martedì 25 maggio 2004

La trappola Iraq

Se la guerra lampo è stata un successo, e come poteva non esserlo quando il più potente esercito del mondo attacca un piccolo paese, peraltro immiserito da 10 anni di blocco economico, il “dopoguerra”  si è dimostrato un totale fallimento.
Le forze della coalizione non sono state accolte come liberatrici, ma avversate come occupanti e l’ostilità nei loro confronti non accenna a diminuire coinvolgendo anche le nostre truppe che, in teoria, dovrebbero svolgere una missione di “peacekeeping”, ma si sono trovate implicate in una vera e propria guerra.
In sintesi il governo Bush ha voluto e fatto questa guerra adducendo motivazioni che si sono dimostrate tutte false o irrealizzabili, e cioè:
-          sventare un attacco con armi di distruzione di massa  che non sono state trovate;
-          sconfiggere il terrorismo islamico che, in Iraq, prima della guerra, non era molto rappresentato (peraltro, tenuto conto che dei 14 arrestati per la strage dell’11 settembre ben 14 erano sauditi, ci si potrebbe domandare perché allora attaccare l’Iraq anziché l’Arabia Saudita),mentre, proprio a causa della guerra, il paese è diventato un’immensa base di Al Qaeda, organizzazione cui si sono avvicinati anche coloro che pur non essendo fondamentalisti vogliono tuttavia cacciare le truppe straniere dal proprio paese;
-          esportare la democrazia in Iraq e poi in tutta l’area mediorientale con conseguente stabilizzazione dell’area, ma, a prescindere dal fatto che la democrazia non si esporta con le bombe, si è visto che tra gli esportatori di democrazia c’erano  torturatori e pervertiti sessuali, forse solo tollerati, ma, più probabilmente, comandati a quei comportamenti dai vertici militari e dei servizi segreti.
Intanto,mentre la situazione rimane incandescente in tutta l’area mediorientale, anche per la politica scriteriata di Sharon appoggiato senza condizioni dal governo Bush, il prezzo del petrolio aumenta e le aziende, in larga parte americane, accorse in Iraq per dare l’avvio alla stramiliardaria opera di ricostruzione, sono costrette alla fuga.
Ora Stati Uniti e Inghilterra invocano l’ONU, fin qui tanto disprezzata, e sperano di continuare a dirigere la guerra sotto una divisa diversa.  Ma giustamente la Francia frena perché vuole garanzie sui comandi. E non si può certo pretendere che chi ha avversato questa disgraziata guerra ora voglia venire incontro a chi l’ha voluta salvandogli la faccia senza nemmeno ottenere un comando e garanzie sulla partecipazione alla ricostruzione.
Intanto da noi i politici degli opposti schieramenti continuano a discutere, insultandosi a vicenda, se dobbiamo andarcene o restare in Iraq.
Chi sostiene il mantenimento delle truppe lo motiva in larga parte con il fatto che andarsene significherebbe consegnare il paese alla guerra civile. Forse, ma può anche essere che proprio la presenza di truppe straniere nel paese abbia riunito Sciiti e Sanniti che potrebbero anche trovare un accordo.
A mio parere eventualmente i motivi per restare sono essenzialmente i seguenti:
-          Andarsene oggi potrebbe apparire una fuga disonorevole anche a causa dei venti morti che abbiamo lasciato nella scriteriata operazione decisa per compiacere un potente alleato che si credeva ormai vittorioso  (motivazione non nuova nella storia del nostro paese);
-          Non conviene a noi e a nessun paese occidentale lasciare il paese in mano ai fondamentalisti islamici.
Così una guerra sbagliata voluta sostanzialmente dal governo americano, ma sostenuta anche dalla dabbenaggine di altri governi europei vassalli degli Stati Uniti, è diventata una trappola con poche vie d’uscita.
Infatti anche l’intervento dell’ONU resta improbabile se gli Stati Uniti non intendono rinunciare al comando delle operazioni e dubito che lo faranno.

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martedì 25 maggio 2004

La trappola Iraq

Se la guerra lampo è stata un successo, e come poteva non esserlo quando il più potente esercito del mondo attacca un piccolo paese, peraltro immiserito da 10 anni di blocco economico, il “dopoguerra”  si è dimostrato un totale fallimento.
Le forze della coalizione non sono state accolte come liberatrici, ma avversate come occupanti e l’ostilità nei loro confronti non accenna a diminuire coinvolgendo anche le nostre truppe che, in teoria, dovrebbero svolgere una missione di “peacekeeping”, ma si sono trovate implicate in una vera e propria guerra.
In sintesi il governo Bush ha voluto e fatto questa guerra adducendo motivazioni che si sono dimostrate tutte false o irrealizzabili, e cioè:
-          sventare un attacco con armi di distruzione di massa  che non sono state trovate;
-          sconfiggere il terrorismo islamico che, in Iraq, prima della guerra, non era molto rappresentato (peraltro, tenuto conto che dei 14 arrestati per la strage dell’11 settembre ben 14 erano sauditi, ci si potrebbe domandare perché allora attaccare l’Iraq anziché l’Arabia Saudita),mentre, proprio a causa della guerra, il paese è diventato un’immensa base di Al Qaeda, organizzazione cui si sono avvicinati anche coloro che pur non essendo fondamentalisti vogliono tuttavia cacciare le truppe straniere dal proprio paese;
-          esportare la democrazia in Iraq e poi in tutta l’area mediorientale con conseguente stabilizzazione dell’area, ma, a prescindere dal fatto che la democrazia non si esporta con le bombe, si è visto che tra gli esportatori di democrazia c’erano  torturatori e pervertiti sessuali, forse solo tollerati, ma, più probabilmente, comandati a quei comportamenti dai vertici militari e dei servizi segreti.
Intanto,mentre la situazione rimane incandescente in tutta l’area mediorientale, anche per la politica scriteriata di Sharon appoggiato senza condizioni dal governo Bush, il prezzo del petrolio aumenta e le aziende, in larga parte americane, accorse in Iraq per dare l’avvio alla stramiliardaria opera di ricostruzione, sono costrette alla fuga.
Ora Stati Uniti e Inghilterra invocano l’ONU, fin qui tanto disprezzata, e sperano di continuare a dirigere la guerra sotto una divisa diversa.  Ma giustamente la Francia frena perché vuole garanzie sui comandi. E non si può certo pretendere che chi ha avversato questa disgraziata guerra ora voglia venire incontro a chi l’ha voluta salvandogli la faccia senza nemmeno ottenere un comando e garanzie sulla partecipazione alla ricostruzione.
Intanto da noi i politici degli opposti schieramenti continuano a discutere, insultandosi a vicenda, se dobbiamo andarcene o restare in Iraq.
Chi sostiene il mantenimento delle truppe lo motiva in larga parte con il fatto che andarsene significherebbe consegnare il paese alla guerra civile. Forse, ma può anche essere che proprio la presenza di truppe straniere nel paese abbia riunito Sciiti e Sanniti che potrebbero anche trovare un accordo.
A mio parere eventualmente i motivi per restare sono essenzialmente i seguenti:
-          Andarsene oggi potrebbe apparire una fuga disonorevole anche a causa dei venti morti che abbiamo lasciato nella scriteriata operazione decisa per compiacere un potente alleato che si credeva ormai vittorioso  (motivazione non nuova nella storia del nostro paese);
-          Non conviene a noi e a nessun paese occidentale lasciare il paese in mano ai fondamentalisti islamici.
Così una guerra sbagliata voluta sostanzialmente dal governo americano, ma sostenuta anche dalla dabbenaggine di altri governi europei vassalli degli Stati Uniti, è diventata una trappola con poche vie d’uscita.
Infatti anche l’intervento dell’ONU resta improbabile se gli Stati Uniti non intendono rinunciare al comando delle operazioni e dubito che lo faranno.

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