sabato 17 gennaio 2015

Siamo ancora tutti Charlie Hebdo?

Eravamo tutti Charlie Hebdo, ma dopo poco più di una settimana, ecco che cominciano ad affiorare i distinguo.

Uno dei fondatori di Charlie Hebdo, Henri Roussel, in un articolo sul Nouvel Observateur, firmato con lo pseudonimo Delfeil de Ton,  ha accusato Charb, il direttore del settimanale satirico tra le vittime della strage, di aver “trascinato la sua squadra verso la morte” pubblicando vignette dal contenuto provocatorio sul profeta Maometto.

Poi il Papa sul volo dallo Sri Lanka alle Filippine, rispondendo alle domande dei giornalisti dei media internazionali che viaggiavano con lui, ha spiegato che “non si può reagire violentemente”, anzi, che è “un’aberrazione uccidere in nome di Dio”, però ha continuato affermando che "se il dottor Gasbarri [l’organizzatore dei viaggi papali, che si trovava a fianco del Pontefice], che è un amico, dice una parolaccia contro mia mamma, gli aspetta un pugno", lasciando intendere, con l’esempio dell’offesa alla mamma, che toccando ciò che le persone hanno di più caro a volte possono scattare reazioni inconsulte.

Dunque si comincia a dire da più parti che anche la satira e quindi la libertà di espressione incontrano dei limiti, in particolare che non si dovrebbero offendere i sentimenti religiosi altrui.

Anche a me è capitato di parlare con persone che si sono sentite offese da alcune vignette sulla religione cristiana, in particolare quella sulla Trinità. Qualcuno mi ha detto che dopo aver visto certe vignette non si sente più Charlie.  Il concetto è che "chi offende il mio Dio, offende me" . Anche se nessuno di loro giustifica l'assassinio, in sostanza è come se dicessero che i vignettisti di Charlie Hebdo se la sono andata a cercare e che anche la satira deve avere dei limiti.

Ma la satira si è sempre scagliata sia contro il potere che contro la religione che comunque è una forma di potere, tanto più nei paesi dove non esiste distinzione tra potere politico e potere religioso. Certo che la satira può  essere greve, certo che la satira è offensiva, altrimenti non è satira. Poi ovviamente anche la satira può essere criticata. E chi si sente offeso potrà sempre ricorrere ai tribunali. Il codice penale stabilisce pene  per la diffamazione e la calunnia e anche per le offese a una confessione religiosa. Ma la libertà di espressione dovrebbe essere assoluta. Ora io penso così perché, non seguendo alcuna religione e avendo una visione assolutamente laica, mi resta anche difficile immedesimarmi in chi dice "chi offende il mio Dio, offende me". Però se qualcuno offende me lo prenderei volentieri a calci, come minimo, poi ovviamente, poiché sono una persona civile, mi rivolgo a un tribunale.

Poi ci si potrebbe domandare se non debbano esserci limiti nel caso di incitamento all'odio razziale o addirittura al terrorismo.

Proprio in questi giorni in Francia è stato arrestato il controverso comico francese di origine camerunense, Dieudonné, noto per i suoi atteggiamenti provocatori e accusato spesso di antisemitismo. Dieudonné, che aveva partecipato alla marcia di domenica scorsa a Parigi, tornato a casa, aveva scritto sul web il messaggio "Je suis Charlie Coulibaly", spiegando poi in una lettera al  ministro dell’Interno, Bernard Cazeneuve, di sentirsi considerato "come Amedy Coulibaly" (l'attentatore del supermercato Kosher) ma di "sentirsi Charlie". E' stato scarcerato ma rinviato a giudizio per "apologia di terrorismo".

Dunque c'è un limite?

E si può scherzare sulla Shoa? O si può negarla? Nell'ottobre 2013 ci fu una grossa polemica in Italia per le affermazioni del matematico Oddifreddi che aveva criticato un decreto approvato in Senato in cui si equiparava a un reato la negazione dell’Olocausto perché "affidarsi non alla storia, ma alla legge, per stabilire cosa è successo nel passato è tipico dei sistemi autoritari alla 1984, e non a caso Orwell parla al proposito di psicoreati, perseguiti da una psicopolizia". Quindi, rispondendo al commento di un lettore che definiva il processo di Norimberga un’opera di propaganda,  si dichiarava d’accordo affermando che se la guerra fosse andata diversamente sarebbero stati gli alleati a essere processati per crimini di guerra, e infine, con riferimento all'Olocausto, esprimeva forti dubbi "su quanto il ministero della propaganda alleata ci ha presentato come verità storica".

E il "politicamente corretto", che spesso sfocia nel ridicolo (pensiamo, ad esempio, al genitore 1 e al genitore 2), non è anch'esso una forma di limitazione della libertà di espressione?

Certamente la questione, sotto certi aspetti, è controversa, ma, a mio parere, la libertà di espressione non può avere limiti.   

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sabato 17 gennaio 2015

Siamo ancora tutti Charlie Hebdo?

Eravamo tutti Charlie Hebdo, ma dopo poco più di una settimana, ecco che cominciano ad affiorare i distinguo.

Uno dei fondatori di Charlie Hebdo, Henri Roussel, in un articolo sul Nouvel Observateur, firmato con lo pseudonimo Delfeil de Ton,  ha accusato Charb, il direttore del settimanale satirico tra le vittime della strage, di aver “trascinato la sua squadra verso la morte” pubblicando vignette dal contenuto provocatorio sul profeta Maometto.

Poi il Papa sul volo dallo Sri Lanka alle Filippine, rispondendo alle domande dei giornalisti dei media internazionali che viaggiavano con lui, ha spiegato che “non si può reagire violentemente”, anzi, che è “un’aberrazione uccidere in nome di Dio”, però ha continuato affermando che "se il dottor Gasbarri [l’organizzatore dei viaggi papali, che si trovava a fianco del Pontefice], che è un amico, dice una parolaccia contro mia mamma, gli aspetta un pugno", lasciando intendere, con l’esempio dell’offesa alla mamma, che toccando ciò che le persone hanno di più caro a volte possono scattare reazioni inconsulte.

Dunque si comincia a dire da più parti che anche la satira e quindi la libertà di espressione incontrano dei limiti, in particolare che non si dovrebbero offendere i sentimenti religiosi altrui.

Anche a me è capitato di parlare con persone che si sono sentite offese da alcune vignette sulla religione cristiana, in particolare quella sulla Trinità. Qualcuno mi ha detto che dopo aver visto certe vignette non si sente più Charlie.  Il concetto è che "chi offende il mio Dio, offende me" . Anche se nessuno di loro giustifica l'assassinio, in sostanza è come se dicessero che i vignettisti di Charlie Hebdo se la sono andata a cercare e che anche la satira deve avere dei limiti.

Ma la satira si è sempre scagliata sia contro il potere che contro la religione che comunque è una forma di potere, tanto più nei paesi dove non esiste distinzione tra potere politico e potere religioso. Certo che la satira può  essere greve, certo che la satira è offensiva, altrimenti non è satira. Poi ovviamente anche la satira può essere criticata. E chi si sente offeso potrà sempre ricorrere ai tribunali. Il codice penale stabilisce pene  per la diffamazione e la calunnia e anche per le offese a una confessione religiosa. Ma la libertà di espressione dovrebbe essere assoluta. Ora io penso così perché, non seguendo alcuna religione e avendo una visione assolutamente laica, mi resta anche difficile immedesimarmi in chi dice "chi offende il mio Dio, offende me". Però se qualcuno offende me lo prenderei volentieri a calci, come minimo, poi ovviamente, poiché sono una persona civile, mi rivolgo a un tribunale.

Poi ci si potrebbe domandare se non debbano esserci limiti nel caso di incitamento all'odio razziale o addirittura al terrorismo.

Proprio in questi giorni in Francia è stato arrestato il controverso comico francese di origine camerunense, Dieudonné, noto per i suoi atteggiamenti provocatori e accusato spesso di antisemitismo. Dieudonné, che aveva partecipato alla marcia di domenica scorsa a Parigi, tornato a casa, aveva scritto sul web il messaggio "Je suis Charlie Coulibaly", spiegando poi in una lettera al  ministro dell’Interno, Bernard Cazeneuve, di sentirsi considerato "come Amedy Coulibaly" (l'attentatore del supermercato Kosher) ma di "sentirsi Charlie". E' stato scarcerato ma rinviato a giudizio per "apologia di terrorismo".

Dunque c'è un limite?

E si può scherzare sulla Shoa? O si può negarla? Nell'ottobre 2013 ci fu una grossa polemica in Italia per le affermazioni del matematico Oddifreddi che aveva criticato un decreto approvato in Senato in cui si equiparava a un reato la negazione dell’Olocausto perché "affidarsi non alla storia, ma alla legge, per stabilire cosa è successo nel passato è tipico dei sistemi autoritari alla 1984, e non a caso Orwell parla al proposito di psicoreati, perseguiti da una psicopolizia". Quindi, rispondendo al commento di un lettore che definiva il processo di Norimberga un’opera di propaganda,  si dichiarava d’accordo affermando che se la guerra fosse andata diversamente sarebbero stati gli alleati a essere processati per crimini di guerra, e infine, con riferimento all'Olocausto, esprimeva forti dubbi "su quanto il ministero della propaganda alleata ci ha presentato come verità storica".

E il "politicamente corretto", che spesso sfocia nel ridicolo (pensiamo, ad esempio, al genitore 1 e al genitore 2), non è anch'esso una forma di limitazione della libertà di espressione?

Certamente la questione, sotto certi aspetti, è controversa, ma, a mio parere, la libertà di espressione non può avere limiti.   

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