martedì 24 aprile 2012

La crisi e gli economisti sgomenti


Stiamo vivendo una grave crisi economica, sociale, politica, ma anche una crisi etica, di valori.
Il governo si concentra sull'economia e per farla ripartire sembra non trovare altra soluzione che i tagli alla spesa pubblica e nuove tasse. Sui primi sono tutti d'accordo, purché colpiscano gli altri. Basta fare un giro su Facebook. Secondo alcuni la panacea di ogni male sarebbe licenziare. Gente arrabbiatissima, licenzierebbero il mondo, ma soprattutto i dipendenti degli enti pubblici, che, si sa, sono troppi e tutti lavativi. Probabilmente sono anche troppi, alcuni sono pure lavativi, ma molti sono male utilizzati.
Molti si indignano giustamente per gli sprechi della politica, e di motivi ce ne sono. Addirittura con il finanziamento pubblico ci si compravano i diamanti!
Però pochi si indignano per il fatto che lo stipendio di un grande manager è di 300/400 volte superiore a uno stipendio medio, per non parlare delle mega liquidazioni da cifre astronomiche. 
Quel che è certo è che gli stipendi medi sia nel pubblico che nel privato sono i più bassi d'Europa, mentre il costo del lavoro è relativamente alto, anche perché nel privato siamo costretti a competere con i paesi del terzo mondo. Le nostre imprese sono realtà piccole, talvolta piccolissime, gestioni familiari, ove non c'è capacità di innovazione tecnologica, non si spende nella ricerca, non si valorizza il merito (ho l'impressione che anche nel privato si preferisca gli "yes man" o i figli e i parenti scemi cui comunque un posto in azienda va assicurato), e così non si riesce a imporre al mondo prodotti innovativi, tranne che in pochi settori d'eccellenza, e subiamo la concorrenza dei paesi emergenti che finiranno per superarci, se non lo hanno già fatto, appunto anche per il più basso costo della loro manodopera. Le grandi imprese sono pochissime, in passato mi sembra ce ne fossero di più, poi non si sa che fine abbiano fatto e perché. Governi di destra e di sinistra hanno poi sfasciato la scuola sempre più facile, non selettiva, che sforna sempre più incompetenti. La classe dirigente, politica e imprenditoriale, non è all'altezza della situazione, quando non è anche corrotta e collusa con le mafie.
Certo la crisi è mondiale e non si sa quando, se,  e come ne usciremo.
Il paradigma neoliberista invoca la riduzione della spesa degli Stati, l'aumento della flessibilità del mercato di lavoro, l'ulteriore liberalizzazione del commercio dei beni e servizi, le politiche di austerity che acuiscono il conflitto sociale, il salvataggio delle banche a tutti i costi, la fiducia nei mercati, cioè in quella finanza che ha creato il disastro, tutte misure che serviranno solo a produrre recessione e non risolveranno il problema, anzi.
Jeremy Rifkin afferma che la crisi deriva dal problema energetico e  propugna la terza rivoluzione industriale basata sulle energie rinnovabili (tra l'altro dice  l'Italia potrebbe essere nelle energie rinnovabili quello che l'Arabia Saudita è stata per il petrolio).
Serge Latouche e altri propugnano la decrescita felice.

Comincia comunque a diffondersi una sensibilità diversa, alternativa al neoliberismo, secondo la quale è necessario porre delle regole alla finanza globale in nome di una società più equa.
Così nel febbraio 2011, in Francia nasce un'associazione "Les économistes atterés", tradotto in economisti sgomenti, o forse meglio letteralmente atterriti.
Essi considerano che le basi teoriche di queste politiche neoliberiste debbano essere messe in discussione, perché basate su false certezze. Per loro sono possibili altre scelte. Sostengono che sono le diseguaglianze sociali a determinare l'abbassamento spaventoso della domanda interna che causa la chiusura delle fabbriche  e che, unita alla delocalizzazione della rimanente produzione industriale in paesi dove il lavoro costa meno e le imposte sono inferiori o nulle, produce deindustrializzazione, disoccupazione, soprattutto tra le giovani generazioni, oltre i limiti naturali e sopportabili e quindi ulteriore impoverimento in un circolo vizioso interminabile.
Per questo scopo hanno pubblicato un manifesto, appunto "Le manifeste deséconomistes atterrés" (Il manifesto degli economisti sgomenti o forse atterriti) ove non solo si rilevano dieci false certezze del paradigma neoliberista, ma si propongono ventidue controproposte.


Nessun commento:

Posta un commento

martedì 24 aprile 2012

La crisi e gli economisti sgomenti


Stiamo vivendo una grave crisi economica, sociale, politica, ma anche una crisi etica, di valori.
Il governo si concentra sull'economia e per farla ripartire sembra non trovare altra soluzione che i tagli alla spesa pubblica e nuove tasse. Sui primi sono tutti d'accordo, purché colpiscano gli altri. Basta fare un giro su Facebook. Secondo alcuni la panacea di ogni male sarebbe licenziare. Gente arrabbiatissima, licenzierebbero il mondo, ma soprattutto i dipendenti degli enti pubblici, che, si sa, sono troppi e tutti lavativi. Probabilmente sono anche troppi, alcuni sono pure lavativi, ma molti sono male utilizzati.
Molti si indignano giustamente per gli sprechi della politica, e di motivi ce ne sono. Addirittura con il finanziamento pubblico ci si compravano i diamanti!
Però pochi si indignano per il fatto che lo stipendio di un grande manager è di 300/400 volte superiore a uno stipendio medio, per non parlare delle mega liquidazioni da cifre astronomiche. 
Quel che è certo è che gli stipendi medi sia nel pubblico che nel privato sono i più bassi d'Europa, mentre il costo del lavoro è relativamente alto, anche perché nel privato siamo costretti a competere con i paesi del terzo mondo. Le nostre imprese sono realtà piccole, talvolta piccolissime, gestioni familiari, ove non c'è capacità di innovazione tecnologica, non si spende nella ricerca, non si valorizza il merito (ho l'impressione che anche nel privato si preferisca gli "yes man" o i figli e i parenti scemi cui comunque un posto in azienda va assicurato), e così non si riesce a imporre al mondo prodotti innovativi, tranne che in pochi settori d'eccellenza, e subiamo la concorrenza dei paesi emergenti che finiranno per superarci, se non lo hanno già fatto, appunto anche per il più basso costo della loro manodopera. Le grandi imprese sono pochissime, in passato mi sembra ce ne fossero di più, poi non si sa che fine abbiano fatto e perché. Governi di destra e di sinistra hanno poi sfasciato la scuola sempre più facile, non selettiva, che sforna sempre più incompetenti. La classe dirigente, politica e imprenditoriale, non è all'altezza della situazione, quando non è anche corrotta e collusa con le mafie.
Certo la crisi è mondiale e non si sa quando, se,  e come ne usciremo.
Il paradigma neoliberista invoca la riduzione della spesa degli Stati, l'aumento della flessibilità del mercato di lavoro, l'ulteriore liberalizzazione del commercio dei beni e servizi, le politiche di austerity che acuiscono il conflitto sociale, il salvataggio delle banche a tutti i costi, la fiducia nei mercati, cioè in quella finanza che ha creato il disastro, tutte misure che serviranno solo a produrre recessione e non risolveranno il problema, anzi.
Jeremy Rifkin afferma che la crisi deriva dal problema energetico e  propugna la terza rivoluzione industriale basata sulle energie rinnovabili (tra l'altro dice  l'Italia potrebbe essere nelle energie rinnovabili quello che l'Arabia Saudita è stata per il petrolio).
Serge Latouche e altri propugnano la decrescita felice.

Comincia comunque a diffondersi una sensibilità diversa, alternativa al neoliberismo, secondo la quale è necessario porre delle regole alla finanza globale in nome di una società più equa.
Così nel febbraio 2011, in Francia nasce un'associazione "Les économistes atterés", tradotto in economisti sgomenti, o forse meglio letteralmente atterriti.
Essi considerano che le basi teoriche di queste politiche neoliberiste debbano essere messe in discussione, perché basate su false certezze. Per loro sono possibili altre scelte. Sostengono che sono le diseguaglianze sociali a determinare l'abbassamento spaventoso della domanda interna che causa la chiusura delle fabbriche  e che, unita alla delocalizzazione della rimanente produzione industriale in paesi dove il lavoro costa meno e le imposte sono inferiori o nulle, produce deindustrializzazione, disoccupazione, soprattutto tra le giovani generazioni, oltre i limiti naturali e sopportabili e quindi ulteriore impoverimento in un circolo vizioso interminabile.
Per questo scopo hanno pubblicato un manifesto, appunto "Le manifeste deséconomistes atterrés" (Il manifesto degli economisti sgomenti o forse atterriti) ove non solo si rilevano dieci false certezze del paradigma neoliberista, ma si propongono ventidue controproposte.


Nessun commento:

Posta un commento