martedì 1 febbraio 2005

L’Iraq verso la democrazia ?



 

Gli iracheni non hanno avuto paura. Il 60% degli aventi diritto, 8 milioni di iracheni, sarebbero andati alle urne. I giornali di tutto il mondo elogiano la forza e il coraggio di un popolo che ha sconfitto i kamikaze di Al Zarkawi, che rifiuta l’oscurantismo di Al Qaeda e che vuole incamminarsi sulla strada della democrazia.


 

Qua e là qualcuno insinua qualche dubbio, come questo articolo di “Reporter Associati”. Devo dire che non si tratta di un bell’articolo, anche nel senso dello stile (ma d’altra parte cosa aspettarsi da chi, per rimandare all’inizio della pagina, scrive “go to top”?).


 

Tuttavia anche se non mi sembra possibile che tutti, comprese le agenzie di stampa e tutti gli organi di informazione, ci prendano in giro, che siano tutti al soldo di Bush, non nego che qualche perplessità ce l’ho anch’io, sia sulla percentuale dei votanti, sia sul fatto che si siano svolte veramente libere elezioni in un paese occupato.


 

Non erano ancora chiuse le operazioni di voto che già si diffondeva la notizia di una percentuale di affluenza alle urne del 72%, poi ridimensionata al 60%.

 

Anche nei paesi occidentali, di consolidata democrazia e in situazioni assolutamente tranquille,  sarebbe difficile in 10 ore di votazione (in Iraq si è votato dalle 7.00 alle 17.00) raggiungere il 60%, figurarsi il 72%, ma in un paese militarmente occupato, sotto minaccia di attacchi terroristici ai seggi, questi ultimi peraltro pochi e da raggiungere a piedi,  perché, per motivi di sicurezza, la circolazione era stata vietata in tutte le zone circostanti, e dopo 50 anni che non si votava, mi sarei aspettata non solo una minore affluenza, ma anche che ci volesse un po’ più di tempo per fornire qualsiasi informazione.


 

Le previsioni della vigilia fornite dagli organi di informazione erano piuttosto negative. Qualche giorno fa lo stesso presidente iracheno Al Yawar aveva messo  le mani avanti annunciando che molti non si sarebbero recati alle urne, anche se aveva rapidamente ritrattato, forse dopo una reprimenda degli americani.


 

Quanto agli osservatori internazionali, il portavoce della ACIE (Alto Commissariato Indipendente per l'Elezioni) Adil Al Lami, ha fatto sapere che erano complessivamente  in numero di 199 e che, per ovvie regioni di sicurezza, sono stati dislocati nelle zone più sicure, particolarmente nel Kurdistan. E guarda caso anche molte delle foto pubblicate dai giornali riguardano seggi del Kurdistan.


 

Se a ciò si aggiunge che Bush non avrebbe potuto permettersi una sconfitta, mi sembra più che legittimo qualche dubbio.

 

Magdi Allam, sul Corriere della Sera del 31 gennaio, sostiene che “le prime elezioni libere nella storia dell'Iraq e del mondo arabo non sono piaciute affatto ad al Zarqawi, Saddam, Assad e al Jazeera. Sono piaciute poco a Erdogan, re Fahd, Khamenei”, ma sono anche “ risultate indigeste agli europei ossessionati dall'antiamericanismo e agli americani che mal sopportano Bush”.


Io penso che se effettivamente il 60% degli iracheni ha espresso la propria volontà di “autodeterminarsi”, non si possa che esternare ammirazione per un popolo che in condizioni così difficili ha dimostrato di essere forte e maturo, e questo anche se non ci piace Bush e ci dispiace un po’ che sia contento.


Credo che a molti di noi europei, senza essere ossessionati da nessun antiamericanismo (che è solo nelle menti dei filoamericani viscerali), non piaccia l’America “teocon” di Bush, mentre ci rendiamo conto altresì che gli interessi dell’America (anche economici) non sono precisamente i nostri interessi.


 

Inoltre anche se dalla guerra di Bush dovesse derivare un Iraq democratico, cosa che è ancora tutta da dimostrare, non per questo ci ricrediamo sulla sua politica e sulla sua visione manichea della storia. Non ci piacciono gli imperi, del bene o del male che siano, e crediamo nell'autodeterminazione dei popoli e nella sovranità nazionale.    


 

Infine, a prescindere da chi abbia vinto le elezioni, ma sicuramente sarà un testa a testa tra Allawi e gli Sciti (addirittura sembra che  Mokta Al Sadr's abbia votato per Allawi!?), se il popolo iracheno ha dimostrato di essere maturo per la democrazia, si dovrebbe poter cominciare a parlare di ritiro delle truppe americane e della coalizione, eventualmente sostituite da forze internazionali sotto mandato ONU, per il periodo necessario a ricostituire un esercito e una polizia iracheni autosufficienti. Ma è molto probabile che il nuovo governo, liberamente eletto, chiederà loro di restare.


 

2 commenti:

  1. Brava, Marivan. Una considerazione a latere, sulla quale penso tu sia d'accordo. Possibile che chi critica l'operato dell'amministrazione Bush debba essere tacciato di antimericanismo? Non si poteva raggiungere lo stesso risultato delle elezioni senza scatenare una guerra che ha visto decine di migliaia di morti tra i civili (ma sapremo mai la cifra esatta?). Ti abbraccio. Alain

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  2. i tuoi dubbi sono legittimi...Un abbraccio e buona domenica mia cara Marivan

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martedì 1 febbraio 2005

L’Iraq verso la democrazia ?



 

Gli iracheni non hanno avuto paura. Il 60% degli aventi diritto, 8 milioni di iracheni, sarebbero andati alle urne. I giornali di tutto il mondo elogiano la forza e il coraggio di un popolo che ha sconfitto i kamikaze di Al Zarkawi, che rifiuta l’oscurantismo di Al Qaeda e che vuole incamminarsi sulla strada della democrazia.


 

Qua e là qualcuno insinua qualche dubbio, come questo articolo di “Reporter Associati”. Devo dire che non si tratta di un bell’articolo, anche nel senso dello stile (ma d’altra parte cosa aspettarsi da chi, per rimandare all’inizio della pagina, scrive “go to top”?).


 

Tuttavia anche se non mi sembra possibile che tutti, comprese le agenzie di stampa e tutti gli organi di informazione, ci prendano in giro, che siano tutti al soldo di Bush, non nego che qualche perplessità ce l’ho anch’io, sia sulla percentuale dei votanti, sia sul fatto che si siano svolte veramente libere elezioni in un paese occupato.


 

Non erano ancora chiuse le operazioni di voto che già si diffondeva la notizia di una percentuale di affluenza alle urne del 72%, poi ridimensionata al 60%.

 

Anche nei paesi occidentali, di consolidata democrazia e in situazioni assolutamente tranquille,  sarebbe difficile in 10 ore di votazione (in Iraq si è votato dalle 7.00 alle 17.00) raggiungere il 60%, figurarsi il 72%, ma in un paese militarmente occupato, sotto minaccia di attacchi terroristici ai seggi, questi ultimi peraltro pochi e da raggiungere a piedi,  perché, per motivi di sicurezza, la circolazione era stata vietata in tutte le zone circostanti, e dopo 50 anni che non si votava, mi sarei aspettata non solo una minore affluenza, ma anche che ci volesse un po’ più di tempo per fornire qualsiasi informazione.


 

Le previsioni della vigilia fornite dagli organi di informazione erano piuttosto negative. Qualche giorno fa lo stesso presidente iracheno Al Yawar aveva messo  le mani avanti annunciando che molti non si sarebbero recati alle urne, anche se aveva rapidamente ritrattato, forse dopo una reprimenda degli americani.


 

Quanto agli osservatori internazionali, il portavoce della ACIE (Alto Commissariato Indipendente per l'Elezioni) Adil Al Lami, ha fatto sapere che erano complessivamente  in numero di 199 e che, per ovvie regioni di sicurezza, sono stati dislocati nelle zone più sicure, particolarmente nel Kurdistan. E guarda caso anche molte delle foto pubblicate dai giornali riguardano seggi del Kurdistan.


 

Se a ciò si aggiunge che Bush non avrebbe potuto permettersi una sconfitta, mi sembra più che legittimo qualche dubbio.

 

Magdi Allam, sul Corriere della Sera del 31 gennaio, sostiene che “le prime elezioni libere nella storia dell'Iraq e del mondo arabo non sono piaciute affatto ad al Zarqawi, Saddam, Assad e al Jazeera. Sono piaciute poco a Erdogan, re Fahd, Khamenei”, ma sono anche “ risultate indigeste agli europei ossessionati dall'antiamericanismo e agli americani che mal sopportano Bush”.


Io penso che se effettivamente il 60% degli iracheni ha espresso la propria volontà di “autodeterminarsi”, non si possa che esternare ammirazione per un popolo che in condizioni così difficili ha dimostrato di essere forte e maturo, e questo anche se non ci piace Bush e ci dispiace un po’ che sia contento.


Credo che a molti di noi europei, senza essere ossessionati da nessun antiamericanismo (che è solo nelle menti dei filoamericani viscerali), non piaccia l’America “teocon” di Bush, mentre ci rendiamo conto altresì che gli interessi dell’America (anche economici) non sono precisamente i nostri interessi.


 

Inoltre anche se dalla guerra di Bush dovesse derivare un Iraq democratico, cosa che è ancora tutta da dimostrare, non per questo ci ricrediamo sulla sua politica e sulla sua visione manichea della storia. Non ci piacciono gli imperi, del bene o del male che siano, e crediamo nell'autodeterminazione dei popoli e nella sovranità nazionale.    


 

Infine, a prescindere da chi abbia vinto le elezioni, ma sicuramente sarà un testa a testa tra Allawi e gli Sciti (addirittura sembra che  Mokta Al Sadr's abbia votato per Allawi!?), se il popolo iracheno ha dimostrato di essere maturo per la democrazia, si dovrebbe poter cominciare a parlare di ritiro delle truppe americane e della coalizione, eventualmente sostituite da forze internazionali sotto mandato ONU, per il periodo necessario a ricostituire un esercito e una polizia iracheni autosufficienti. Ma è molto probabile che il nuovo governo, liberamente eletto, chiederà loro di restare.


 

2 commenti:

  1. Brava, Marivan. Una considerazione a latere, sulla quale penso tu sia d'accordo. Possibile che chi critica l'operato dell'amministrazione Bush debba essere tacciato di antimericanismo? Non si poteva raggiungere lo stesso risultato delle elezioni senza scatenare una guerra che ha visto decine di migliaia di morti tra i civili (ma sapremo mai la cifra esatta?). Ti abbraccio. Alain

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  2. i tuoi dubbi sono legittimi...Un abbraccio e buona domenica mia cara Marivan

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