sabato 24 aprile 2004

Quali i mezzi della lotta al terrorismo islamico?

La situazione attuale in Iraq, che è una situazione di guerra, è assolutamente incompatibile con missioni di “peace-keeping” e con l’avvio della ricostruzione. Per questo sarebbe necessario ripensare la nostra presenza in Iraq anche se non è certo facile in questo momento farlo senza dare l’impressione di cedere al terrorismo e certo non se ne può neanche parlare finché ci sono nostri ostaggi in mano ai terroristi.
La decisione di Zapatero si inserisce in un altro contesto. Avendo infatti sempre sostenuto l’illegalità di questa guerra, la conseguenza logica e assolutamente legittima, una volta vinte le elezioni, è stata quella di annunciare il ritiro delle proprie truppe.
Ad ogni modo il punto è proprio questo. Questa guerra è illegittima perché è stato violato un principio fondamentale del diritto internazionale, quello del rispetto dell’indipendenza dei popoli e delle loro scelte in materia istituzionale. Non c’è alcun motivo, neanche il più nobile, che fornisca legittimazione all’aggressione di stati sovrani. Inoltre la guerra non ha risolto alcuno dei problemi che i suoi fautori sostenevano che avrebbe risolto, al contrario ha contribuito a diffondere ulteriormente i veleni dell’integralismo e del terrorismo.
Quanto alla democrazia imposta con le armi non può che essere definita una contraddizione in termini. E inoltre la democrazia è una forma di governo che ha bisogno di adeguate strutture che nascono solo in un contesto sociale adatto e che non sono esportabili come i prodotti di consumo. E poi perché coloro che sostengono che si può esportare la democrazia, anche con le armi, non si pongono il problema di esportarla ovunque? Ma chi aggredirebbe, ad esempio, la Cina, che non è certo un paese democratico, ma è un paese forte e dotato di armi nucleari? Se ne deve dedurre che i fautori delle guerre democratiche intendano esportare la  democrazia solo nei paesi deboli. La conseguenza di tutto ciò è che nei paesi destinatari dell’importazione non può che radicarsi la convinzione che l’estensione della democrazia sia un pretesto o una copertura ideologica di fini di ben altra natura. E alcuni faranno di tutto per assicurarsi quelle armi di distruzione di massa, comprese le nucleari, che costituiscono un forte deterrente all’aggressione.
Sostenere questi principi non significa tuttavia, come affermanoi fautori della guerra, mettere in discussione la lotta al terrorismo islamico con il quale non si può certo venire a patti. Il terrorismo è infatti il mezzo di cui si serve il fondamentalismo islamico che si pone l’obiettivo di conquistare gli Stati arabi moderati e aggredire  i loro alleati e pertanto anche i paesi europei. Si tratta pertanto di un fenomeno pericolosissimo, ma i mezzi per sconfiggere il progetto dei fondamentalisti non possono essere che politici e polizieschi. Politici, in quanto per bloccare l’azione dei militanti è necessario privarli del sostegno passivo della popolazione. E a tal fine sarebbe necessario arrivare ad una soluzione equa al problema israelo-palestinese (ma il recente accordo Bush- Sharon e la politica dell’assassinio mirato perseguita da Sharon non vanno in tale direzione), e trovare le forme per il ritiro delle truppe straniere dall’Iraq, che sono vissute dalla popolazione locale come occupanti, ponendo le basi per il rientro dell’ONU, ma non nella forma di cambiare semplicemente la divisa agli attuali occupanti, e anche questo non è facile. Quanto alle azioni di polizia, si tratta di moltiplicare i controlli e la sorveglianza garantendo la sicurezza dei cittadini senza venir meno ai principi di libertà. Inoltre occorrerebbe bloccare i mezzi di finanziamento del terrorismo (ma chi li controlla i “paradisi fiscali”?). E’ evidente che tutto ciò non è semplice né facilmente realizzabile, che è certamente più semplice fare la guerra, ma l’attacco all’Iraq ha dimostrato che quest’ultima non serve a niente.
Paragonare poi l’ideologia totalitaria ed espansionista del fondamentalismo islamico con quella del nazismo, non ha senso. La Germania di Hitler era uno stato ben definito a cui si poteva e doveva muovere guerra. Quindi gli accordi di Monaco del ’38 furono un grave errore. Ma non si può certo parlare di spirito di Monaco con riferimento ai paesi europei contrari alla guerra in Iraq, perché non ha senso combattere il terrorismo movendo guerra a degli stati e peraltro cominciando proprio con quello sbagliato, perché l’Iraq era l’unico paese della regione in cui prima della guerra l’azione dei terroristi era impossibile, mentre ora l’umiliazione derivante dalla presenza di truppe straniere nel proprio paese ha probabilmente spinto nelle braccia del terrorismo anche chi  non apparteneva all’area del fondamentalismo islamico. E comunque il terrorismo è ovunque, perché i gruppi terroristici hanno certamente un’ideologia comune ma non dispongono di uno stato né di un territorio propri e proprio per questa ragione sono difficili da eliminare e certamente non lo si può fare con una guerra convenzionale, tenuto conto che si tratta di entità sparse ovunque che non sono rappresentate da uno stato.
Forse le cose sarebbero andate diversamente se il governo americano l’anno scorso si fosse trovato di fronte un ’Europa compatta che avesse fatto sentire un’unica voce contraria alla guerra, ma  purtroppo non è stato così. Come al solito ci siamo divisi.  Mi domando se ci sono ancora i tempi, i modi, e soprattutto la volontà di costruire questa Unione Europea. Certo non va in questa direzione l’affermazione di Berlusconi che, dopo la cosiddetta defezione della Spagna, si è affrettato a sottolineare che ora l’Italia è in Europa l’alleato più fedele agli Stati Uniti. Che non sia questa fedeltà ( i nostri governanti non perderanno mai il vizio della fedeltà al potente di turno) il vero motivo dell’intervento italiano in Iraq ?


3 commenti:

  1. Sì Marivan, è proprio la fedeltà (interessata...molto interessata...) la vera causa del nostro 'intervento' in Iraq. Stesso argomento nel mio post 'Escalation' del 16 aprile, tra i commenti al post altre considerazioni. Buon week end. Alain

    RispondiElimina
  2. Non so. per quanto "di guerra" possa apparire ora la situazione irachena, resta il fatto che adesso lo stato mediorientale non ha più un governo nè un'istituzione che sia una ( a parte la scalcagnatissima polizia). Ora, a parte che l'abbattimento del governo nemico segna ufficialmente e logicamente la fine di una guerra (quello che resta è guerriglia mista a terrorismo), che risultato si avrebbe se putacaso tutte le truppe occidentali si ritirassero domani?

    RispondiElimina
  3. Penso che in un modo o nell'altro si sia creata una situazione dalla quale non è facile uscire. Abbandonare oggi l'iraq potrebbe essere un errore come un errore è stato muovergli guerra.
    Spero che l'Europa Unita si faccia sentire in sede ONU, ma è una speranza labile.

    RispondiElimina

sabato 24 aprile 2004

Quali i mezzi della lotta al terrorismo islamico?

La situazione attuale in Iraq, che è una situazione di guerra, è assolutamente incompatibile con missioni di “peace-keeping” e con l’avvio della ricostruzione. Per questo sarebbe necessario ripensare la nostra presenza in Iraq anche se non è certo facile in questo momento farlo senza dare l’impressione di cedere al terrorismo e certo non se ne può neanche parlare finché ci sono nostri ostaggi in mano ai terroristi.
La decisione di Zapatero si inserisce in un altro contesto. Avendo infatti sempre sostenuto l’illegalità di questa guerra, la conseguenza logica e assolutamente legittima, una volta vinte le elezioni, è stata quella di annunciare il ritiro delle proprie truppe.
Ad ogni modo il punto è proprio questo. Questa guerra è illegittima perché è stato violato un principio fondamentale del diritto internazionale, quello del rispetto dell’indipendenza dei popoli e delle loro scelte in materia istituzionale. Non c’è alcun motivo, neanche il più nobile, che fornisca legittimazione all’aggressione di stati sovrani. Inoltre la guerra non ha risolto alcuno dei problemi che i suoi fautori sostenevano che avrebbe risolto, al contrario ha contribuito a diffondere ulteriormente i veleni dell’integralismo e del terrorismo.
Quanto alla democrazia imposta con le armi non può che essere definita una contraddizione in termini. E inoltre la democrazia è una forma di governo che ha bisogno di adeguate strutture che nascono solo in un contesto sociale adatto e che non sono esportabili come i prodotti di consumo. E poi perché coloro che sostengono che si può esportare la democrazia, anche con le armi, non si pongono il problema di esportarla ovunque? Ma chi aggredirebbe, ad esempio, la Cina, che non è certo un paese democratico, ma è un paese forte e dotato di armi nucleari? Se ne deve dedurre che i fautori delle guerre democratiche intendano esportare la  democrazia solo nei paesi deboli. La conseguenza di tutto ciò è che nei paesi destinatari dell’importazione non può che radicarsi la convinzione che l’estensione della democrazia sia un pretesto o una copertura ideologica di fini di ben altra natura. E alcuni faranno di tutto per assicurarsi quelle armi di distruzione di massa, comprese le nucleari, che costituiscono un forte deterrente all’aggressione.
Sostenere questi principi non significa tuttavia, come affermanoi fautori della guerra, mettere in discussione la lotta al terrorismo islamico con il quale non si può certo venire a patti. Il terrorismo è infatti il mezzo di cui si serve il fondamentalismo islamico che si pone l’obiettivo di conquistare gli Stati arabi moderati e aggredire  i loro alleati e pertanto anche i paesi europei. Si tratta pertanto di un fenomeno pericolosissimo, ma i mezzi per sconfiggere il progetto dei fondamentalisti non possono essere che politici e polizieschi. Politici, in quanto per bloccare l’azione dei militanti è necessario privarli del sostegno passivo della popolazione. E a tal fine sarebbe necessario arrivare ad una soluzione equa al problema israelo-palestinese (ma il recente accordo Bush- Sharon e la politica dell’assassinio mirato perseguita da Sharon non vanno in tale direzione), e trovare le forme per il ritiro delle truppe straniere dall’Iraq, che sono vissute dalla popolazione locale come occupanti, ponendo le basi per il rientro dell’ONU, ma non nella forma di cambiare semplicemente la divisa agli attuali occupanti, e anche questo non è facile. Quanto alle azioni di polizia, si tratta di moltiplicare i controlli e la sorveglianza garantendo la sicurezza dei cittadini senza venir meno ai principi di libertà. Inoltre occorrerebbe bloccare i mezzi di finanziamento del terrorismo (ma chi li controlla i “paradisi fiscali”?). E’ evidente che tutto ciò non è semplice né facilmente realizzabile, che è certamente più semplice fare la guerra, ma l’attacco all’Iraq ha dimostrato che quest’ultima non serve a niente.
Paragonare poi l’ideologia totalitaria ed espansionista del fondamentalismo islamico con quella del nazismo, non ha senso. La Germania di Hitler era uno stato ben definito a cui si poteva e doveva muovere guerra. Quindi gli accordi di Monaco del ’38 furono un grave errore. Ma non si può certo parlare di spirito di Monaco con riferimento ai paesi europei contrari alla guerra in Iraq, perché non ha senso combattere il terrorismo movendo guerra a degli stati e peraltro cominciando proprio con quello sbagliato, perché l’Iraq era l’unico paese della regione in cui prima della guerra l’azione dei terroristi era impossibile, mentre ora l’umiliazione derivante dalla presenza di truppe straniere nel proprio paese ha probabilmente spinto nelle braccia del terrorismo anche chi  non apparteneva all’area del fondamentalismo islamico. E comunque il terrorismo è ovunque, perché i gruppi terroristici hanno certamente un’ideologia comune ma non dispongono di uno stato né di un territorio propri e proprio per questa ragione sono difficili da eliminare e certamente non lo si può fare con una guerra convenzionale, tenuto conto che si tratta di entità sparse ovunque che non sono rappresentate da uno stato.
Forse le cose sarebbero andate diversamente se il governo americano l’anno scorso si fosse trovato di fronte un ’Europa compatta che avesse fatto sentire un’unica voce contraria alla guerra, ma  purtroppo non è stato così. Come al solito ci siamo divisi.  Mi domando se ci sono ancora i tempi, i modi, e soprattutto la volontà di costruire questa Unione Europea. Certo non va in questa direzione l’affermazione di Berlusconi che, dopo la cosiddetta defezione della Spagna, si è affrettato a sottolineare che ora l’Italia è in Europa l’alleato più fedele agli Stati Uniti. Che non sia questa fedeltà ( i nostri governanti non perderanno mai il vizio della fedeltà al potente di turno) il vero motivo dell’intervento italiano in Iraq ?


3 commenti:

  1. Sì Marivan, è proprio la fedeltà (interessata...molto interessata...) la vera causa del nostro 'intervento' in Iraq. Stesso argomento nel mio post 'Escalation' del 16 aprile, tra i commenti al post altre considerazioni. Buon week end. Alain

    RispondiElimina
  2. Non so. per quanto "di guerra" possa apparire ora la situazione irachena, resta il fatto che adesso lo stato mediorientale non ha più un governo nè un'istituzione che sia una ( a parte la scalcagnatissima polizia). Ora, a parte che l'abbattimento del governo nemico segna ufficialmente e logicamente la fine di una guerra (quello che resta è guerriglia mista a terrorismo), che risultato si avrebbe se putacaso tutte le truppe occidentali si ritirassero domani?

    RispondiElimina
  3. Penso che in un modo o nell'altro si sia creata una situazione dalla quale non è facile uscire. Abbandonare oggi l'iraq potrebbe essere un errore come un errore è stato muovergli guerra.
    Spero che l'Europa Unita si faccia sentire in sede ONU, ma è una speranza labile.

    RispondiElimina