lunedì 29 giugno 2015

La crisi greca e l'Europa

- La Grecia ha truccato i conti per entrare nell'Euro. Vero, ma con l'autorevole aiuto di Goldman Sachs ( e quest'ultima l'ha fatto solo per i soldi della consulenza o c'era un disegno? Di chi?).

- La Grecia non vuole fare le riforme necessarie per diventare un paese moderno. Ma le misure imposte finora dalla “troika” non hanno certo portato il paese fuori dalla crisi. E se anche, come sostengono alcuni, cominciava ad esserci una leggera crescita siamo sicuri che sia stata una conseguenza della cura o di altri motivi? E comunque a che prezzo? La classe media ridotta in povertà e chi già era povero ridotto all'indigenza. Del resto ci saranno dei motivi se una formazione della sinistra radicale come Syriza è riuscita a vincere le elezioni.

- I debiti si pagano, ma la Grecia non vuole pagarli e le conseguenze ricadranno anche sui cittadini italiani considerato che l'Italia è il terzo paese creditore dopo Germania e Francia. Vero anche questo, non si può certo negare. Tuttavia uccidere il debitore è anche peggio, perché allora sarà certo che non si recupererà niente, neanche a lunga scadenza. E poi quali saranno le conseguenze su tutta l'Eurozona? Sembra comincino ad avere paura che crolli l'intero sistema. La Merkel avrebbe detto stasera che “se fallisce l'euro, fallisce l'Europa”.

Oggi in diversi ricordavano che la stagione più feconda e gloriosa della Grecia iniziò nel VI secolo A.C., con quello che fu proprio un megacondono dei debiti: la seisachtheia (σεισάχϑεια), ovvero lo "scuotimento dei pesi" di Solone, che liberò tanti cittadini ateniesi dall'incubo di diventare schiavi dei propri creditori. E c'era chi invitava i vertici della UE a guardare più a Solone che a fare i soloni, perché forse in questo modo “lo spirito europeo tornerà a volare”.

Quel che è certo è che oggi l'Europa non ha realizzato alcuno dei progetti che erano nella mente degli ideatori, ma è solo un'unione monetaria, secondo alcuni fallimentare, in cui i paesi più forti, Germania in testa, impongono le loro condizioni agli altri. Nessun passo avanti è stato fatto invece nella direzione di un'unione politica tra stati con pari dignità, anche se di diverso peso. Ciò richiederebbe un sentire comune e almeno, per cominciare, una politica estera e della difesa comuni, dalle quali siamo molto lontani, come del resto dimostrato anche dalle questioni dei migranti e dell'estremismo islamico.


Ma se le cose continuano ad andare così non sarebbe meglio allora che ognuno andasse per la sua strada?

martedì 14 aprile 2015

Disposofobia

Leggendo “La regola dell'equilibrio” di Gianrico Carofiglio ho scoperto di soffrire di disposofobia. Il termine letteralmente significa "paura di buttare", dall'inglese to dispose, "gettare", "buttare", "disfarsi (di qualcosa)", con il suffissoide -fobia, dal greco φόβος, phóbos, "panico", "paura". Si tratta di un disturbo mentale caratterizzato da un bisogno ossessivo di acquisire (senza utilizzare né buttare via) una notevole quantità di beni, anche se gli elementi sono inutili, pericolosi, o insalubri. L'accaparramento compulsivo provoca impedimenti e danni significativi ad attività essenziali quali muoversi, cucinare, fare le pulizie, lavarsi e dormire. Sembra connesso a insicurezza, paura di cambiare, difficoltà a prendere decisioni.
Il protagonista del romanzo ha accumulato tante di quelle cose che che la situazione gli è sfuggita di mano, in particolare per via dei libri che sono ovunque, anche per terra, sui tavoli, sulle poltrone, sulle sedie, nel bagno, in cucina, alcuni non proprio indispensabili, ma decide di far ordine solo dopo aver scoperto una notte, vagabondando su Wikipedia, di essere affetto da disposofobia. Così si procura degli scatoloni e li riempie di libri da destinare ai mercatini dell'usato e addirittura ai cassonetti dell'indifferenziata. E se “potrebbe lasciare sgomenti l'idea di buttare i libri nei cassonetti, … quale destino si può riservare a volumi con titoli come Meditazioni per la stanza da bagno, Manuale pratico di autoipnosi, Cento e uno rimedi contro l'insonnia, Come Proust può cambiarvi la vita e molti altri simili?”
Ora poiché sono tre mesi che cerco di far pulizia a casa mia, ma non ne vengo a capo, qualche dubbio che ci fosse qualcosa di patologico devo dire che mi era venuto.
Anch'io accumulo di tutto, dai sottobicchieri con le pubblicità delle birre ai depliant di mostre e iniziative varie, ma in particolare libri, articoli di giornale (anche se un po' meno da quando posso salvarli sul computer), carte varie e vestiti, e soprattutto non riesco a buttarli. Ma oggi, dopo essere venuta a conoscenza della disposofobia, anche
se la mia casa non è al livello di quelle che appaiono nell'articolo di Wikipedia, ho un po' accelerato l'immane opera. Così ho conferito alla differenziata, tra altre cose, una pubblicazione satirica del Male dal titolo La nuova costituzione Italiana (1994), Povero Silvio di Antonio Cornacchione (2004), Il giorno più bello della vita – Guida al matrimonio di Fabio Fazio, America, pubblicazione allegata al Settimanale Panorama e risalente al 1992, La mia vita di Vittorio Sgarbi (1991), Un anno da zitella (tanto ormai altro che un anno!), Sesso a chi tocca di Stefania Casini, Manuale per difendersi dalla mamma di Gianni Monduzzi e una serie innumerevole di volumetti sull'astrologia, la magia, l'autoipnosi, e varie Sibille dei faraoni e oracoli di Napoleone, probabilmente allegati alla rivista Astra che un tempo leggevo. Ho anche gettato una serie di agende in cui avevo annotato pensieri ed eventi non particolarmente degni di essere conservati per i posteri.

Chissà se anche perdere tempo a scrivere queste cose e procrastinare il sonno è considerato patologico.

venerdì 13 marzo 2015

Un film d'antan, Aelita regina di Marte

Per caso, leggendo un articolo su Atlantide,  ho scoperto l'esistenza  di questo film sovietico del 1924, dal titolo "Aelita, regina di Marte", ovviamente muto, in bianco e nero, e, in questa versione, con didascalie in inglese.

La storia è ambientata nell'anno 1921.

Le radio del mondo intero captano un messaggio misterioso di sole tre parole di una lingua sconosciuta: "Anta… Adeli… Uta…".

Il segnale proviene da Marte dove un potente telescopio permette di osservare la vita su altri mondi. La Regina di Marte, Aelita, può così dare uno sguardo alla vita sulla terra. A Mosca un ingegnere, Los, che ha qualche problema con la moglie da cui crede di essere tradito, comincia a fantasticare sulla possibilità di raggiungere il pianeta da cui proviene il segnale. Riesce infine a costruire un'astronave con la quale, dopo aver ucciso la moglie in un accesso di gelosia, fuggirà su Marte insieme a un soldato in cerca di avventure e a un aspirante investigatore che gli dà la caccia per l'omicidio della

donna. Su Marte Los si innamorerà di Aelita, ma il soldato resosi conto che sul pianeta i lavoratori sono degli schiavi che vengono addirittura congelati quando non servono (magari a qualcuno anche qui oggi potrebbe sembrare un'ottima idea!!!) provoca una rivolta invitando gli schiavi a insorgere e a costituire l'Unione Sovietica di Marte (!), insomma un tentativo di esportare la rivoluzione d'ottobre su Marte. In un primo momento la regina, che ha un potere solo nominale, appoggia la rivolta, ma, appena eliminato il governatore del pianeta che deteneva il vero potere, tradisce i terrestri facendo fallire la rivoluzione. A questo punto Los si ritrova a Mosca, corre a casa, scopre di non aver ucciso la moglie che lo aspetta felice e innamorata, getta nel fuoco i disegni dell'astronave. E' stato solo un sogno.

Ma cosa c'entra Atlantide?

Nel corso degli eventi si scopre che la popolazione di Marte discende da terrestri partiti da Atlantide molto tempo prima.

Nel film non è molto chiaro o mi sono distratta, ma di ciò si parla nel romanzo da cui il film è tratto, "Aelita", pubblicato in URSS nel 1922 (edito nel 1982 in Italia, dagli Editori Riuniti  per l’antologia Noi della galassia), di Aleksej Nikolaevic Tolstoj (1883 - 1945), lontano parente del più celebre Lev Nikolaevic Tolstoj.

Non ho letto il romanzo, che voglio cercare, ma sembra che il film sia molto diverso.

Intanto, a differenza del romanzo, il film ha una lunga sezione che si svolge sulla Terra,  piuttosto noiosa e certamente sproporzionata per un film di fantascienza, ma  interessante perché documenta in modo molto realista l’ambiente sociale di Mosca nei primi anni dopo la rivoluzione, con la povertà, i problemi di approvvigionamento, il mercato nero, i corrotti, i nostalgici della vita precedente che si incontrano in feste clandestine.   

Inoltre nel film le vicissitudini di Los e compagni su Marte si dimostrano solo un sogno, non così nel romanzo che ha anche un finale tragico perché la rivolta su Marte fallisce e Los viene ucciso insieme alla regina di cui si è innamorato.

Nel complesso il film mi è parso un "pot-pourri" di generi, dalla commedia romantica, al film sociale e di propaganda (che oggi appare involontariamente satirico) fino alla fantascienza che si esplica soprattutto nella parte finale.

Sembra che circoli soprattutto nella versione ridotta di 70 minuti, ma io mi sono beccata quella originale di due ore con didascalie in inglese. https://youtu.be/je1bIhS-7G8

Il regista, Jakov Protazanov, che aveva all'attivo molti film girati prima della rivoluzione,  nel 1919 era fuggito dall’Unione Sovietica, lavorando per alcuni anni in Francia e Germania, ma nel 1923 aveva deciso di far ritorno in patria.

Nella Russia rivoluzionaria, dove il romanzo di Aleksej Nikolaevic Tolstoj aveva destato grande entusiasmo popolare e molta attenzione da parte delle autorità, ci fu grande attesa anche per il film, la cui lavorazione durò un anno e mezzo, e che doveva essere un "colossal" destinato principalmente all’esportazione. Ma, nonostante le intenzioni dei produttori, ebbe tuttavia scarsa diffusione nei paesi dell’Europa occidentale, dove fu ostacolato dalla censura per ragioni politiche, mentre in Unione Sovietica circolò poco perché ebbe una pessima critica e fu avversato dalle autorità che lo considerarono una distrazione futile "all’occidentale" che mette al centro  il sogno di un borghesuccio.

A mio parere è abbastanza noioso ma è interessante per l'ottima fotografia che si riconosce ancora dopo tanti anni e per il contrasto tra il realismo della prima parte che documenta la vita a Mosca nei primi anni dopo la rivoluzione e i costumi e le scenografie della parte ambientata su Marte ideati dagli artisti dell'avanguardia costruttivista.



Ad ogni modo la frase "Let's meet tonight at the tower of radiant energy (incontriamoci stanotte alla torre dell'energia radiante)" è molto romantica!

Nel complesso film vedibile  per gli amanti del cinema "vintage".

Pubblicato anche sul blog: Avalon e dintorni

Fonti: 

http://it.wikipedia.org/wiki/Aelita_%28film%29

http://digilander.libero.it/abydosgate/html/sf/24.htm



sabato 17 gennaio 2015

Siamo ancora tutti Charlie Hebdo?

Eravamo tutti Charlie Hebdo, ma dopo poco più di una settimana, ecco che cominciano ad affiorare i distinguo.

Uno dei fondatori di Charlie Hebdo, Henri Roussel, in un articolo sul Nouvel Observateur, firmato con lo pseudonimo Delfeil de Ton,  ha accusato Charb, il direttore del settimanale satirico tra le vittime della strage, di aver “trascinato la sua squadra verso la morte” pubblicando vignette dal contenuto provocatorio sul profeta Maometto.

Poi il Papa sul volo dallo Sri Lanka alle Filippine, rispondendo alle domande dei giornalisti dei media internazionali che viaggiavano con lui, ha spiegato che “non si può reagire violentemente”, anzi, che è “un’aberrazione uccidere in nome di Dio”, però ha continuato affermando che "se il dottor Gasbarri [l’organizzatore dei viaggi papali, che si trovava a fianco del Pontefice], che è un amico, dice una parolaccia contro mia mamma, gli aspetta un pugno", lasciando intendere, con l’esempio dell’offesa alla mamma, che toccando ciò che le persone hanno di più caro a volte possono scattare reazioni inconsulte.

Dunque si comincia a dire da più parti che anche la satira e quindi la libertà di espressione incontrano dei limiti, in particolare che non si dovrebbero offendere i sentimenti religiosi altrui.

Anche a me è capitato di parlare con persone che si sono sentite offese da alcune vignette sulla religione cristiana, in particolare quella sulla Trinità. Qualcuno mi ha detto che dopo aver visto certe vignette non si sente più Charlie.  Il concetto è che "chi offende il mio Dio, offende me" . Anche se nessuno di loro giustifica l'assassinio, in sostanza è come se dicessero che i vignettisti di Charlie Hebdo se la sono andata a cercare e che anche la satira deve avere dei limiti.

Ma la satira si è sempre scagliata sia contro il potere che contro la religione che comunque è una forma di potere, tanto più nei paesi dove non esiste distinzione tra potere politico e potere religioso. Certo che la satira può  essere greve, certo che la satira è offensiva, altrimenti non è satira. Poi ovviamente anche la satira può essere criticata. E chi si sente offeso potrà sempre ricorrere ai tribunali. Il codice penale stabilisce pene  per la diffamazione e la calunnia e anche per le offese a una confessione religiosa. Ma la libertà di espressione dovrebbe essere assoluta. Ora io penso così perché, non seguendo alcuna religione e avendo una visione assolutamente laica, mi resta anche difficile immedesimarmi in chi dice "chi offende il mio Dio, offende me". Però se qualcuno offende me lo prenderei volentieri a calci, come minimo, poi ovviamente, poiché sono una persona civile, mi rivolgo a un tribunale.

Poi ci si potrebbe domandare se non debbano esserci limiti nel caso di incitamento all'odio razziale o addirittura al terrorismo.

Proprio in questi giorni in Francia è stato arrestato il controverso comico francese di origine camerunense, Dieudonné, noto per i suoi atteggiamenti provocatori e accusato spesso di antisemitismo. Dieudonné, che aveva partecipato alla marcia di domenica scorsa a Parigi, tornato a casa, aveva scritto sul web il messaggio "Je suis Charlie Coulibaly", spiegando poi in una lettera al  ministro dell’Interno, Bernard Cazeneuve, di sentirsi considerato "come Amedy Coulibaly" (l'attentatore del supermercato Kosher) ma di "sentirsi Charlie". E' stato scarcerato ma rinviato a giudizio per "apologia di terrorismo".

Dunque c'è un limite?

E si può scherzare sulla Shoa? O si può negarla? Nell'ottobre 2013 ci fu una grossa polemica in Italia per le affermazioni del matematico Oddifreddi che aveva criticato un decreto approvato in Senato in cui si equiparava a un reato la negazione dell’Olocausto perché "affidarsi non alla storia, ma alla legge, per stabilire cosa è successo nel passato è tipico dei sistemi autoritari alla 1984, e non a caso Orwell parla al proposito di psicoreati, perseguiti da una psicopolizia". Quindi, rispondendo al commento di un lettore che definiva il processo di Norimberga un’opera di propaganda,  si dichiarava d’accordo affermando che se la guerra fosse andata diversamente sarebbero stati gli alleati a essere processati per crimini di guerra, e infine, con riferimento all'Olocausto, esprimeva forti dubbi "su quanto il ministero della propaganda alleata ci ha presentato come verità storica".

E il "politicamente corretto", che spesso sfocia nel ridicolo (pensiamo, ad esempio, al genitore 1 e al genitore 2), non è anch'esso una forma di limitazione della libertà di espressione?

Certamente la questione, sotto certi aspetti, è controversa, ma, a mio parere, la libertà di espressione non può avere limiti.   

lunedì 29 giugno 2015

La crisi greca e l'Europa

- La Grecia ha truccato i conti per entrare nell'Euro. Vero, ma con l'autorevole aiuto di Goldman Sachs ( e quest'ultima l'ha fatto solo per i soldi della consulenza o c'era un disegno? Di chi?).

- La Grecia non vuole fare le riforme necessarie per diventare un paese moderno. Ma le misure imposte finora dalla “troika” non hanno certo portato il paese fuori dalla crisi. E se anche, come sostengono alcuni, cominciava ad esserci una leggera crescita siamo sicuri che sia stata una conseguenza della cura o di altri motivi? E comunque a che prezzo? La classe media ridotta in povertà e chi già era povero ridotto all'indigenza. Del resto ci saranno dei motivi se una formazione della sinistra radicale come Syriza è riuscita a vincere le elezioni.

- I debiti si pagano, ma la Grecia non vuole pagarli e le conseguenze ricadranno anche sui cittadini italiani considerato che l'Italia è il terzo paese creditore dopo Germania e Francia. Vero anche questo, non si può certo negare. Tuttavia uccidere il debitore è anche peggio, perché allora sarà certo che non si recupererà niente, neanche a lunga scadenza. E poi quali saranno le conseguenze su tutta l'Eurozona? Sembra comincino ad avere paura che crolli l'intero sistema. La Merkel avrebbe detto stasera che “se fallisce l'euro, fallisce l'Europa”.

Oggi in diversi ricordavano che la stagione più feconda e gloriosa della Grecia iniziò nel VI secolo A.C., con quello che fu proprio un megacondono dei debiti: la seisachtheia (σεισάχϑεια), ovvero lo "scuotimento dei pesi" di Solone, che liberò tanti cittadini ateniesi dall'incubo di diventare schiavi dei propri creditori. E c'era chi invitava i vertici della UE a guardare più a Solone che a fare i soloni, perché forse in questo modo “lo spirito europeo tornerà a volare”.

Quel che è certo è che oggi l'Europa non ha realizzato alcuno dei progetti che erano nella mente degli ideatori, ma è solo un'unione monetaria, secondo alcuni fallimentare, in cui i paesi più forti, Germania in testa, impongono le loro condizioni agli altri. Nessun passo avanti è stato fatto invece nella direzione di un'unione politica tra stati con pari dignità, anche se di diverso peso. Ciò richiederebbe un sentire comune e almeno, per cominciare, una politica estera e della difesa comuni, dalle quali siamo molto lontani, come del resto dimostrato anche dalle questioni dei migranti e dell'estremismo islamico.


Ma se le cose continuano ad andare così non sarebbe meglio allora che ognuno andasse per la sua strada?

martedì 14 aprile 2015

Disposofobia

Leggendo “La regola dell'equilibrio” di Gianrico Carofiglio ho scoperto di soffrire di disposofobia. Il termine letteralmente significa "paura di buttare", dall'inglese to dispose, "gettare", "buttare", "disfarsi (di qualcosa)", con il suffissoide -fobia, dal greco φόβος, phóbos, "panico", "paura". Si tratta di un disturbo mentale caratterizzato da un bisogno ossessivo di acquisire (senza utilizzare né buttare via) una notevole quantità di beni, anche se gli elementi sono inutili, pericolosi, o insalubri. L'accaparramento compulsivo provoca impedimenti e danni significativi ad attività essenziali quali muoversi, cucinare, fare le pulizie, lavarsi e dormire. Sembra connesso a insicurezza, paura di cambiare, difficoltà a prendere decisioni.
Il protagonista del romanzo ha accumulato tante di quelle cose che che la situazione gli è sfuggita di mano, in particolare per via dei libri che sono ovunque, anche per terra, sui tavoli, sulle poltrone, sulle sedie, nel bagno, in cucina, alcuni non proprio indispensabili, ma decide di far ordine solo dopo aver scoperto una notte, vagabondando su Wikipedia, di essere affetto da disposofobia. Così si procura degli scatoloni e li riempie di libri da destinare ai mercatini dell'usato e addirittura ai cassonetti dell'indifferenziata. E se “potrebbe lasciare sgomenti l'idea di buttare i libri nei cassonetti, … quale destino si può riservare a volumi con titoli come Meditazioni per la stanza da bagno, Manuale pratico di autoipnosi, Cento e uno rimedi contro l'insonnia, Come Proust può cambiarvi la vita e molti altri simili?”
Ora poiché sono tre mesi che cerco di far pulizia a casa mia, ma non ne vengo a capo, qualche dubbio che ci fosse qualcosa di patologico devo dire che mi era venuto.
Anch'io accumulo di tutto, dai sottobicchieri con le pubblicità delle birre ai depliant di mostre e iniziative varie, ma in particolare libri, articoli di giornale (anche se un po' meno da quando posso salvarli sul computer), carte varie e vestiti, e soprattutto non riesco a buttarli. Ma oggi, dopo essere venuta a conoscenza della disposofobia, anche
se la mia casa non è al livello di quelle che appaiono nell'articolo di Wikipedia, ho un po' accelerato l'immane opera. Così ho conferito alla differenziata, tra altre cose, una pubblicazione satirica del Male dal titolo La nuova costituzione Italiana (1994), Povero Silvio di Antonio Cornacchione (2004), Il giorno più bello della vita – Guida al matrimonio di Fabio Fazio, America, pubblicazione allegata al Settimanale Panorama e risalente al 1992, La mia vita di Vittorio Sgarbi (1991), Un anno da zitella (tanto ormai altro che un anno!), Sesso a chi tocca di Stefania Casini, Manuale per difendersi dalla mamma di Gianni Monduzzi e una serie innumerevole di volumetti sull'astrologia, la magia, l'autoipnosi, e varie Sibille dei faraoni e oracoli di Napoleone, probabilmente allegati alla rivista Astra che un tempo leggevo. Ho anche gettato una serie di agende in cui avevo annotato pensieri ed eventi non particolarmente degni di essere conservati per i posteri.

Chissà se anche perdere tempo a scrivere queste cose e procrastinare il sonno è considerato patologico.

venerdì 13 marzo 2015

Un film d'antan, Aelita regina di Marte

Per caso, leggendo un articolo su Atlantide,  ho scoperto l'esistenza  di questo film sovietico del 1924, dal titolo "Aelita, regina di Marte", ovviamente muto, in bianco e nero, e, in questa versione, con didascalie in inglese.

La storia è ambientata nell'anno 1921.

Le radio del mondo intero captano un messaggio misterioso di sole tre parole di una lingua sconosciuta: "Anta… Adeli… Uta…".

Il segnale proviene da Marte dove un potente telescopio permette di osservare la vita su altri mondi. La Regina di Marte, Aelita, può così dare uno sguardo alla vita sulla terra. A Mosca un ingegnere, Los, che ha qualche problema con la moglie da cui crede di essere tradito, comincia a fantasticare sulla possibilità di raggiungere il pianeta da cui proviene il segnale. Riesce infine a costruire un'astronave con la quale, dopo aver ucciso la moglie in un accesso di gelosia, fuggirà su Marte insieme a un soldato in cerca di avventure e a un aspirante investigatore che gli dà la caccia per l'omicidio della

donna. Su Marte Los si innamorerà di Aelita, ma il soldato resosi conto che sul pianeta i lavoratori sono degli schiavi che vengono addirittura congelati quando non servono (magari a qualcuno anche qui oggi potrebbe sembrare un'ottima idea!!!) provoca una rivolta invitando gli schiavi a insorgere e a costituire l'Unione Sovietica di Marte (!), insomma un tentativo di esportare la rivoluzione d'ottobre su Marte. In un primo momento la regina, che ha un potere solo nominale, appoggia la rivolta, ma, appena eliminato il governatore del pianeta che deteneva il vero potere, tradisce i terrestri facendo fallire la rivoluzione. A questo punto Los si ritrova a Mosca, corre a casa, scopre di non aver ucciso la moglie che lo aspetta felice e innamorata, getta nel fuoco i disegni dell'astronave. E' stato solo un sogno.

Ma cosa c'entra Atlantide?

Nel corso degli eventi si scopre che la popolazione di Marte discende da terrestri partiti da Atlantide molto tempo prima.

Nel film non è molto chiaro o mi sono distratta, ma di ciò si parla nel romanzo da cui il film è tratto, "Aelita", pubblicato in URSS nel 1922 (edito nel 1982 in Italia, dagli Editori Riuniti  per l’antologia Noi della galassia), di Aleksej Nikolaevic Tolstoj (1883 - 1945), lontano parente del più celebre Lev Nikolaevic Tolstoj.

Non ho letto il romanzo, che voglio cercare, ma sembra che il film sia molto diverso.

Intanto, a differenza del romanzo, il film ha una lunga sezione che si svolge sulla Terra,  piuttosto noiosa e certamente sproporzionata per un film di fantascienza, ma  interessante perché documenta in modo molto realista l’ambiente sociale di Mosca nei primi anni dopo la rivoluzione, con la povertà, i problemi di approvvigionamento, il mercato nero, i corrotti, i nostalgici della vita precedente che si incontrano in feste clandestine.   

Inoltre nel film le vicissitudini di Los e compagni su Marte si dimostrano solo un sogno, non così nel romanzo che ha anche un finale tragico perché la rivolta su Marte fallisce e Los viene ucciso insieme alla regina di cui si è innamorato.

Nel complesso il film mi è parso un "pot-pourri" di generi, dalla commedia romantica, al film sociale e di propaganda (che oggi appare involontariamente satirico) fino alla fantascienza che si esplica soprattutto nella parte finale.

Sembra che circoli soprattutto nella versione ridotta di 70 minuti, ma io mi sono beccata quella originale di due ore con didascalie in inglese. https://youtu.be/je1bIhS-7G8

Il regista, Jakov Protazanov, che aveva all'attivo molti film girati prima della rivoluzione,  nel 1919 era fuggito dall’Unione Sovietica, lavorando per alcuni anni in Francia e Germania, ma nel 1923 aveva deciso di far ritorno in patria.

Nella Russia rivoluzionaria, dove il romanzo di Aleksej Nikolaevic Tolstoj aveva destato grande entusiasmo popolare e molta attenzione da parte delle autorità, ci fu grande attesa anche per il film, la cui lavorazione durò un anno e mezzo, e che doveva essere un "colossal" destinato principalmente all’esportazione. Ma, nonostante le intenzioni dei produttori, ebbe tuttavia scarsa diffusione nei paesi dell’Europa occidentale, dove fu ostacolato dalla censura per ragioni politiche, mentre in Unione Sovietica circolò poco perché ebbe una pessima critica e fu avversato dalle autorità che lo considerarono una distrazione futile "all’occidentale" che mette al centro  il sogno di un borghesuccio.

A mio parere è abbastanza noioso ma è interessante per l'ottima fotografia che si riconosce ancora dopo tanti anni e per il contrasto tra il realismo della prima parte che documenta la vita a Mosca nei primi anni dopo la rivoluzione e i costumi e le scenografie della parte ambientata su Marte ideati dagli artisti dell'avanguardia costruttivista.



Ad ogni modo la frase "Let's meet tonight at the tower of radiant energy (incontriamoci stanotte alla torre dell'energia radiante)" è molto romantica!

Nel complesso film vedibile  per gli amanti del cinema "vintage".

Pubblicato anche sul blog: Avalon e dintorni

Fonti: 

http://it.wikipedia.org/wiki/Aelita_%28film%29

http://digilander.libero.it/abydosgate/html/sf/24.htm



sabato 17 gennaio 2015

Siamo ancora tutti Charlie Hebdo?

Eravamo tutti Charlie Hebdo, ma dopo poco più di una settimana, ecco che cominciano ad affiorare i distinguo.

Uno dei fondatori di Charlie Hebdo, Henri Roussel, in un articolo sul Nouvel Observateur, firmato con lo pseudonimo Delfeil de Ton,  ha accusato Charb, il direttore del settimanale satirico tra le vittime della strage, di aver “trascinato la sua squadra verso la morte” pubblicando vignette dal contenuto provocatorio sul profeta Maometto.

Poi il Papa sul volo dallo Sri Lanka alle Filippine, rispondendo alle domande dei giornalisti dei media internazionali che viaggiavano con lui, ha spiegato che “non si può reagire violentemente”, anzi, che è “un’aberrazione uccidere in nome di Dio”, però ha continuato affermando che "se il dottor Gasbarri [l’organizzatore dei viaggi papali, che si trovava a fianco del Pontefice], che è un amico, dice una parolaccia contro mia mamma, gli aspetta un pugno", lasciando intendere, con l’esempio dell’offesa alla mamma, che toccando ciò che le persone hanno di più caro a volte possono scattare reazioni inconsulte.

Dunque si comincia a dire da più parti che anche la satira e quindi la libertà di espressione incontrano dei limiti, in particolare che non si dovrebbero offendere i sentimenti religiosi altrui.

Anche a me è capitato di parlare con persone che si sono sentite offese da alcune vignette sulla religione cristiana, in particolare quella sulla Trinità. Qualcuno mi ha detto che dopo aver visto certe vignette non si sente più Charlie.  Il concetto è che "chi offende il mio Dio, offende me" . Anche se nessuno di loro giustifica l'assassinio, in sostanza è come se dicessero che i vignettisti di Charlie Hebdo se la sono andata a cercare e che anche la satira deve avere dei limiti.

Ma la satira si è sempre scagliata sia contro il potere che contro la religione che comunque è una forma di potere, tanto più nei paesi dove non esiste distinzione tra potere politico e potere religioso. Certo che la satira può  essere greve, certo che la satira è offensiva, altrimenti non è satira. Poi ovviamente anche la satira può essere criticata. E chi si sente offeso potrà sempre ricorrere ai tribunali. Il codice penale stabilisce pene  per la diffamazione e la calunnia e anche per le offese a una confessione religiosa. Ma la libertà di espressione dovrebbe essere assoluta. Ora io penso così perché, non seguendo alcuna religione e avendo una visione assolutamente laica, mi resta anche difficile immedesimarmi in chi dice "chi offende il mio Dio, offende me". Però se qualcuno offende me lo prenderei volentieri a calci, come minimo, poi ovviamente, poiché sono una persona civile, mi rivolgo a un tribunale.

Poi ci si potrebbe domandare se non debbano esserci limiti nel caso di incitamento all'odio razziale o addirittura al terrorismo.

Proprio in questi giorni in Francia è stato arrestato il controverso comico francese di origine camerunense, Dieudonné, noto per i suoi atteggiamenti provocatori e accusato spesso di antisemitismo. Dieudonné, che aveva partecipato alla marcia di domenica scorsa a Parigi, tornato a casa, aveva scritto sul web il messaggio "Je suis Charlie Coulibaly", spiegando poi in una lettera al  ministro dell’Interno, Bernard Cazeneuve, di sentirsi considerato "come Amedy Coulibaly" (l'attentatore del supermercato Kosher) ma di "sentirsi Charlie". E' stato scarcerato ma rinviato a giudizio per "apologia di terrorismo".

Dunque c'è un limite?

E si può scherzare sulla Shoa? O si può negarla? Nell'ottobre 2013 ci fu una grossa polemica in Italia per le affermazioni del matematico Oddifreddi che aveva criticato un decreto approvato in Senato in cui si equiparava a un reato la negazione dell’Olocausto perché "affidarsi non alla storia, ma alla legge, per stabilire cosa è successo nel passato è tipico dei sistemi autoritari alla 1984, e non a caso Orwell parla al proposito di psicoreati, perseguiti da una psicopolizia". Quindi, rispondendo al commento di un lettore che definiva il processo di Norimberga un’opera di propaganda,  si dichiarava d’accordo affermando che se la guerra fosse andata diversamente sarebbero stati gli alleati a essere processati per crimini di guerra, e infine, con riferimento all'Olocausto, esprimeva forti dubbi "su quanto il ministero della propaganda alleata ci ha presentato come verità storica".

E il "politicamente corretto", che spesso sfocia nel ridicolo (pensiamo, ad esempio, al genitore 1 e al genitore 2), non è anch'esso una forma di limitazione della libertà di espressione?

Certamente la questione, sotto certi aspetti, è controversa, ma, a mio parere, la libertà di espressione non può avere limiti.