tuttavia non posso non rilevare che l'articolo di Fusaro è allucinante. Dunque ci sarebbero alcuni orfani del comunismo disponibili a buttarsi nelle braccia di una religione, cristiana o islamica che sia, perché "le religioni della trascendenza restano un ostacolo per l'economia di mercato: già solo per il fatto che sono monoteismi alternativi a quello di mercato"?  

Ma non ci si rende conto che poi le religioni vogliono vendere tutto il pacchetto, compresa la perdita delle libertà individuali? E' quello che è accaduto a partire dalla c.d. rivoluzione islamica iraniana di Khomeini, almeno inizialmente accolta bene a sinistra, perché si era cacciato lo Scià, fantoccio degli Stati Uniti, e oggi ci sono anche dubbi che in fondo gli americani lasciarono fare perché Khomeini rappresentava almeno la garanzia che le forze di ispirazione marxista non si sarebbero mai affermate in Iran. 

E se è vero altresì che il capitalismo, può dimostrarsi "liberal" per quanto riguarda le libertà individuali e i diritti civili, ma dietro questa immagine progressista nasconde ingiustizie sociali, inquinamento ambientale, e via elencando, non mi sembra nemmeno che nelle teocrazie islamiche ci sia giustizia sociale e comunque il mondo cui si deve aspirare è quello in cui siano garantiti al contempo la giustizia sociale, la salute, l'ambiente e ovviamente le libertà individuali.

sabato 20 agosto 2016

Il burkini non è un solo un costume ma è il simbolo di un'ideologia che opprime la donna


Questo è un affresco che decora una sala della Villa romana del Casale di Piazza Armerina risalente al periodo tra il 320 e il 350 d.C. Si vedono fanciulle che fanno esercizi ginnici abbigliate con quello che sembra un moderno bikini. Ora non che tra i romani, come tra i greci, e in genere tra i popoli antichi, la donna avesse la stessa posizione dell'uomo nella società, tutt'altro, ma almeno non c'era quel senso del peccato e quella paura del corpo femminile che avrebbero caratterizzato sia il Cristianesimo che, in seguito, l'Islam. 


In Occidente per tornare a scoprire il corpo della donna sarebbero stati necessari quasi due millenni. 

Anche in alcune società islamiche c'era stata una certa evoluzione del costume nei decenni scorsi, come dimostrano alcune foto degli anni 70 e 80, ma poi c'è stato un regresso che non si può negare. 



Ora le donne islamiche vengono sulle nostre spiagge con il burkini e in Francia alcuni sindaci li hanno vietati scatenando un putiferio di polemiche.

Vedo che anche qui ne hanno parlato in molti sostenendo in larga parte la tesi che ognuno ha diritto di vestirsi come vuole, che anche indossare il burkini è una scelta che va difesa, e giù poi a ricordare che anche le nostre nonne andavano vestite in spiaggia e che nelle campagne portavano vestiti neri e fazzoletti in testa, specialmente se non erano più giovanissime o se erano sposate o vedove. 
Peraltro per quanto riguarda le nostre nonne già dai primi del '900 qualche costume c'era, anche se castigatissimo, e non meno castigati erano quegli degli uomini, ma certo bisogna arrivare agli anni '30 per vedere qualcosa di vagamente idoneo, e sembra che in Italia negli anni '50 il Ministro dell'Interno Scelba mandasse i poliziotti sulle spiagge per controllare - metro alla mano - che l'altezza del bikini fosse"regolamentare".

Tutto questo è vero, ma ricordare che le società occidentali ancora negli anni '50 e '60, soprattutto in Italia, risentivano dell'influsso di una religione che per millenni aveva colpevolizzato la donna e visto nel suo corpo e nel corpo umano in genere uno strumento del demonio, per non dire di altre cose, anche più sostanziali dell'abito, a mio parere ha poco senso, perché le nostre società si sono evolute, quelle islamiche ancora no e negli ultimi decenni, anzi, si è verificata un'involuzione, un imbarbarimento, che ha molte cause di cui si può discutere, ma che non si può disconoscere. 

E dubito che andare in giro su una spiaggia e soprattutto nuotare paludate con il burkini, come girare per le città con oltre 30 gradi, coperte da capo a piedi, sia una libera scelta, almeno che non si sia masochiste, o lo si faccia per provocare. Pertanto non spenderei tante parole per difendere questa presunta libertà di vestirsi come si vuole, quando è evidente che burka, hijab, chador, ma anche un semplice velo e il burkini, sono forme di mortificazione della donna e simbolo della sottomissione della stessa.

Peraltro continuare in questa direzione significa cadere nella trappola degli islamisti che sanno che gli consentiamo tutto pur di non passare per islamofobi e razzisti.

Fortunatamente di tanto in tanto nel profluvio di post e articoli indignati in difesa della libertà delle donne islamiche di vestirsi come vogliono si legge anche qualche articolo più serio, come questo di Monica Lanfranco sul Fatto Quotidiano del 17 agosto scorso, che stigmatizza l'imbarbarimento dell'Islam degli ultimi decenni con la sua ossessione per la fisicità e la sessualità e la schiavizzazione delle donne.


E sulla pagina di Facebook di un italiano di origini arabe ho scoperto che addirittura in molte piscine e spiagge, sia in Egitto che in Marocco che in altri paesi arabi, il burkini è vietato, ufficialmente per "ragioni igieniche" nel caso delle piscine e di "decoro" nel caso delle spiagge, ma in verità perché non si vogliono le "imburkinate" che quasi mai si limitano a fare il bagno senza dare fastidio alle connazionali in costume. Quindi appare abbastanza demenziale che si voglia permettere in Europa ciò che si cerca faticosamente di arginare nei paesi arabi.


venerdì 27 maggio 2016

Francesco Starace, AD di Enel, alla LUISS: come si distruggono gli oppositori.

Cambiamento è una delle parole più amate dai politici, in particolare in campagna elettorale, ma particolarmente abusata negli ultimi tempi. Basti pensare che larga parte della campagna elettorale di Renzi per il referendum sulla riforma costituzionale si incentra sull'Italia che cambia, che dice SI al cambiamento.

Però se si cerca su un vocabolario si trova che cambiamento significa mutamento, trasformazione, variazione, atto ed effetto del diventare diverso. Il cambiamento dunque è neutro, non è positivo per definizione e può anche non richiamare necessariamente un'evoluzione.
Ora se non si può negare che nel nostro paese ci sono molte cose da cambiare, bisogna vedere come si intende cambiarle.


E a proposito di cambiamenti volevo richiamare l'attenzione su un episodio che ha fatto scalpore in questi giorni e che riguarda Francesco Starace, da due anni amministratore delegato di Enel, che, in un incontro dello scorso aprile con gli studenti dell’Università LUISS di Roma (Libera Università Internazionale degli Studi Sociali), Università privata promossa da Confindustria, a un ragazzo che gli chiedeva:”Come si fa a cambiare un’organizzazione come Enel?” rispondeva così: “Innanzitutto ci vuole un gruppo di persone convinte su quest’aspetto. Non è necessario che sia la maggioranza. Basta un manipolo di cambiatori. Poi vanno individuati i gangli di controllo dell’organizzazione che si vuole cambiare. E bisogna distruggere, distruggere fisicamente questi centri di potere. Per farlo, ci vogliono i cambiatori che vanno infilati lì dentro, dando a essi una visibilità sproporzionata rispetto al loro status aziendale, creando quindi malessere all’interno del del ganglio che si vuole distruggere. Appena questo malessere diventa sufficientemente manifesto, si colpiscono le persone opposte al cambiamento, e questa cosa va fatta in maniera la più plateale possibile, sicché da ispirare paura o esempi positivi nel resto dell’organizzazione. Questa cosa va fatta velocemente, con decisione, senza nessuna e dopo pochi mesi l’organizzazione capisce, perché alla gente non piace soffrire. E quando capiscono che la strada è un'altra tutto sommato si convincono vanno tutti lì. È facile ”. Seguivano gli applausi dalla platea dei manager del domani. Quindi riprendeva “Non la paura: come dire, se del cambiamento siamo convinti, è giusto, e tutto sommato il capo sono io, quindi si fa. E dopodiché la cosa succede. A questo punto si va a parlare ai collaboratori. I collaboratori sono fondamentali per fare una buona carriera in azienda, non puoi fare una buona carriera tradendo i collaboratori, maltrattando i collaboratori, impaurendo i collaboratori, non motivando i collaboratori, annoiando i collaboratori, nascondendoli perché sono troppo bravi. Bisogna individuarli, curarli, assortirli perché devono essere diversi, ma poi bisogna anche gestire i casini che la diversità crea. Insomma occorre coltivarli, curarli in maniera maniacale, perché sei nessuno senza i collaboratori. E' tutto lì.” (il passaggio incriminato si trova al minuto 43 del video)

Dunque grande attenzione ai collaboratori, ma azioni di guerra contro chiunque osi opporsi.

Ma a chi si riferisce con gangli di controllo dell’organizzazione che si vuole cambiare e centri di potere? Dirigenti riottosi, sindacati? O chi altro? E il manipolo di cambiatori cui si deve dare una visibilità sproporzionata al loro status aziendale come viene reperito o meglio assoldato?

Ora chiunque lavori in un ente o un'azienda o vi abbia lavorato sa che c'è sempre chi si oppone ai cambiamenti, spesso a torto, qualche volta a ragione, perché come ho detto cambiamento non ha sempre una connotazione positiva, qualche volta può averla peggiorativa o talmente confusa da risultare in sostanza peggiorativa, senza contare tutte le volte che il cambiamento è solo di facciata, cioè si chiama cambiamento qualcosa che nella sostanza è una passata di vernice sul vecchio o una bella confezione di nulla.

Ma quello che è grave, al di là del contenuto del cambiamento che si vuole imporre, e anche se esso fosse positivo nella maniera più assoluta , è che Starace, che si presume si comporti così, insegna a dei ragazzi che domani potranno dirigere un'azienda come eliminare qualsiasi opposizione con azioni che, da come vengono descritte, sembrano azioni di guerra (manipolo, infiltrazioni, distruggere fisicamente, colpire, ispirare paura, ecc.). Ora un amministratore delegato, un dirigente, che si comporta così, invece di cercare di utilizzare strumenti di persuasione, credo che non sia una persona capace di stare a quel livello. E quindi mi domando quali siano i risultati ottenuti da Enel da quando Starace è divenuto AD? Mi chiedo anche se è questo che si insegna nelle università per i dirigenti di domani? Ed è questo che già si fa nelle aziende oggi? Si fa e si insegna a fare “tabula rasa” di chiunque si opponga ? Non sarà questa anche la linea di governo di Renzi?


giovedì 1 settembre 2016

La disgustosa campagna sulla fertilità

Questa volta non gli è andata bene. Gli slogan del Governo hanno fatto un po' schifo. La campagna del "fertility day"  ha suscitato fortunatamente parecchio disgusto. Addirittura la fertilità (talvolta scritto anche con la F maiuscola nel piano del governo!) sarebbe un bene comune, come l'acqua.  Ho notato però che sono pervenuti assensi da parte di insospettabili antigovernativi, in particolare da quelli che temono che gli immigrati ci sostituiranno. Dunque donne fate figli perché altrimenti saremo sostituiti dagli immigrati! Quindi fare figli non sarebbe più una scelta personale (che magari i governi avrebbero il dovere di aiutare con politiche idonee, più lavoro, più garanzie, più asili nido, più mense scolastiche, più servizi ) ma un obbligo di Stato.  

In molti abbiamo detto che ci ricordava qualcosa. Qualcuno per aver parlato di deriva verso il passato mi ha paragonato a un "cagnaccio pavloviano" che appena sente parlare di "nascite" pensa: "fascismo", ma era ovvio che a fronte di tali idiozie la prima cosa che poteva venire in mente era la campagna di mussoliniana memoria sulla potenza del numero. 

Perché si dovrebbe aver paura della denatalità in un mondo sovrappopolato in cui vivono attualmente 7 miliardi di persone ma che presto saranno il doppio? E anche da noi con un territorio in larga parte montuoso e disastrato 60 milioni sono già troppi. Di pianeti ne abbiamo al momento uno solo e lo stiamo distruggendo. Più siamo, più inquiniamo, anche se certo si potrebbero varare efficaci politiche per il territorio, ma non mi sembra che, al di là dei discorsi e degli inutili summit, si faccia molto in questa direzione.

Dunque paura che gli immigrati ci sostituiscano? Probabilmente accadrà se continuiamo a non risolvere i problemi, anzi ad aggravarli. Certo che gli immigrati rappresentano un problema, specialmente quelli che provengono da culture troppo diverse dalla nostra  e che hanno l'intenzione di riproporla da noi. La soluzione però sta nello stabilire e fare rispettare dei criteri (non possiamo accogliere tutti senza distinzioni), nell'operare i necessari controlli,  e soprattutto nella tolleranza zero nei confronti di comportamenti e usi che contrastano talvolta anche con le nostre leggi, ma quasi sempre con i nostri principi, la soluzione sta nell'educazione e soprattutto nella forza dei valori, delle idee. Certo che se non abbiamo più valori e idee, o ci crediamo sempre meno,  e pensiamo di risolvere il problema con il numero siamo perduti. 

domenica 21 agosto 2016

La metamorfosi di femministe e progressisti nei confronti dell'Islam

Ma cosa è successo a femministe e progressisti? Sembra che la paura di apparire islamofobi o razzisti abbia determinato in loro una metamorfosi.

Leggo post deliranti su Facebook e persino articoli altrettanto deliranti di persone che penserei dovessero avere avere una visione della situazione mondiale un po' più profonda della maggior parte di coloro che scrivono sui socialnetwork.

Femministe e larga parte del mondo c.d. progressista, così attenti alla difesa dei diritti civili, ma ultimamente più pronti a scagliarsi contro la mercificazione del corpo delle donne in Occidente, cosa che talvolta assume anche contorni ridicoli,  che a combattere per problemi più seri, ora si dimostrano tolleranti nei confronti della sottomissione della donna islamica, sottomissione che certamente non si esplica solo in un modo di vestire, ma di cui anche il modo di vestire è espressione, e che paragonano le palandrane, comunque esse si chiamino, nelle quali deve rinvolgersi al tacco 12, come se da noi ci fosse una legge o una richiesta pressante in tal senso di genitori e mariti, e poi  chi lo porta se non donne dello spettacolo e della politica (che talvolta è la stessa cosa!), o magari alla taglia 42 come mi disse una filoislamica italiana oltre 10 anni fa quando Facebook ancora non esisteva e blateravamo sui blog.

Nel frattempo filosofi marxisti affermano che "la religione della trascendenza (peraltro come se esistessero religioni che non si occupano della trascendenza) – sia islamica, sia cristiana – è una feconda risorsa di senso e di resistenza rispetto al monoteismo idolatrico del mercato, all’integralismo fanatico dell’economia e al nichilismo assoluto della forma merce." (vedere l'articolo di Diego Fusaro su "Il fatto quotidiano" del 17 agosto scorso). 

E se è ormai riconosciuto da molti che questa che vogliono far apparire come guerra di religione e guerra di civiltà, è stata in larga parte creata con finanziamenti occidentali oltre che dell'Arabia Saudita e alleati, e ancora non è chiaro se la cosa sia sfuggita di mano o se invece si stia proseguendo con un disegno ben preciso che potrebbe avere diversi scopi, tuttavia non posso non rilevare che l'articolo di Fusaro è allucinante. Dunque ci sarebbero alcuni orfani del comunismo disponibili a buttarsi nelle braccia di una religione, cristiana o islamica che sia, perché "le religioni della trascendenza restano un ostacolo per l'economia di mercato: già solo per il fatto che sono monoteismi alternativi a quello di mercato"?  

Ma non ci si rende conto che poi le religioni vogliono vendere tutto il pacchetto, compresa la perdita delle libertà individuali? E' quello che è accaduto a partire dalla c.d. rivoluzione islamica iraniana di Khomeini, almeno inizialmente accolta bene a sinistra, perché si era cacciato lo Scià, fantoccio degli Stati Uniti, e oggi ci sono anche dubbi che in fondo gli americani lasciarono fare perché Khomeini rappresentava almeno la garanzia che le forze di ispirazione marxista non si sarebbero mai affermate in Iran. 

E se è vero altresì che il capitalismo, può dimostrarsi "liberal" per quanto riguarda le libertà individuali e i diritti civili, ma dietro questa immagine progressista nasconde ingiustizie sociali, inquinamento ambientale, e via elencando, non mi sembra nemmeno che nelle teocrazie islamiche ci sia giustizia sociale e comunque il mondo cui si deve aspirare è quello in cui siano garantiti al contempo la giustizia sociale, la salute, l'ambiente e ovviamente le libertà individuali.

sabato 20 agosto 2016

Il burkini non è un solo un costume ma è il simbolo di un'ideologia che opprime la donna


Questo è un affresco che decora una sala della Villa romana del Casale di Piazza Armerina risalente al periodo tra il 320 e il 350 d.C. Si vedono fanciulle che fanno esercizi ginnici abbigliate con quello che sembra un moderno bikini. Ora non che tra i romani, come tra i greci, e in genere tra i popoli antichi, la donna avesse la stessa posizione dell'uomo nella società, tutt'altro, ma almeno non c'era quel senso del peccato e quella paura del corpo femminile che avrebbero caratterizzato sia il Cristianesimo che, in seguito, l'Islam. 


In Occidente per tornare a scoprire il corpo della donna sarebbero stati necessari quasi due millenni. 

Anche in alcune società islamiche c'era stata una certa evoluzione del costume nei decenni scorsi, come dimostrano alcune foto degli anni 70 e 80, ma poi c'è stato un regresso che non si può negare. 



Ora le donne islamiche vengono sulle nostre spiagge con il burkini e in Francia alcuni sindaci li hanno vietati scatenando un putiferio di polemiche.

Vedo che anche qui ne hanno parlato in molti sostenendo in larga parte la tesi che ognuno ha diritto di vestirsi come vuole, che anche indossare il burkini è una scelta che va difesa, e giù poi a ricordare che anche le nostre nonne andavano vestite in spiaggia e che nelle campagne portavano vestiti neri e fazzoletti in testa, specialmente se non erano più giovanissime o se erano sposate o vedove. 
Peraltro per quanto riguarda le nostre nonne già dai primi del '900 qualche costume c'era, anche se castigatissimo, e non meno castigati erano quegli degli uomini, ma certo bisogna arrivare agli anni '30 per vedere qualcosa di vagamente idoneo, e sembra che in Italia negli anni '50 il Ministro dell'Interno Scelba mandasse i poliziotti sulle spiagge per controllare - metro alla mano - che l'altezza del bikini fosse"regolamentare".

Tutto questo è vero, ma ricordare che le società occidentali ancora negli anni '50 e '60, soprattutto in Italia, risentivano dell'influsso di una religione che per millenni aveva colpevolizzato la donna e visto nel suo corpo e nel corpo umano in genere uno strumento del demonio, per non dire di altre cose, anche più sostanziali dell'abito, a mio parere ha poco senso, perché le nostre società si sono evolute, quelle islamiche ancora no e negli ultimi decenni, anzi, si è verificata un'involuzione, un imbarbarimento, che ha molte cause di cui si può discutere, ma che non si può disconoscere. 

E dubito che andare in giro su una spiaggia e soprattutto nuotare paludate con il burkini, come girare per le città con oltre 30 gradi, coperte da capo a piedi, sia una libera scelta, almeno che non si sia masochiste, o lo si faccia per provocare. Pertanto non spenderei tante parole per difendere questa presunta libertà di vestirsi come si vuole, quando è evidente che burka, hijab, chador, ma anche un semplice velo e il burkini, sono forme di mortificazione della donna e simbolo della sottomissione della stessa.

Peraltro continuare in questa direzione significa cadere nella trappola degli islamisti che sanno che gli consentiamo tutto pur di non passare per islamofobi e razzisti.

Fortunatamente di tanto in tanto nel profluvio di post e articoli indignati in difesa della libertà delle donne islamiche di vestirsi come vogliono si legge anche qualche articolo più serio, come questo di Monica Lanfranco sul Fatto Quotidiano del 17 agosto scorso, che stigmatizza l'imbarbarimento dell'Islam degli ultimi decenni con la sua ossessione per la fisicità e la sessualità e la schiavizzazione delle donne.


E sulla pagina di Facebook di un italiano di origini arabe ho scoperto che addirittura in molte piscine e spiagge, sia in Egitto che in Marocco che in altri paesi arabi, il burkini è vietato, ufficialmente per "ragioni igieniche" nel caso delle piscine e di "decoro" nel caso delle spiagge, ma in verità perché non si vogliono le "imburkinate" che quasi mai si limitano a fare il bagno senza dare fastidio alle connazionali in costume. Quindi appare abbastanza demenziale che si voglia permettere in Europa ciò che si cerca faticosamente di arginare nei paesi arabi.


venerdì 27 maggio 2016

Francesco Starace, AD di Enel, alla LUISS: come si distruggono gli oppositori.

Cambiamento è una delle parole più amate dai politici, in particolare in campagna elettorale, ma particolarmente abusata negli ultimi tempi. Basti pensare che larga parte della campagna elettorale di Renzi per il referendum sulla riforma costituzionale si incentra sull'Italia che cambia, che dice SI al cambiamento.

Però se si cerca su un vocabolario si trova che cambiamento significa mutamento, trasformazione, variazione, atto ed effetto del diventare diverso. Il cambiamento dunque è neutro, non è positivo per definizione e può anche non richiamare necessariamente un'evoluzione.
Ora se non si può negare che nel nostro paese ci sono molte cose da cambiare, bisogna vedere come si intende cambiarle.


E a proposito di cambiamenti volevo richiamare l'attenzione su un episodio che ha fatto scalpore in questi giorni e che riguarda Francesco Starace, da due anni amministratore delegato di Enel, che, in un incontro dello scorso aprile con gli studenti dell’Università LUISS di Roma (Libera Università Internazionale degli Studi Sociali), Università privata promossa da Confindustria, a un ragazzo che gli chiedeva:”Come si fa a cambiare un’organizzazione come Enel?” rispondeva così: “Innanzitutto ci vuole un gruppo di persone convinte su quest’aspetto. Non è necessario che sia la maggioranza. Basta un manipolo di cambiatori. Poi vanno individuati i gangli di controllo dell’organizzazione che si vuole cambiare. E bisogna distruggere, distruggere fisicamente questi centri di potere. Per farlo, ci vogliono i cambiatori che vanno infilati lì dentro, dando a essi una visibilità sproporzionata rispetto al loro status aziendale, creando quindi malessere all’interno del del ganglio che si vuole distruggere. Appena questo malessere diventa sufficientemente manifesto, si colpiscono le persone opposte al cambiamento, e questa cosa va fatta in maniera la più plateale possibile, sicché da ispirare paura o esempi positivi nel resto dell’organizzazione. Questa cosa va fatta velocemente, con decisione, senza nessuna e dopo pochi mesi l’organizzazione capisce, perché alla gente non piace soffrire. E quando capiscono che la strada è un'altra tutto sommato si convincono vanno tutti lì. È facile ”. Seguivano gli applausi dalla platea dei manager del domani. Quindi riprendeva “Non la paura: come dire, se del cambiamento siamo convinti, è giusto, e tutto sommato il capo sono io, quindi si fa. E dopodiché la cosa succede. A questo punto si va a parlare ai collaboratori. I collaboratori sono fondamentali per fare una buona carriera in azienda, non puoi fare una buona carriera tradendo i collaboratori, maltrattando i collaboratori, impaurendo i collaboratori, non motivando i collaboratori, annoiando i collaboratori, nascondendoli perché sono troppo bravi. Bisogna individuarli, curarli, assortirli perché devono essere diversi, ma poi bisogna anche gestire i casini che la diversità crea. Insomma occorre coltivarli, curarli in maniera maniacale, perché sei nessuno senza i collaboratori. E' tutto lì.” (il passaggio incriminato si trova al minuto 43 del video)

Dunque grande attenzione ai collaboratori, ma azioni di guerra contro chiunque osi opporsi.

Ma a chi si riferisce con gangli di controllo dell’organizzazione che si vuole cambiare e centri di potere? Dirigenti riottosi, sindacati? O chi altro? E il manipolo di cambiatori cui si deve dare una visibilità sproporzionata al loro status aziendale come viene reperito o meglio assoldato?

Ora chiunque lavori in un ente o un'azienda o vi abbia lavorato sa che c'è sempre chi si oppone ai cambiamenti, spesso a torto, qualche volta a ragione, perché come ho detto cambiamento non ha sempre una connotazione positiva, qualche volta può averla peggiorativa o talmente confusa da risultare in sostanza peggiorativa, senza contare tutte le volte che il cambiamento è solo di facciata, cioè si chiama cambiamento qualcosa che nella sostanza è una passata di vernice sul vecchio o una bella confezione di nulla.

Ma quello che è grave, al di là del contenuto del cambiamento che si vuole imporre, e anche se esso fosse positivo nella maniera più assoluta , è che Starace, che si presume si comporti così, insegna a dei ragazzi che domani potranno dirigere un'azienda come eliminare qualsiasi opposizione con azioni che, da come vengono descritte, sembrano azioni di guerra (manipolo, infiltrazioni, distruggere fisicamente, colpire, ispirare paura, ecc.). Ora un amministratore delegato, un dirigente, che si comporta così, invece di cercare di utilizzare strumenti di persuasione, credo che non sia una persona capace di stare a quel livello. E quindi mi domando quali siano i risultati ottenuti da Enel da quando Starace è divenuto AD? Mi chiedo anche se è questo che si insegna nelle università per i dirigenti di domani? Ed è questo che già si fa nelle aziende oggi? Si fa e si insegna a fare “tabula rasa” di chiunque si opponga ? Non sarà questa anche la linea di governo di Renzi?