venerdì 4 ottobre 2013

"Non so niente di te" di Paola Mastrocola - Le pecore, l'economia, il senso della vita.

Non avevo mai letto niente di Paola Mastrocola finché non mi è capitato tra le mani il suo ultimo romanzo, “Non so niente di te”. La lettura del risvolto di copertina dove si parla di un brillante giovane economista che conduce un centinaio di pecore a una conferenza mi ha indotto a  pensare che per lo meno si doveva trattare  di un racconto originale e devo dire che le aspettative non sono andate deluse, anche se lo stile di scrittura talvolta appare un po' trascurato.

Altra cosa abbastanza intrigante il fatto che l’autrice parla di eventi dei nostri giorni come se scrivesse in un tempo futuro, diciamo intorno al 2060. Non si lancia tuttavia a fornirci informazioni circa l’evoluzione degli eventi, ovvero in sostanza a fare previsioni. Abbiamo superato la crisi economica attuale? Probabilmente si; l'Occidente c'è ancora (nel romanzo si parla di Stati Occidentali, ma non so se con questo termine si voglia alludere a un'unione di stati) e ci sono pure gli economisti che sembra continuino a guadagnare discretamente e a essere considerati, ma di come sia il mondo del 2060 l'autrice non ci dice molto se non che la  tecnologia ha continuato a svilupparsi, perché sms e sistemi come Skype sono tanto obsoleti che devono essere spiegati ai lettori, mentre i libri di carta sono ormai una rarità.

Il romanzo può avere più chiavi di lettura.

La primo riguarda i rapporti tra genitori e figli, un'altra, le scelte della vita, un'altra ancora, l'evoluzione della nostra società.

Molto spesso i genitori ripongono eccessive speranze nei figli o, ancora peggio, impongono a questi desideri e interessi che sono loro propri, senza preoccuparsi se i figli desiderino invece altro.   

Il protagonista del romanzo, Filippo Cantirami, detto Fil, sembrerebbe avere davanti a sé la strada spianata; i genitori, il padre avvocato di successo, la madre, arredatrice per diletto, appartengono alla borghesia agiata, pertanto con la possibilità di pagare al figlio gli studi giusti, le specializzazioni all’estero, e poi di instradarlo in un lavoro, anzi di fornirgli ben tre alternative in un momento in cui la maggior parte dei giovani, anche laureati, hanno davanti a sé, sempre che gli vada bene, un lavoro precario chissà per quanti anni.

Il padre ha deciso per il figlio la carriera di economista, tanto che fin da piccolo gli legge gli articoli del “Financial Times” e lo invita a discuterne. Che il figlio possa avere altri interessi non gli viene neanche in mente. Solo la zia Giuliana, detta Giù, una donna un po’ particolare con la quale Fil ha un’intesa speciale, si permette di chiedere “ma sei sicuro, Fil?”, ma poi non ha il coraggio di approfondire.

E Fil si adegua, si iscrive a Economia e poi parte per Oxford a fare un master cui dovrebbe seguire una specializzazione a Stanford, ma dopo qualche tempo comincia a essere insofferente e un giorno, quando gli manca poco alla conclusione del master, decide di abbandonare tutto, ma non ha il coraggio di dirlo ai genitori.  Così fa un patto con l’amico Jeremy: lui andrà a Stanford al posto suo, Fil gli passerà i soldi che gli mandano i genitori per il mantenimento e in cambio Jeremy gli invierà dei resoconti dettagliati della propria vita nel college californiano in modo che Fil possa propinarli ai genitori come suoi. Intanto Fil si è trovato un lavoro da aiuto pastore presso i possedimenti di un duca nei dintorni di Oxford. Ci passerà tre anni, continuando tuttavia a studiare economia, ma per conto suo, leggendo i classici, non solo dell’economia, riflettendo, prendendo appunti, senza però gli obblighi delle lezioni, degli esami, della corsa per primeggiare. Con l'amico Jeremy appronta anche una ricerca sulla crisi dei mercati che è considerata interessante. Ed è per illustrarla che insieme all'amico è invitato in uno dei più prestigiosi collegi di Oxford. Solo che lui se ne dimentica e quando l'amico lo cerca per ricordarglielo lui è con le pecore e non trova altro modo che portarsele dietro. E' così che di fronte all'allibito pubblico in attesa della conferenza irrompono centinaia di pecore. Come nulla fosse Fil si affianca al collega  che ha già preso posto al tavolo della conferenza e inizia a illustrare la ricerca che ha realizzato insieme a lui o, meglio, di cui è stato l'ispiratore. Per caso è presente una sua ex fidanzata che informa la sorella di lui. Da quel momento i genitori che lo credono a specializzarsi negli Stati Uniti e la zia Giuliana con la quale Filippo, detto Fil, ha sempre avuto una particolare intesa, partono alla ricerca del congiunto e del motivo della sua azione, per lo meno stravagante. - Forse una forma di protesta ?-, si chiedono perplessi e preoccupati i genitori. La ricerca li condurrà in pochi giorni da Standford, dove Fil non ha mai vissuto, alla località nei dintorni di Oxford, dove si è fermato negli ultimi tre anni, apprendendo che Fil non ha mai iniziato la specializzazione a Stanford e nemmeno concluso il master a Oxford, ma ha fatto per tre anni l'aiuto pastore, mentre il suo posto a Stanford è stato preso dall'amico, Jeremy. Scopriranno quindi di non sapere nulla di lui. Sono ansiosi comunque di parlargli, di sapere cosa gli sia successo, ma non lo troveranno nemmeno a Oxford, perché, il giorno prima del loro arrivo, Fil è partito per un paesino della Norvegia alla ricerca di una ragazza che ha incontrato per caso una sera e con i genitori si farà vivo solo diverso tempo dopo. In quel minuscolo paese rimarrà per tutta la vita, sposerà la ragazza, avrà un figlio, farà l'impiegato in una ditta di merluzzi, insomma una vita "normale", ben lontana dai desideri e dalle ambizioni che i genitori avevano sognato per lui. Solo alla sua morte, quando al funerale arriveranno dagli Stati Uniti alcuni professori universitari e tra di essi, il vecchio amico Jeremy, si scoprirà che Fil ha continuato a studiare economia e ha anche scritto un libro "Ceiling Theory" che è stato considerato una pietra miliare nel settore.

E cosa dice questa teoria?

In poche parole dice che bisogna mettere un cielo-tetto alla crescita. Non si può continuare così, a dismisura.Le ultime due generazioni sono cresciute meno delle precedenti, anzi l'ultima non cresce perché è partita altissima. È come per i tonni con le acciughe. I tonni devono smettere di mangiare troppe acciughe altrimenti si estingueranno perché non avranno più niente da mangiare. Ogni Stato deve imparare a dire: bene, io sono partito di qui e arrivo fin qui, grazie, mi basta, gli altri arrivino dove possono arrivare, essendo partiti da dove sono partiti. Certo che se partono da più in basso fanno più strada. Se io parto dall'arrivo, sono già arrivato, e quindi di strada non ne faccio, neanche mezzo metro.  Vale per le persone come per gli Stati. Se uno è già arrivato, dove deve andare? Magari si ferma un po'. Magari gli viene voglia di smettere di correre... Arrivare, il segreto sta nel significato etimologico di questo verbo: se uno ha già toccato la riva, ovvio che poi sta fermo. Sono gli altri che navigano ancora a vele spiegate. Fil pensa a una gara di corsa campestre con gli Stati Arrivati che si riposano ai bordi della pista e aspettano che via via arrivino gli altri e tutti si siedano a riposarsi, una specie di Dejuner sull'erba collettivo, planetario. 

E fine della storia!

Infatti se rallentare può essere una scelta nella vita di un individuo non credo si possa applicare agli Stati. Questi se si fermano declinano per sempre o almeno per molti anni o secoli prima che ci possa essere una ripresa. Basti pensare alle antiche civiltà decadute. Probabilmente, è vero, avevano raggiunto il massimo quando altre si affacciavano alla storia con quella voglia di combattere e di conquistare che loro avevano perso. E' nell'ordine naturale delle cose, ma fermarsi conduce inesorabilmente al declino, alla decrescita che non è mai felice. Se pertanto nel 2060 l’Occidente conterà ancora qualcosa non sarà per aver applicato qualcosa di simile alla Ceiling Theorie, salvo che all'improvviso tutta l'umanità non raggiunga un livello di coscienza superiore.

Quanto alle scelte individuali, quella di Fil, ma anche quella di Giuliana, immalinconiscono un po’, sanno di vite irrisolte, di rinunce.

Fil oltre ad avere una mente brillante ama la sua materia, altrimenti perché avrebbe continuato a studiarla? E quindi?

Giuliana a suo tempo ha deciso di non concludere l’università rinunciando alla carriera di architetto per finire a fare la custode in una biblioteca, dove però dal suo gabbiotto gode di una vista spettacolare sulla città, non si è costruita neanche una famiglia, non ha una storia e quando incontra una persona con la quale riconosce una corrispondenza di sentimenti non decide di fermarsi ma si accontenta di andarlo a trovare ogni tanto che, intendiamoci, può essere anche una soluzione ottimale, in sostanza persegue un suo modo “lento” di vivere.

Ma ha senso sprecare il proprio talento per vivere più lentamente, per trovare il tempo di guardare il colore del mare che cambia, e, nei giorni più tersi, riuscire a scorgere persino il polverio di gocce che l'aria alzava dalle onde, un attimo prima di lasciarle andare sugli scogli, magari continuando anche a studiare, riflettere, creare, ma senza fare di ciò il centro della propria vita? E soprattutto è giusto? Certo è anche vero che oggi se ti dedichi a qualcosa, e vuoi avere successo, quel qualcosa ti prende la vita intera e anche questo non è giusto. Bisognerebbe saper trovare un equilibrio, ma non è facile.

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venerdì 4 ottobre 2013

"Non so niente di te" di Paola Mastrocola - Le pecore, l'economia, il senso della vita.

Non avevo mai letto niente di Paola Mastrocola finché non mi è capitato tra le mani il suo ultimo romanzo, “Non so niente di te”. La lettura del risvolto di copertina dove si parla di un brillante giovane economista che conduce un centinaio di pecore a una conferenza mi ha indotto a  pensare che per lo meno si doveva trattare  di un racconto originale e devo dire che le aspettative non sono andate deluse, anche se lo stile di scrittura talvolta appare un po' trascurato.

Altra cosa abbastanza intrigante il fatto che l’autrice parla di eventi dei nostri giorni come se scrivesse in un tempo futuro, diciamo intorno al 2060. Non si lancia tuttavia a fornirci informazioni circa l’evoluzione degli eventi, ovvero in sostanza a fare previsioni. Abbiamo superato la crisi economica attuale? Probabilmente si; l'Occidente c'è ancora (nel romanzo si parla di Stati Occidentali, ma non so se con questo termine si voglia alludere a un'unione di stati) e ci sono pure gli economisti che sembra continuino a guadagnare discretamente e a essere considerati, ma di come sia il mondo del 2060 l'autrice non ci dice molto se non che la  tecnologia ha continuato a svilupparsi, perché sms e sistemi come Skype sono tanto obsoleti che devono essere spiegati ai lettori, mentre i libri di carta sono ormai una rarità.

Il romanzo può avere più chiavi di lettura.

La primo riguarda i rapporti tra genitori e figli, un'altra, le scelte della vita, un'altra ancora, l'evoluzione della nostra società.

Molto spesso i genitori ripongono eccessive speranze nei figli o, ancora peggio, impongono a questi desideri e interessi che sono loro propri, senza preoccuparsi se i figli desiderino invece altro.   

Il protagonista del romanzo, Filippo Cantirami, detto Fil, sembrerebbe avere davanti a sé la strada spianata; i genitori, il padre avvocato di successo, la madre, arredatrice per diletto, appartengono alla borghesia agiata, pertanto con la possibilità di pagare al figlio gli studi giusti, le specializzazioni all’estero, e poi di instradarlo in un lavoro, anzi di fornirgli ben tre alternative in un momento in cui la maggior parte dei giovani, anche laureati, hanno davanti a sé, sempre che gli vada bene, un lavoro precario chissà per quanti anni.

Il padre ha deciso per il figlio la carriera di economista, tanto che fin da piccolo gli legge gli articoli del “Financial Times” e lo invita a discuterne. Che il figlio possa avere altri interessi non gli viene neanche in mente. Solo la zia Giuliana, detta Giù, una donna un po’ particolare con la quale Fil ha un’intesa speciale, si permette di chiedere “ma sei sicuro, Fil?”, ma poi non ha il coraggio di approfondire.

E Fil si adegua, si iscrive a Economia e poi parte per Oxford a fare un master cui dovrebbe seguire una specializzazione a Stanford, ma dopo qualche tempo comincia a essere insofferente e un giorno, quando gli manca poco alla conclusione del master, decide di abbandonare tutto, ma non ha il coraggio di dirlo ai genitori.  Così fa un patto con l’amico Jeremy: lui andrà a Stanford al posto suo, Fil gli passerà i soldi che gli mandano i genitori per il mantenimento e in cambio Jeremy gli invierà dei resoconti dettagliati della propria vita nel college californiano in modo che Fil possa propinarli ai genitori come suoi. Intanto Fil si è trovato un lavoro da aiuto pastore presso i possedimenti di un duca nei dintorni di Oxford. Ci passerà tre anni, continuando tuttavia a studiare economia, ma per conto suo, leggendo i classici, non solo dell’economia, riflettendo, prendendo appunti, senza però gli obblighi delle lezioni, degli esami, della corsa per primeggiare. Con l'amico Jeremy appronta anche una ricerca sulla crisi dei mercati che è considerata interessante. Ed è per illustrarla che insieme all'amico è invitato in uno dei più prestigiosi collegi di Oxford. Solo che lui se ne dimentica e quando l'amico lo cerca per ricordarglielo lui è con le pecore e non trova altro modo che portarsele dietro. E' così che di fronte all'allibito pubblico in attesa della conferenza irrompono centinaia di pecore. Come nulla fosse Fil si affianca al collega  che ha già preso posto al tavolo della conferenza e inizia a illustrare la ricerca che ha realizzato insieme a lui o, meglio, di cui è stato l'ispiratore. Per caso è presente una sua ex fidanzata che informa la sorella di lui. Da quel momento i genitori che lo credono a specializzarsi negli Stati Uniti e la zia Giuliana con la quale Filippo, detto Fil, ha sempre avuto una particolare intesa, partono alla ricerca del congiunto e del motivo della sua azione, per lo meno stravagante. - Forse una forma di protesta ?-, si chiedono perplessi e preoccupati i genitori. La ricerca li condurrà in pochi giorni da Standford, dove Fil non ha mai vissuto, alla località nei dintorni di Oxford, dove si è fermato negli ultimi tre anni, apprendendo che Fil non ha mai iniziato la specializzazione a Stanford e nemmeno concluso il master a Oxford, ma ha fatto per tre anni l'aiuto pastore, mentre il suo posto a Stanford è stato preso dall'amico, Jeremy. Scopriranno quindi di non sapere nulla di lui. Sono ansiosi comunque di parlargli, di sapere cosa gli sia successo, ma non lo troveranno nemmeno a Oxford, perché, il giorno prima del loro arrivo, Fil è partito per un paesino della Norvegia alla ricerca di una ragazza che ha incontrato per caso una sera e con i genitori si farà vivo solo diverso tempo dopo. In quel minuscolo paese rimarrà per tutta la vita, sposerà la ragazza, avrà un figlio, farà l'impiegato in una ditta di merluzzi, insomma una vita "normale", ben lontana dai desideri e dalle ambizioni che i genitori avevano sognato per lui. Solo alla sua morte, quando al funerale arriveranno dagli Stati Uniti alcuni professori universitari e tra di essi, il vecchio amico Jeremy, si scoprirà che Fil ha continuato a studiare economia e ha anche scritto un libro "Ceiling Theory" che è stato considerato una pietra miliare nel settore.

E cosa dice questa teoria?

In poche parole dice che bisogna mettere un cielo-tetto alla crescita. Non si può continuare così, a dismisura.Le ultime due generazioni sono cresciute meno delle precedenti, anzi l'ultima non cresce perché è partita altissima. È come per i tonni con le acciughe. I tonni devono smettere di mangiare troppe acciughe altrimenti si estingueranno perché non avranno più niente da mangiare. Ogni Stato deve imparare a dire: bene, io sono partito di qui e arrivo fin qui, grazie, mi basta, gli altri arrivino dove possono arrivare, essendo partiti da dove sono partiti. Certo che se partono da più in basso fanno più strada. Se io parto dall'arrivo, sono già arrivato, e quindi di strada non ne faccio, neanche mezzo metro.  Vale per le persone come per gli Stati. Se uno è già arrivato, dove deve andare? Magari si ferma un po'. Magari gli viene voglia di smettere di correre... Arrivare, il segreto sta nel significato etimologico di questo verbo: se uno ha già toccato la riva, ovvio che poi sta fermo. Sono gli altri che navigano ancora a vele spiegate. Fil pensa a una gara di corsa campestre con gli Stati Arrivati che si riposano ai bordi della pista e aspettano che via via arrivino gli altri e tutti si siedano a riposarsi, una specie di Dejuner sull'erba collettivo, planetario. 

E fine della storia!

Infatti se rallentare può essere una scelta nella vita di un individuo non credo si possa applicare agli Stati. Questi se si fermano declinano per sempre o almeno per molti anni o secoli prima che ci possa essere una ripresa. Basti pensare alle antiche civiltà decadute. Probabilmente, è vero, avevano raggiunto il massimo quando altre si affacciavano alla storia con quella voglia di combattere e di conquistare che loro avevano perso. E' nell'ordine naturale delle cose, ma fermarsi conduce inesorabilmente al declino, alla decrescita che non è mai felice. Se pertanto nel 2060 l’Occidente conterà ancora qualcosa non sarà per aver applicato qualcosa di simile alla Ceiling Theorie, salvo che all'improvviso tutta l'umanità non raggiunga un livello di coscienza superiore.

Quanto alle scelte individuali, quella di Fil, ma anche quella di Giuliana, immalinconiscono un po’, sanno di vite irrisolte, di rinunce.

Fil oltre ad avere una mente brillante ama la sua materia, altrimenti perché avrebbe continuato a studiarla? E quindi?

Giuliana a suo tempo ha deciso di non concludere l’università rinunciando alla carriera di architetto per finire a fare la custode in una biblioteca, dove però dal suo gabbiotto gode di una vista spettacolare sulla città, non si è costruita neanche una famiglia, non ha una storia e quando incontra una persona con la quale riconosce una corrispondenza di sentimenti non decide di fermarsi ma si accontenta di andarlo a trovare ogni tanto che, intendiamoci, può essere anche una soluzione ottimale, in sostanza persegue un suo modo “lento” di vivere.

Ma ha senso sprecare il proprio talento per vivere più lentamente, per trovare il tempo di guardare il colore del mare che cambia, e, nei giorni più tersi, riuscire a scorgere persino il polverio di gocce che l'aria alzava dalle onde, un attimo prima di lasciarle andare sugli scogli, magari continuando anche a studiare, riflettere, creare, ma senza fare di ciò il centro della propria vita? E soprattutto è giusto? Certo è anche vero che oggi se ti dedichi a qualcosa, e vuoi avere successo, quel qualcosa ti prende la vita intera e anche questo non è giusto. Bisognerebbe saper trovare un equilibrio, ma non è facile.

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