mercoledì 3 luglio 2013

L'uso di internet, Saviano e il caso Snowden

Credo che si sia tutti d’accordo nell’affermare che internet ha rivoluzionato il mondo, qualcuno addirittura ritiene che abbia determinato cambiamenti paragonabili a quelli conseguenti all’invenzione dei caratteri a stampa di Gutenberg.

Sarebbero oltre due miliardi le persone che accedono a una connessione e sono in costante aumento anche nei paesi in via di sviluppo.

Oggi non è più concepibile lavorare senza il sostegno di programmi informatici e di collegamenti in rete; con un semplice click possiamo accedere a una miriade di informazioni, eliminando i tempi lunghi delle ricerche sui testi cartacei; con i blog e soprattutto con i social network possiamo interagire con amici, ma anche con persone sconosciute in qualsiasi parte del mondo, e possiamo esprimere le nostre opinioni e confrontarle con quelle altrui senza bisogno di esser professionisti dei media.

Certo l’uso di internet presenta lati positivi e negativi e, come del resto ogni altro strumento, può essere male utilizzato.

Nell’immensa mole di informazioni che circolano in rete ce ne siano tante non verificabili, di cui non è citata la fonte, spesso di nessun valore, o talvolta assurde e ridicole, vere e proprie bufale. E anche queste, soprattutto attraverso l’utilizzo dei social network, circolano con una rapidità impensabile in passato, ma si tratta sempre di saper cercare e discernere e questo ovviamente dipende dal livello culturale di ciascuno e non dal mezzo usato.

Talvolta il confronto di opinioni sui social network dà luogo a scontri abbastanza indegni del vivere civile, ma questo è un rischio cui andiamo incontro anche nella vita reale. Certamente un po’ di attenzione nella scelta delle persone di cui circondarsi andrebbe sempre fatta, sia nel reale che nel virtuale, tanto più oggi, in cui mi sembra ci sia una radicalizzazione nelle divergenze, e, mentre da una parte si proclama la morte delle ideologie, dall'altra lo scontro politico diventa più acceso e si basa più sugli insulti all’intelligenza di chi la pensa diversamente che su argomentazioni razionali. E si deve anche sperare che la crisi che stiamo vivendo non finisca per trasformare gli insulti in qualcosa di più grave. Ma certo non si può dare la colpa di un aumento del degrado morale ai social network. Basterebbe infatti pensare al linguaggio che talvolta viene usato nei talk show dove spesso non si illustrano idee e programmi ma ci si insulta urlando. Quindi se c’è un problema etico non lo possiamo addebitare all’uso della rete, ma a un deriva che coinvolge l’intera società e che ha tante cause e tanti aspetti.

Mi domando poi se anche l’uso di un pessimo italiano sia da ascrivere ai social network o se invece, come credo più probabile, derivi dal fallimento di una scuola sempre più facile che non seleziona, che non premia il merito, cosa che non può che avere delle ripercussioni sul modo di esprimersi in tutti i contesti. Certo il mezzo non si presta a sviscerare argomentazioni articolate; su internet generalmente si legge scorrendo, saltando parti, e si finisce anche per scrivere come quando si parla prestando poca attenzione alla sintassi e talvolta anche alla grammatica, per non parlare dell’uso di orribili abbreviazioni che impedisce talvolta di capire il senso di quanto viene scritto. Tuttavia sono sempre evidenti le differenze tra persona e persona e un buon livello culturale si riconosce ma è sempre stato di pochi.

C’è chi pensa poi che attraverso i social network possiamo sia essere derubati di quanto pubblichiamo che meglio controllati. Ogni tanto vedo che qualcuno posta su Facebook degli avvertimenti, a mio parere assolutamente inutili, anche dal punto di vista legale, circa la proprietà di quanto pubblicato. Certo se pubblichiamo una nostra foto su una pagina internet qualsiasi o un post su un blog o su un social network rischiamo che altri se ne approprino, ma finché lo fanno senza modifiche e indicando la fonte per me non ci sono problemi, quanto invece all’uso distorto è sempre possibile rivolgersi alle autorità competenti. E personalmente non utilizzerei mai un social network, che è una piazza virtuale ma sempre più grande di quelle di qualsiasi città nel mondo, per esprimere i miei pensieri più intimi, tenuto conto che spesso è rischioso renderli noti anche alle persone che riteniamo più vicine, ma che domani, per tanti motivi che non possiamo prevedere, potrebbero rivelarsi diverse da come le abbiamo considerate nel momento in cui abbiamo dato loro la nostra fiducia.

Quanto all’essere controllati, credo che lo si sia sempre stati, magari in passato con mezzi più artigianali, e comunque per non esserlo oggi dovremmo cominciare a buttare il cellulare, la carta di credito, il navigatore. Ma chi vorrebbe più rinunciare a questi mezzi? E poi comunque passiamo continuamente sotto le varie telecamere che ci sono dappertutto nei negozi e nelle città e che si spera siano utilizzate solo per la sicurezza di tutti.

Non nego che talvolta sui social network si perde tanto tempo che si potrebbe meglio utilizzare, ma ogni mezzo va usato con moderazione e se qualcuno si fa prendere la mano sono affari suoi.

C’è anche chi sostiene che mentre si pensa di avere aperto una finestra sul mondo ci stiamo rinchiudendo in un mondo virtuale perdendo il senso dei veri rapporti umani. Io tuttavia mi domando se questo senso non si fosse già perso prima. Credo infatti che sia sempre stato molto difficile, specialmente dopo una certa età, aprirsi a conoscenze nuove specialmente se si vive in una città di provincia. Molte persone passata la gioventù si rinchiudono per obbligo o per  scelta  in una cerchia ristretta costituita dalla famiglia, da qualche amico, sempre meno, e dall’ambiente di lavoro. Magari c’è il rischio che ci se ne renda meno conto, perché stando su Facebook e su Twitter ci si sente meno soli, ma certamente non è il caso di illudersi  di avere allargato più di tanto la nostra cerchia. Sui social network è facile finire per avere qualche centinaio di amici o di “follower”, di cui non  sappiamo niente, con i quali non interagiamo quasi mai, di cui non ci si ricorda nemmeno perché gli si sia chiesto l’amicizia o perché si sia accolto la loro richiesta o perché ci seguano e che non eliminiamo solo per pigrizia.

Ritengo tuttavia che non si possa prendere a pretesto il cattivo utilizzo della rete e soprattutto dei social network e i diversi aspetti negativi che certamente ci sono per proporre l’inserimento di controlli e limitazioni come avviene nei paesi retti da dittature e come qualcuno ha suggerito anche nei nostri paesi c.d. democratici.

E’ di stamani un intervento di Roberto Saviano intitolato “In Medias Res” che lo scrittore leggerà questa sera al Festival di Massenzio a Roma e che è stato pubblicato sulla Repubblica di oggi e che prende a pretesto il caso Snowden per porsi il problema della necessità di porre delle regole nel vasto mare del web.  

Non voglio dire che alcuni dei problemi evidenziati da Saviano non siano da considerare, come quello non indifferente della privacy. Ed è certamente vero, come del resto accennavo sopra, che  il web è un mare magnum dove si può trovare chiunque e qualsiasi cosa, dove circolano menzogne, idiozie, notizie prive di sostanza o, peggio, false, e dove l'esercito dei complottisti è piuttosto ampio. Ma è anche vero, e lo riconosce anche Saviano, che proprio per effetto della rete è molto più difficile tenere nascoste certe nefandezze. Non per niente la temono le dittature, ma anche le nostre democrazie.

Sul caso Snowden, Saviano afferma che potevamo immaginare che i servizi segreti spiassero non solo milioni di cittadini ma anche le diplomazie dei paesi alleati, però c’è una differenza sostanziale tra avere un sospetto e avere una prova di questo. Certo perché ora sono in imbarazzo chi spiava e chi era stato spiato e lo sapeva, ma deve far finta di indignarsi, di chiedere spiegazioni, continuando tuttavia, come ha dimostrato il dirottamento dell’aereo del Presidente della Bolivia, a perseverare in comportamenti servili.

E comunque il caso Snowden anche se ha scatenato innumerevoli commenti sui social network non è mica stato diffuso dalla rete,  ma, mi pare, da un media tradizionale, un'autorevole testata giornalistica come il britannico Guardian.

Poi non mi è piaciuta la parte dell’intervento ove l’autore dice “Quel che rende forte un’azienda o uno Stato è che ciò che accade al suo interno rimanga conosciuto soltanto a pochi o che venga decodificato, tradotto, prima di essere diffuso. Invece Assange prima e ora Snowden hanno fatto in modo che quelle informazioni raggiungessero il web senza filtro, mediazione, spiegazioni.” Dunque Saviano preferisce un mondo in cui certe notizie siano mediate dagli “addetti ai lavori”. Io preferirei un mondo in cui il livello culturale ed etico medio fossero più elevati.

Posso concordare quando invece l’autore sostiene che “in una situazione del genere, i giornali, i media classici, si trovano davanti al compito difficilissimo di fungere da setacci volti a filtrare solo le notizie a prova di verifiche. I siti dei quotidiani oggi hanno questo ruolo cruciale: costruire autorevolezza. Eppure tale ruolo è minato nella sua credibilità dagli evidenti condizionamenti politici e ancor più economici che gravano sugli assetti e bilanci di molti dei media tradizionali”.
Purtroppo è così ma se i media classici non sono in grado di assolvere al loro compito la colpa non è della rete. E non è ponendo dei limiti alla rete che si risolve il problema.



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mercoledì 3 luglio 2013

L'uso di internet, Saviano e il caso Snowden

Credo che si sia tutti d’accordo nell’affermare che internet ha rivoluzionato il mondo, qualcuno addirittura ritiene che abbia determinato cambiamenti paragonabili a quelli conseguenti all’invenzione dei caratteri a stampa di Gutenberg.

Sarebbero oltre due miliardi le persone che accedono a una connessione e sono in costante aumento anche nei paesi in via di sviluppo.

Oggi non è più concepibile lavorare senza il sostegno di programmi informatici e di collegamenti in rete; con un semplice click possiamo accedere a una miriade di informazioni, eliminando i tempi lunghi delle ricerche sui testi cartacei; con i blog e soprattutto con i social network possiamo interagire con amici, ma anche con persone sconosciute in qualsiasi parte del mondo, e possiamo esprimere le nostre opinioni e confrontarle con quelle altrui senza bisogno di esser professionisti dei media.

Certo l’uso di internet presenta lati positivi e negativi e, come del resto ogni altro strumento, può essere male utilizzato.

Nell’immensa mole di informazioni che circolano in rete ce ne siano tante non verificabili, di cui non è citata la fonte, spesso di nessun valore, o talvolta assurde e ridicole, vere e proprie bufale. E anche queste, soprattutto attraverso l’utilizzo dei social network, circolano con una rapidità impensabile in passato, ma si tratta sempre di saper cercare e discernere e questo ovviamente dipende dal livello culturale di ciascuno e non dal mezzo usato.

Talvolta il confronto di opinioni sui social network dà luogo a scontri abbastanza indegni del vivere civile, ma questo è un rischio cui andiamo incontro anche nella vita reale. Certamente un po’ di attenzione nella scelta delle persone di cui circondarsi andrebbe sempre fatta, sia nel reale che nel virtuale, tanto più oggi, in cui mi sembra ci sia una radicalizzazione nelle divergenze, e, mentre da una parte si proclama la morte delle ideologie, dall'altra lo scontro politico diventa più acceso e si basa più sugli insulti all’intelligenza di chi la pensa diversamente che su argomentazioni razionali. E si deve anche sperare che la crisi che stiamo vivendo non finisca per trasformare gli insulti in qualcosa di più grave. Ma certo non si può dare la colpa di un aumento del degrado morale ai social network. Basterebbe infatti pensare al linguaggio che talvolta viene usato nei talk show dove spesso non si illustrano idee e programmi ma ci si insulta urlando. Quindi se c’è un problema etico non lo possiamo addebitare all’uso della rete, ma a un deriva che coinvolge l’intera società e che ha tante cause e tanti aspetti.

Mi domando poi se anche l’uso di un pessimo italiano sia da ascrivere ai social network o se invece, come credo più probabile, derivi dal fallimento di una scuola sempre più facile che non seleziona, che non premia il merito, cosa che non può che avere delle ripercussioni sul modo di esprimersi in tutti i contesti. Certo il mezzo non si presta a sviscerare argomentazioni articolate; su internet generalmente si legge scorrendo, saltando parti, e si finisce anche per scrivere come quando si parla prestando poca attenzione alla sintassi e talvolta anche alla grammatica, per non parlare dell’uso di orribili abbreviazioni che impedisce talvolta di capire il senso di quanto viene scritto. Tuttavia sono sempre evidenti le differenze tra persona e persona e un buon livello culturale si riconosce ma è sempre stato di pochi.

C’è chi pensa poi che attraverso i social network possiamo sia essere derubati di quanto pubblichiamo che meglio controllati. Ogni tanto vedo che qualcuno posta su Facebook degli avvertimenti, a mio parere assolutamente inutili, anche dal punto di vista legale, circa la proprietà di quanto pubblicato. Certo se pubblichiamo una nostra foto su una pagina internet qualsiasi o un post su un blog o su un social network rischiamo che altri se ne approprino, ma finché lo fanno senza modifiche e indicando la fonte per me non ci sono problemi, quanto invece all’uso distorto è sempre possibile rivolgersi alle autorità competenti. E personalmente non utilizzerei mai un social network, che è una piazza virtuale ma sempre più grande di quelle di qualsiasi città nel mondo, per esprimere i miei pensieri più intimi, tenuto conto che spesso è rischioso renderli noti anche alle persone che riteniamo più vicine, ma che domani, per tanti motivi che non possiamo prevedere, potrebbero rivelarsi diverse da come le abbiamo considerate nel momento in cui abbiamo dato loro la nostra fiducia.

Quanto all’essere controllati, credo che lo si sia sempre stati, magari in passato con mezzi più artigianali, e comunque per non esserlo oggi dovremmo cominciare a buttare il cellulare, la carta di credito, il navigatore. Ma chi vorrebbe più rinunciare a questi mezzi? E poi comunque passiamo continuamente sotto le varie telecamere che ci sono dappertutto nei negozi e nelle città e che si spera siano utilizzate solo per la sicurezza di tutti.

Non nego che talvolta sui social network si perde tanto tempo che si potrebbe meglio utilizzare, ma ogni mezzo va usato con moderazione e se qualcuno si fa prendere la mano sono affari suoi.

C’è anche chi sostiene che mentre si pensa di avere aperto una finestra sul mondo ci stiamo rinchiudendo in un mondo virtuale perdendo il senso dei veri rapporti umani. Io tuttavia mi domando se questo senso non si fosse già perso prima. Credo infatti che sia sempre stato molto difficile, specialmente dopo una certa età, aprirsi a conoscenze nuove specialmente se si vive in una città di provincia. Molte persone passata la gioventù si rinchiudono per obbligo o per  scelta  in una cerchia ristretta costituita dalla famiglia, da qualche amico, sempre meno, e dall’ambiente di lavoro. Magari c’è il rischio che ci se ne renda meno conto, perché stando su Facebook e su Twitter ci si sente meno soli, ma certamente non è il caso di illudersi  di avere allargato più di tanto la nostra cerchia. Sui social network è facile finire per avere qualche centinaio di amici o di “follower”, di cui non  sappiamo niente, con i quali non interagiamo quasi mai, di cui non ci si ricorda nemmeno perché gli si sia chiesto l’amicizia o perché si sia accolto la loro richiesta o perché ci seguano e che non eliminiamo solo per pigrizia.

Ritengo tuttavia che non si possa prendere a pretesto il cattivo utilizzo della rete e soprattutto dei social network e i diversi aspetti negativi che certamente ci sono per proporre l’inserimento di controlli e limitazioni come avviene nei paesi retti da dittature e come qualcuno ha suggerito anche nei nostri paesi c.d. democratici.

E’ di stamani un intervento di Roberto Saviano intitolato “In Medias Res” che lo scrittore leggerà questa sera al Festival di Massenzio a Roma e che è stato pubblicato sulla Repubblica di oggi e che prende a pretesto il caso Snowden per porsi il problema della necessità di porre delle regole nel vasto mare del web.  

Non voglio dire che alcuni dei problemi evidenziati da Saviano non siano da considerare, come quello non indifferente della privacy. Ed è certamente vero, come del resto accennavo sopra, che  il web è un mare magnum dove si può trovare chiunque e qualsiasi cosa, dove circolano menzogne, idiozie, notizie prive di sostanza o, peggio, false, e dove l'esercito dei complottisti è piuttosto ampio. Ma è anche vero, e lo riconosce anche Saviano, che proprio per effetto della rete è molto più difficile tenere nascoste certe nefandezze. Non per niente la temono le dittature, ma anche le nostre democrazie.

Sul caso Snowden, Saviano afferma che potevamo immaginare che i servizi segreti spiassero non solo milioni di cittadini ma anche le diplomazie dei paesi alleati, però c’è una differenza sostanziale tra avere un sospetto e avere una prova di questo. Certo perché ora sono in imbarazzo chi spiava e chi era stato spiato e lo sapeva, ma deve far finta di indignarsi, di chiedere spiegazioni, continuando tuttavia, come ha dimostrato il dirottamento dell’aereo del Presidente della Bolivia, a perseverare in comportamenti servili.

E comunque il caso Snowden anche se ha scatenato innumerevoli commenti sui social network non è mica stato diffuso dalla rete,  ma, mi pare, da un media tradizionale, un'autorevole testata giornalistica come il britannico Guardian.

Poi non mi è piaciuta la parte dell’intervento ove l’autore dice “Quel che rende forte un’azienda o uno Stato è che ciò che accade al suo interno rimanga conosciuto soltanto a pochi o che venga decodificato, tradotto, prima di essere diffuso. Invece Assange prima e ora Snowden hanno fatto in modo che quelle informazioni raggiungessero il web senza filtro, mediazione, spiegazioni.” Dunque Saviano preferisce un mondo in cui certe notizie siano mediate dagli “addetti ai lavori”. Io preferirei un mondo in cui il livello culturale ed etico medio fossero più elevati.

Posso concordare quando invece l’autore sostiene che “in una situazione del genere, i giornali, i media classici, si trovano davanti al compito difficilissimo di fungere da setacci volti a filtrare solo le notizie a prova di verifiche. I siti dei quotidiani oggi hanno questo ruolo cruciale: costruire autorevolezza. Eppure tale ruolo è minato nella sua credibilità dagli evidenti condizionamenti politici e ancor più economici che gravano sugli assetti e bilanci di molti dei media tradizionali”.
Purtroppo è così ma se i media classici non sono in grado di assolvere al loro compito la colpa non è della rete. E non è ponendo dei limiti alla rete che si risolve il problema.



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