venerdì 9 aprile 2004

Un anno dopo – L’Iraq in fiamme



L’Iraq è in fiamme, dalle zone sciite alle zone sunnite, anche se secondo il segretario alla Difesa Usa Donald Rumsfeld i rivoltosi sono pochi, al più alcune migliaia, privi di vero sostegno popolare.
E il gruppo terroristico "Brigate dei Mujahiddin", che ha preso in ostaggio tre giapponesi, minaccia di bruciarli vivi se entro tre giorni il governo nipponico non ritirerà il proprio contingente dall'Iraq.
Dunque ad un anno dall’ingresso delle truppe americane la situazione è ben lungi dall’essere pacificata, anzi sta precipitando verso il caos totale.
Unico risultato positivo della guerra la deposizione del dittatore, ma, se si vuole ragionare cinicamente in termini di interessi, per l’Occidente la situazione è peggiorata: l’Iraq è diventato la base principale di Al Qaeda, il terrorismo è ben lungi dall’essere sconfitto, anzi si è rafforzato, e non si sono certo costituite le basi per l’instaurazione di un governo democratico. Anzi è evidente che il progetto democratico è solo una farsa. Infatti se si andasse veramente a libere elezioni gli Sciiti le vincerebbero con il 65% e instaurerebbero una repubblica teocratica, ma certo non è questo che gli americani vogliono, anzi nessuno in Occidente lo vuole. Quello che gli americani voglio imporre è il governo fantoccio di Chalabi. Ma se ci riuscissero la guerriglia non si fermerebbe, anzi si rafforzerebbe unendo Sciiti e Sunniti, se non si sono già uniti in attesa di regolare i conti tra di loro dopo aver cacciato gli occupanti.
Gli scontri degli ultimi giorni, a Najaf, Bagdad, Bassora, Nassirya, confermano, se ce ne fosse stato bisogno, che gli Sciiti, non sono particolarmente riconoscenti agli americani che li hanno liberati dalla dittatura di Saddam Hussein, e non desiderano altro che cacciarli per instaurare una teocrazia.
C’è il rischio che l’Iraq si trasformi in un nuovo Vietnam. E se gli americani ed i loro alleati saranno costretti ad andarsene ne seguirà una guerra civile tra Sciiti e Sunniti, ora quasi alleati, che sarà sicuramente vinta dai primi che instaureranno un’altra dittatura, questa volta basata sulla legge islamica. Ne è valsa dunque la pena?
E' evidente che l’intervento in Iraq è stato un grave errore politico e strategico da parte del governo americano che, prima, ha sottovalutato la minaccia del terrorismo islamico, poi ha individuato il nemico principale nell’Iraq di Saddam Hussein che era il meno fondamentalista degli stati dell’area e che non aveva alcun legame con Al Qaeda.
Ora la situazione è veramente grave e non si intravede una soluzione. E a questo punto anche l’intervento dell’ONU risolverebbe ben poco, perché l’ONU è completamente screditata e lo è da quando gli USA e i suoi  alleati europei (compresa l’Italia governata dal centro-sinistra) hanno aggredito senza la sua autorizzazione la Yugoslavia (storicamente baluardo dell’occidente contro l’Islam), seppure con la copertura della NATO.

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venerdì 9 aprile 2004

Un anno dopo – L’Iraq in fiamme



L’Iraq è in fiamme, dalle zone sciite alle zone sunnite, anche se secondo il segretario alla Difesa Usa Donald Rumsfeld i rivoltosi sono pochi, al più alcune migliaia, privi di vero sostegno popolare.
E il gruppo terroristico "Brigate dei Mujahiddin", che ha preso in ostaggio tre giapponesi, minaccia di bruciarli vivi se entro tre giorni il governo nipponico non ritirerà il proprio contingente dall'Iraq.
Dunque ad un anno dall’ingresso delle truppe americane la situazione è ben lungi dall’essere pacificata, anzi sta precipitando verso il caos totale.
Unico risultato positivo della guerra la deposizione del dittatore, ma, se si vuole ragionare cinicamente in termini di interessi, per l’Occidente la situazione è peggiorata: l’Iraq è diventato la base principale di Al Qaeda, il terrorismo è ben lungi dall’essere sconfitto, anzi si è rafforzato, e non si sono certo costituite le basi per l’instaurazione di un governo democratico. Anzi è evidente che il progetto democratico è solo una farsa. Infatti se si andasse veramente a libere elezioni gli Sciiti le vincerebbero con il 65% e instaurerebbero una repubblica teocratica, ma certo non è questo che gli americani vogliono, anzi nessuno in Occidente lo vuole. Quello che gli americani voglio imporre è il governo fantoccio di Chalabi. Ma se ci riuscissero la guerriglia non si fermerebbe, anzi si rafforzerebbe unendo Sciiti e Sunniti, se non si sono già uniti in attesa di regolare i conti tra di loro dopo aver cacciato gli occupanti.
Gli scontri degli ultimi giorni, a Najaf, Bagdad, Bassora, Nassirya, confermano, se ce ne fosse stato bisogno, che gli Sciiti, non sono particolarmente riconoscenti agli americani che li hanno liberati dalla dittatura di Saddam Hussein, e non desiderano altro che cacciarli per instaurare una teocrazia.
C’è il rischio che l’Iraq si trasformi in un nuovo Vietnam. E se gli americani ed i loro alleati saranno costretti ad andarsene ne seguirà una guerra civile tra Sciiti e Sunniti, ora quasi alleati, che sarà sicuramente vinta dai primi che instaureranno un’altra dittatura, questa volta basata sulla legge islamica. Ne è valsa dunque la pena?
E' evidente che l’intervento in Iraq è stato un grave errore politico e strategico da parte del governo americano che, prima, ha sottovalutato la minaccia del terrorismo islamico, poi ha individuato il nemico principale nell’Iraq di Saddam Hussein che era il meno fondamentalista degli stati dell’area e che non aveva alcun legame con Al Qaeda.
Ora la situazione è veramente grave e non si intravede una soluzione. E a questo punto anche l’intervento dell’ONU risolverebbe ben poco, perché l’ONU è completamente screditata e lo è da quando gli USA e i suoi  alleati europei (compresa l’Italia governata dal centro-sinistra) hanno aggredito senza la sua autorizzazione la Yugoslavia (storicamente baluardo dell’occidente contro l’Islam), seppure con la copertura della NATO.

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