lunedì 17 giugno 2013

La grande bellezza e altre cose

Sono triste,  per i cani e i gatti abbandonati che non vuole nessuno, per l’orchestra della televisione greca che non suonerà più, per la bellezza ovunque oltraggiata, specialmente nel nostro paese che ne possiede una buona percentuale, per le bandiere italiane sfilacciate di cui si parlava stamani in un articolo del Corriere e che sono sintomo dello sfilacciamento di un paese che non crede in se stesso e nei propri simboli, per la libertà calpestata in piazza Taksim  a Istanbul e in buona parte del mondo, e per il mio corpo che manda segnali che non mi piacciono e di cui ho paura (probabilmente si tratta del solito attacco di ipocondria, ma chi me lo assicura?). Non so se questo sia  l’ordine giusto dei motivi  per cui essere triste, ma lo lascio così come mi è venuto.

C'è qualcosa cui appigliarsi per superare la tristezza? Forse solo la natura e l'arte, possono fornirci un antidoto. Ci sarebbe forse anche l'amore, ma mi ci soffermerò un'altra volta.

Riflettevo su questi concetti dopo aver visto l'ultimo film di Paolo Sorrentino, “La grande bellezza”. Cosa dire? Nell'immediato restano impresse le  splendide immagini di Roma, dei suoi monumenti e dei suoi palazzi, ma per queste sarebbe bastato un buon documentarista, la cafonaggine di tante feste e l'estenuante lentezza. Del resto la lentezza è una caratteristica dei film di Sorrentino, o almeno così mi è parso, almeno ricordando "Le conseguenze dell'amore" che non mi è piaciuto e "Il Divo" che invece mi è piaciuto molto. Per quest'ultima opera qualcuno ha chiamato in causa l’opera di Diderot, “Il nipote di Rameau”, che avrebbe dato origine al personaggio del mondano, cinico, perditempo, che disprezza sé e gli altri. Ma se il nipote di Rameau non aveva un lavoro e in sostanza faceva il parassita, ma erano altri tempi, il protagonista del film è un giornalista di successo, Jep Gambardella, interpretato dall'ottimo Toni Servillo, che in gioventù aveva dimostrato un certo talento letterario, pubblicando un libro, “L’apparato umano”, accolto favorevolmente dalla critica, talento che tuttavia ha vanificato per pigrizia, preferendo diventare il re dei mondani, frequentare la Roma che fa tendenza, passando il tempo in feste e gossip, annoiandosi, senza un progetto, se non il culto di sé, del proprio cinismo e della propria misantropia. Niente è importante, tutto è un trucco. L’unica ancora di salvezza forse è la bellezza, che si manifesta nell’arte, nei monumenti, negli indimenticabili scorci della città eterna.

Non ricordo bene la frase di Celine tratta dal “Viaggio al termine della notte” che apre il film ma mi pare questa:
Viaggiare, è proprio utile, fa lavorare l'immaginazione.
Tutto il resto è delusione e fatica.
Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario.
Ecco la sua forza.
Va dalla vita alla morte.
Uomini, bestie, città e cose, è tutto inventato.

Forse potrei leggere il romanzo che aspetta da tanti anni. C’è chi dice sia illeggibile. Vedremo.

A proposito di città eterna, sto leggendo un romanzo sulla fondazione di Roma “Il ribelle” di Emma Pomilio. Francamente non mi sta prendendo molto. Non si capisce bene quale sia il personaggio centrale, se l’etrusco in fuga Larth o Romolo. Ormai lo finisco e subito dopo attacco “Lui è tornato”, romanzo dell’esordiente Timur Vermes su un ipotetico risveglio di Hitler  nella Berlino di oggi. E poi magari Celine.

L'ultimo romanzo che mi ha entusiasmato invece è “City”  (anni senza fine) di Clifford D.Simak, ove si parla di un futuro in cui l'umanità è scomparsa, emigrata su Giove, e la specie dominante sulla Terra è quella canina. Per i cani l'uomo è una specie mitologica di cui narrare davanti al focolare, quando le fiamme bruciano alte e il vento spira da Nord. Essi si pongono domande su cosa fosse esattamente un essere umano, come fossero fatte le città e cosa fosse la guerra. Forse ci scriverò qualcosa.

Certi romanzi e certi film mi intrigano e sono spunto per delle riflessioni che però al momento di metterle sulla carta ( o meglio su un file.doc, perché ormai sulla carta al massimo ci metto il diario delle paturnie, che, anche a detta degli psicologi, sembra venga meglio su carta) svaniscono come d’incanto. Devo ammettere che non ho talento o forse non lo esercito. Troppo pigra. E non sono riuscita nemmeno a essere come  Jep Gambardella , il protagonista del film di cui sopra.


A proposito di film ieri sera mi sono persa “Bright Star” film del 2009, scritto e diretto dalla regista neozelandese, Jane Campion, basato sugli ultimi tre anni di vita del poeta inglese John Keats. Devo riuscire a trovarlo, perché penso mi sarebbe piaciuto. 

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lunedì 17 giugno 2013

La grande bellezza e altre cose

Sono triste,  per i cani e i gatti abbandonati che non vuole nessuno, per l’orchestra della televisione greca che non suonerà più, per la bellezza ovunque oltraggiata, specialmente nel nostro paese che ne possiede una buona percentuale, per le bandiere italiane sfilacciate di cui si parlava stamani in un articolo del Corriere e che sono sintomo dello sfilacciamento di un paese che non crede in se stesso e nei propri simboli, per la libertà calpestata in piazza Taksim  a Istanbul e in buona parte del mondo, e per il mio corpo che manda segnali che non mi piacciono e di cui ho paura (probabilmente si tratta del solito attacco di ipocondria, ma chi me lo assicura?). Non so se questo sia  l’ordine giusto dei motivi  per cui essere triste, ma lo lascio così come mi è venuto.

C'è qualcosa cui appigliarsi per superare la tristezza? Forse solo la natura e l'arte, possono fornirci un antidoto. Ci sarebbe forse anche l'amore, ma mi ci soffermerò un'altra volta.

Riflettevo su questi concetti dopo aver visto l'ultimo film di Paolo Sorrentino, “La grande bellezza”. Cosa dire? Nell'immediato restano impresse le  splendide immagini di Roma, dei suoi monumenti e dei suoi palazzi, ma per queste sarebbe bastato un buon documentarista, la cafonaggine di tante feste e l'estenuante lentezza. Del resto la lentezza è una caratteristica dei film di Sorrentino, o almeno così mi è parso, almeno ricordando "Le conseguenze dell'amore" che non mi è piaciuto e "Il Divo" che invece mi è piaciuto molto. Per quest'ultima opera qualcuno ha chiamato in causa l’opera di Diderot, “Il nipote di Rameau”, che avrebbe dato origine al personaggio del mondano, cinico, perditempo, che disprezza sé e gli altri. Ma se il nipote di Rameau non aveva un lavoro e in sostanza faceva il parassita, ma erano altri tempi, il protagonista del film è un giornalista di successo, Jep Gambardella, interpretato dall'ottimo Toni Servillo, che in gioventù aveva dimostrato un certo talento letterario, pubblicando un libro, “L’apparato umano”, accolto favorevolmente dalla critica, talento che tuttavia ha vanificato per pigrizia, preferendo diventare il re dei mondani, frequentare la Roma che fa tendenza, passando il tempo in feste e gossip, annoiandosi, senza un progetto, se non il culto di sé, del proprio cinismo e della propria misantropia. Niente è importante, tutto è un trucco. L’unica ancora di salvezza forse è la bellezza, che si manifesta nell’arte, nei monumenti, negli indimenticabili scorci della città eterna.

Non ricordo bene la frase di Celine tratta dal “Viaggio al termine della notte” che apre il film ma mi pare questa:
Viaggiare, è proprio utile, fa lavorare l'immaginazione.
Tutto il resto è delusione e fatica.
Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario.
Ecco la sua forza.
Va dalla vita alla morte.
Uomini, bestie, città e cose, è tutto inventato.

Forse potrei leggere il romanzo che aspetta da tanti anni. C’è chi dice sia illeggibile. Vedremo.

A proposito di città eterna, sto leggendo un romanzo sulla fondazione di Roma “Il ribelle” di Emma Pomilio. Francamente non mi sta prendendo molto. Non si capisce bene quale sia il personaggio centrale, se l’etrusco in fuga Larth o Romolo. Ormai lo finisco e subito dopo attacco “Lui è tornato”, romanzo dell’esordiente Timur Vermes su un ipotetico risveglio di Hitler  nella Berlino di oggi. E poi magari Celine.

L'ultimo romanzo che mi ha entusiasmato invece è “City”  (anni senza fine) di Clifford D.Simak, ove si parla di un futuro in cui l'umanità è scomparsa, emigrata su Giove, e la specie dominante sulla Terra è quella canina. Per i cani l'uomo è una specie mitologica di cui narrare davanti al focolare, quando le fiamme bruciano alte e il vento spira da Nord. Essi si pongono domande su cosa fosse esattamente un essere umano, come fossero fatte le città e cosa fosse la guerra. Forse ci scriverò qualcosa.

Certi romanzi e certi film mi intrigano e sono spunto per delle riflessioni che però al momento di metterle sulla carta ( o meglio su un file.doc, perché ormai sulla carta al massimo ci metto il diario delle paturnie, che, anche a detta degli psicologi, sembra venga meglio su carta) svaniscono come d’incanto. Devo ammettere che non ho talento o forse non lo esercito. Troppo pigra. E non sono riuscita nemmeno a essere come  Jep Gambardella , il protagonista del film di cui sopra.


A proposito di film ieri sera mi sono persa “Bright Star” film del 2009, scritto e diretto dalla regista neozelandese, Jane Campion, basato sugli ultimi tre anni di vita del poeta inglese John Keats. Devo riuscire a trovarlo, perché penso mi sarebbe piaciuto. 

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