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venerdì 4 ottobre 2013

La tragedia di Lampedusa

Centinaia di persone incalzate dalla miseria e dalle guerre fuggono credendo di trovare la salvezza e vengono a morire in acque sconosciute. 

Come ha detto il Sindaco di Lampedusa è probabile che  anche in quest'ultima tragedia, la più grande finora verificatasi, ma non la prima, abbia inciso la normativa che ha introdotto il reato di immigrazione clandestina. Alcuni pescherecci avrebbero fatto finta di non vedere per evitare problemi, anche se mi sembra strano che una legge, per quanto iniqua, impedisca di prestare soccorso in caso di emergenza. Però la paura è paura, anche se non tutti, e per fortuna, l'hanno avuta. Poi c'è anche da considerare che i mezzi che dovrebbero pattugliare la zona sono insufficienti.

I continui sbarchi sulle nostre coste di disperati, in fuga non solo dalla miseria ma anche dalle guerre civili che infuriano nei loro paesi di provenienza, sono una vera e propria emergenza umanitaria cui deve far fronte l'Europa tutta e non solo l'Italia anche se gli approdi sono in larga parte italiani. 

Occorre in primo luogo combattere le organizzazioni criminali che organizzano questi viaggi di dannati lucrando sulla loro pelle, anche se queste organizzazioni rappresentano ancora un effetto e non la causa dei problemi che sono da ricondurre allo sfruttamento delle risorse dell'Africa da parte dell'Occidente.

E' certo che se la situazione dei paesi dell'Africa continuerà a essere quella che è, anche per le colpe dell'Occidente, passate e presenti, queste tragedie non avranno mai fine.

Nessuno dovrebbe essere costretto a lasciare il proprio paese, tutti dovrebbero poter vivere dignitosamente a casa propria, salvo decidere di trasferirsi altrove per scelta personale che non dovrebbe ovviamente comportare rischi.

Sarebbe necessario rivedere completamente i rapporti tra gli Stati, pensare a una redistribuzione delle ricchezze, riorganizzare il mondo su basi più eque, ma purtroppo è utopia. 

Per qualche giorno sentiremo frasi di cordoglio, lacrime di coccodrillo da parte di molti, poi la questione uscirà dalle pagine dei giornali e degli altri media, fino alla prossima volta.

venerdì 25 giugno 2010

Signoraggio

E’ un po’ di tempo che si sente sempre più spesso parlare di  “signoraggio”. Devo confessare l’ignoranza, ma non ne sapevo niente fino a qualche settimana fa. Nell’articolo di Pietro Cambi del blog “Crisis”, che qui riporto e che risale al novembre 2009, si cerca di fare un po’ di chiarezza, anche se devo dire che personalmente non mi sono chiarita molto.


Considerato che nell’articolo si fa riferimento all’opinione secondo la quale il “signoraggio” è una bufala, riporto anche un altro articolo ove si sostiene che i teorici del complotto del signoraggio sono noti fascisti o parafascisti che fanno riferimento alle teorie di Giacinto Auriti, nome che ho sentito citare per la prima volta qualche giorno fa in televisione:


 


Ad ogni modo si ricomincia a sentire parlare di complotto demo-pluto-giudaico-massonico, cui questa volta si aggiungerebbe anche la congiura “rettiliana”!  

giovedì 8 gennaio 2009

Hamas e Israele - Le ragioni e le colpe






Volevo scriverne da diversi giorni, ma ho sempre rimandato anche per il fatto che in passato non avrei avuto dubbi sui torti e sulle ragioni, oggi la situazione non è così chiara.

 

E' in corso un massacro. Ma i morti della striscia di Gaza si devono non solo ad Israele ma anche ad Hamas, gruppo integralista islamico che dall’Islam deriva le sue idee e i suoi precetti fondamentali, e che vorrebbe governare con la sharia, la legge islamica.

 

Nel gennaio del 2006 ha vinto le elezioni palestinesi promettendo la distruzione di Israele, nel 2007 si è sbarazzato dei suoi alleati “moderati” di Al Fatah, uccidendoli casa per casa ed assumendo così il pieno controllo della striscia di Gaza. Pochi giorni fa i proiettili di mortaio e i razzi Qassam costruiti in garage dai miliziani di Hamas hanno cominciato a piovere sulle case e le strade dei territori nel sud di Israele. Impensabile che Israele non reagisse.


Quanto detto sopra non deve però far dimenticare che lo Stato di Israele è una realtà artificiale costituita 61 anni fa in un territorio che era dei Palestinesi, i quali si sono visti privare delle loro terre e del loro destino.


E mi domando perché non sia stata data agli ebrei per costruire il loro stato magari una regione della Germania come indennizzo per quanto avevano subito durante il regime nazista. Con quale criterio si è permesso loro di andare ad occupare territori altrui, territori sui quali avevano vissuto, certo, ma nei quali non abitavano più da 2000 anni? E volevo vedere se fossero venuti a casa nostra.


Da allora c’è stata solo guerra e non poteva essere diversamente e ci sarà finché i due popoli non riusciranno a venire ad un accordo che consenta ad entrambi di vivere sullo stesso territorio in pace, perché ormai lo stato di Israele esiste e solo pazzi come Ahmaninejad e i terroristi di Hamas possono pensare di distruggerlo.



Oggi 1.500.000 persone vivono recluse nella striscia di Gaza, senza speranza, senza futuro, molti di loro, quasi tutti, non hanno visto che guerra da quando sono nati, e trovare in questa situazione esplosiva dei terroristi non è difficile.



Sarà mai possibile che la forza della ragione prevalga sulla violenza?



Ormai l'odio è talmente radicato che sono veramente pochi dall'una e dall'altra parte quelli che lavorano dalla parte della ragione.



Credo che l'unica soluzione sarebbe quella di un unico stato con pieni diritti di arabi e ebrei. Le esperienze di ebrei e palestinesi sono storicamente e organicamente legate fra loro. I due popoli dovrebbero comprendere che può esistere solo un futuro che li comprenda entrambi. Purtroppo il fondamentalismo islamico che si è aggiunto negli ultimi anni al problema preesistente dei territori non aiuta.

martedì 4 novembre 2008

OBAMA O McCAIN?



 



Personalmente avrei preferito Hillary. Sicuramente era più preparata e meno messianica.


A questo punto spero vinca Obama per due ordini di motivi:


- di fronte alla crisi mondiale c’è necessità di un cambiamento e di ottimismo, e penso che pertanto Obama possa essere la persona giusta;


- inoltre anche se McCain è un conservatore abbastanza sui generis e sicuramente un laico, tenuto conto della sua età, del non perfetto stato di salute, e della vice-presidente che si è scelta, meglio che non vinca.


Non ho tempo di scrivere altro perché devo uscire.


Ad ogni modo l’importante è che sia finita l’era Bush.         

 

lunedì 3 novembre 2008

VENERABILE ITALIA – LA VERA STORIA DI LICIO GELLI

Stasera su Odeon TV ore 22,20

 Venerabile Italia, la vera storia di Licio Gelli: questo il titolo della nuova trasmissione di Odeon Tv di seconda serata, dedicata alla storia italiana dell'ultimo secolo attraverso la vita del controverso ex gran maestro della loggia P2. Sono previste otto puntate da un'ora ciascuna, a partire da lunedì 3 novembre, con ospiti ed intervistati illustri. Fra i temi che saranno trattati, il rapporto del fascismo con i giovani e la massoneria, la guerra civile spagnola, il peronismo argentino, il crack del Banco Ambrosiano, la fine della Guerra Fredda.

Nelle prime sette puntate Gelli interverrà da Villa Wanda, mentre l'ultima puntata, che lo vedrà per la prima volta protagonista in uno studio televisivo, analizzerà la sua attività di poeta...

E - come prevedibile - infuria la polemica.

 

A mio parere tutti possono dire la loro e magari la trasmissione sarà anche interessante.

 

Ma un’intervista a Licio Gelli passi e non è la prima, però non mi pare un’ottima idea rendere protagonista di una trasmissione un personaggio così controverso che potrebbe essere stato complice (non credo fosse l’unico burattinaio) di molte tragiche vicende, non ancora chiarite, sulle quali forse non sapremo mai la verità, il quale peraltro afferma: “Sono stato, sono e rimarrò fascista”. 

 

martedì 15 marzo 2005

Prove di democrazia nel mondo arabo



 Nasce la democrazia nel mondo arabo?


 

 


In Egitto lo stesso presidente in carica Mubarak promuove elezioni presidenziali multi-partitiche.


 

 


A Beirut, ad un mese dall’assassinio dell’ex premier Rafik Hariri, ucciso il 14 febbraio scorso da un’autobomba, oltre un milione e mezzo di persone sono scese in piazza per manifestare contro l'occupazione militare siriana e chiedere la verità sull’omicidio di Hariri, dietro il quale si sospetta ci sia proprio la Siria.  


 


Il vecchio ordine mediorientale basato sulle dittature non tiene più, però non c’è nessuna garanzia che si passi dai vecchi regimi a delle democrazie filo – occidentali. Potrebbe anche andare male. E in questo caso i nostri dirimpettai mediterranei potrebbero diventare di qui a qualche anno nazioni devastate da conflitti etnici e/o teocrazie governate da mullah fanatici e ignoranti, e il rischio di terrorismo non diminuirebbe certamente.


 

 


 

domenica 6 marzo 2005

La liberazione di Giuliana Sgrena e l’uccisione dell’agente del Sismi Nicola Calipari




Della Sgrena che ringrazia i suoi rapitori non mi importa niente. Voglio solo dire che un conto è comprendere le ragioni di chi lotta contro la presenza di truppe straniere (ma che senso ha poi rapire i giornalisti?), un altro uscirsene con dichiarazioni di questo tipo.

 

Mi dispiace invece per l’uccisione dell’agente del Sismi, Nicola Calipari,  morto a causa del cosiddetto fuoco amico (americano). L’auto con a bordo la giornalista del Manifesto, Nicola Calipari, capo della seconda divisione Ricerca estera del Sismi, e altri due agenti dei servizi italiani, stava viaggiando in direzione dell’aeroporto internazionale di Camp Victory, dove li stava attendendo un aereo per il rimpatrio, quando a poche centinaia di metri dall’aeroporto scoppia il finimondo. Gli americani esplodono 300 colpi, uccidono Calipari, mentre la Sgrena ed un altro agente del Sismi restano feriti.


 

Come è potuta accadere una cosa del genere? Fatalità? Forse un difetto di comunicazione tra i servizi americani e quelli italiani, anche se mi pare molto strano che nessuno si sia premurato di avvertire.


 


Naturalmente non si saprà mai niente. Basti ricordare cosa è accaduto per la tragedia del Cermis del febbraio del 1998 quando un aereo dei marines USA di base ad Aviano, che volava troppo basso, tranciò un cavo della funivia uccidendo 20 persone. L’anno successivo la Corte marziale americana (perché ovviamente i militari delle basi americane non sono soggetti alla giurisdizione della magistratura italiana) condannò il capitano dei marines, Richard Ashby, accusato dell' accaduto, a sei mesi di reclusione e all'espulsione dai marines senza la pensione. Fu infatti assolto dalle accuse di omicidio, ma condannato per aver sottratto e cospirato per distruggere un video che, girato per divertimento poco prima dell'impatto con la funivia, avrebbe potuto rivelare cosa accadde durante il tragico volo.


 

E se ciò è potuto accadere in relazione a fatti accaduti in un paese amico ed in tempo di pace, figurarsi cosa ci si può aspettare per quest’ultimo episodio.

domenica 20 febbraio 2005

La lingua italiana e l’Europa



 La notizia pubblicata dal Corriere della Sera che la lingua italiana è stata cancellata da tutte le conferenze stampa (salvo quelle del mercoledì) tenute dai commissari dell’Unione Europea, riveste una notevolissima importanza politica, in quanto significa che il nostro Paese non sarà tra le nazioni guida dell’Unione ma occuperà un posto di seconda fila.Risulta infatti difficile credere che un Paese la cui lingua è considerata poco importante possa poi ricoprire un ruolo politico primario. Quindi da iniziatori della costruzione europea ne siamo diventati dei semplici comprimari.



Le lingue “stabili” dell’Unione sono francese, inglese e tedesco, non tanto per la loro diffusione nel mondo, che potrebbe valere per inglese e francese, ma non certo per il tedesco,  quanto per il ruolo dei paesi in cui sono parlate.



Così questa Europa sembra sempre più destinata a diventare non un soggetto sopranazionale quanto piuttosto una struttura plurinazionale sottoposta alla leadership di un ristrettissimo gruppo di Stati nazionali, che sono Francia, Germania e Gran Bretagna.



Le cause sono da individuare nella politica miope dei nostri governi, presenti e passati, il cui peso in politica estera è ed è sempre stato marginale e che non si preoccupano nemmeno di sostenere la nostra cultura nel mondo.

lunedì 14 febbraio 2005

I risultati delle elezioni irachene

 

Ma qualcuno se le ricorda le elezioni in Iraq?

Dopo i titoloni sulle prime pagine dei giornali e nei servizi televisivi sulla percentuale dei votanti (inizialmente del 72% degli aventi diritto, poi ridimensionata al 60%) e sulla vittoria della democrazia, solo qualche trafiletto in quarta o quinta pagina, in cui l’afflusso sembrava essere calato sotto il 50%, pur sempre un successo, anche se è legittimo qualche dubbio sul come siano stati individuati gli aventi diritto. Quanto ai risultati si dava per vincente l’alleanza sciita appoggiata dall’ayatollah Ali Al Sistani, presunto moderato, che però nei giorni scorsi si è espresso in favore dell’introduzione della Sharia (legge coranica).



Finalmente i risultati definitivi che confermano la vittoria, anche se in misura inferiore al previsto, dell’alleanza,che, con il 47,6% dei voti, si è aggiudicata 132 seggi su 275 e quindi non ha la maggioranza assoluta, segue la coalizione curda con il 25,7%, e poi quella dell’attuale premier ad interim Iyad Allawi, sostenuto dagli Stati uniti, con solo il 18,3%. L’affluenza ufficiale alle urne è stata del 58% degli aventi diritto, in tutto 8.456.266 elettori, ma nelle province a maggioranza sunnita si sono avute percentuali che vanno dal 2% al 29% .

martedì 1 febbraio 2005

L’Iraq verso la democrazia ?



 

Gli iracheni non hanno avuto paura. Il 60% degli aventi diritto, 8 milioni di iracheni, sarebbero andati alle urne. I giornali di tutto il mondo elogiano la forza e il coraggio di un popolo che ha sconfitto i kamikaze di Al Zarkawi, che rifiuta l’oscurantismo di Al Qaeda e che vuole incamminarsi sulla strada della democrazia.


 

Qua e là qualcuno insinua qualche dubbio, come questo articolo di “Reporter Associati”. Devo dire che non si tratta di un bell’articolo, anche nel senso dello stile (ma d’altra parte cosa aspettarsi da chi, per rimandare all’inizio della pagina, scrive “go to top”?).


 

Tuttavia anche se non mi sembra possibile che tutti, comprese le agenzie di stampa e tutti gli organi di informazione, ci prendano in giro, che siano tutti al soldo di Bush, non nego che qualche perplessità ce l’ho anch’io, sia sulla percentuale dei votanti, sia sul fatto che si siano svolte veramente libere elezioni in un paese occupato.


 

Non erano ancora chiuse le operazioni di voto che già si diffondeva la notizia di una percentuale di affluenza alle urne del 72%, poi ridimensionata al 60%.

 

Anche nei paesi occidentali, di consolidata democrazia e in situazioni assolutamente tranquille,  sarebbe difficile in 10 ore di votazione (in Iraq si è votato dalle 7.00 alle 17.00) raggiungere il 60%, figurarsi il 72%, ma in un paese militarmente occupato, sotto minaccia di attacchi terroristici ai seggi, questi ultimi peraltro pochi e da raggiungere a piedi,  perché, per motivi di sicurezza, la circolazione era stata vietata in tutte le zone circostanti, e dopo 50 anni che non si votava, mi sarei aspettata non solo una minore affluenza, ma anche che ci volesse un po’ più di tempo per fornire qualsiasi informazione.


 

Le previsioni della vigilia fornite dagli organi di informazione erano piuttosto negative. Qualche giorno fa lo stesso presidente iracheno Al Yawar aveva messo  le mani avanti annunciando che molti non si sarebbero recati alle urne, anche se aveva rapidamente ritrattato, forse dopo una reprimenda degli americani.


 

Quanto agli osservatori internazionali, il portavoce della ACIE (Alto Commissariato Indipendente per l'Elezioni) Adil Al Lami, ha fatto sapere che erano complessivamente  in numero di 199 e che, per ovvie regioni di sicurezza, sono stati dislocati nelle zone più sicure, particolarmente nel Kurdistan. E guarda caso anche molte delle foto pubblicate dai giornali riguardano seggi del Kurdistan.


 

Se a ciò si aggiunge che Bush non avrebbe potuto permettersi una sconfitta, mi sembra più che legittimo qualche dubbio.

 

Magdi Allam, sul Corriere della Sera del 31 gennaio, sostiene che “le prime elezioni libere nella storia dell'Iraq e del mondo arabo non sono piaciute affatto ad al Zarqawi, Saddam, Assad e al Jazeera. Sono piaciute poco a Erdogan, re Fahd, Khamenei”, ma sono anche “ risultate indigeste agli europei ossessionati dall'antiamericanismo e agli americani che mal sopportano Bush”.


Io penso che se effettivamente il 60% degli iracheni ha espresso la propria volontà di “autodeterminarsi”, non si possa che esternare ammirazione per un popolo che in condizioni così difficili ha dimostrato di essere forte e maturo, e questo anche se non ci piace Bush e ci dispiace un po’ che sia contento.


Credo che a molti di noi europei, senza essere ossessionati da nessun antiamericanismo (che è solo nelle menti dei filoamericani viscerali), non piaccia l’America “teocon” di Bush, mentre ci rendiamo conto altresì che gli interessi dell’America (anche economici) non sono precisamente i nostri interessi.


 

Inoltre anche se dalla guerra di Bush dovesse derivare un Iraq democratico, cosa che è ancora tutta da dimostrare, non per questo ci ricrediamo sulla sua politica e sulla sua visione manichea della storia. Non ci piacciono gli imperi, del bene o del male che siano, e crediamo nell'autodeterminazione dei popoli e nella sovranità nazionale.    


 

Infine, a prescindere da chi abbia vinto le elezioni, ma sicuramente sarà un testa a testa tra Allawi e gli Sciti (addirittura sembra che  Mokta Al Sadr's abbia votato per Allawi!?), se il popolo iracheno ha dimostrato di essere maturo per la democrazia, si dovrebbe poter cominciare a parlare di ritiro delle truppe americane e della coalizione, eventualmente sostituite da forze internazionali sotto mandato ONU, per il periodo necessario a ricostituire un esercito e una polizia iracheni autosufficienti. Ma è molto probabile che il nuovo governo, liberamente eletto, chiederà loro di restare.


 

domenica 30 gennaio 2005

L’Iraq al voto



Conclusa la giornata elettorale in Iraq. I seggi sono stati chiusi alle 17 (le 15 in Italia), ma in certi casi c'erano ancora persone in fila. Alta affluenza nelle zone sciite e curde, seggi deserti nelle aree sunnite e nemmeno aperti per questioni di sicurezza nel “triangolo della morte” a sud della capitale. Ma la commissione elettorale nazionale annuncia che l’affluenza è stata del  60 per cento degli aventi diritto (otto milioni).


Gli iracheni  sarebbero andati a votare nonostante le bombe e le pessimistiche previsioni della vigilia. Quasi trenta esplosioni hanno scosso a ripetizione Bagdad, almeno nove provocate da attentatori suicidi che avevano cinture esplosive nei pressi di seggi elettorali o tra la gente in attesa di votare. Circa trenta le vittime degli attentati.


 

Il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, ha detto che il voto in Iraq è “un primo passo” verso la democrazia. Gli iracheni “sanno che stanno votando per il loro futuro e che con questo voto prenderanno il controllo del loro destino. Noi dobbiamo incoraggiarli”. La promozione del voto iracheno è giunta anche dal rappresentante del segretario generale a Bagdad, Ashraf Qazi. Il diplomatico ha parlato di elezioni “trasparenti e libere” e si è detto confortato dall'alta affluenza alle urne.


 

Soddisfazione è stata espressa anche dal segretario di stato Condoleezza Rice. “Le elezioni in Iraq stanno andando meglio del previsto”, è scritto in una nota diramata dal dipartimento di Stato americano. Una volta chiusi ufficialmente i seggi, è arrivata anche la dichiarazione di George W. Bush: “E' un grande giorno per la democrazia”, ha detto il presidente.


 

 

 

Ma si possono davvero definire trasparenti e libere queste elezioni avvenute in un contesto in cui si fronteggiano un esercito di occupazione e la guerriglia?


Non è stato possibile svolgere una regolare campagna elettorale, persino attaccare manifesti era rischioso, gli elettori sono andati a votare sotto minaccia, quelli che hanno potuto, perché in alcune zone del paese non si sono aperti i seggi. Sembra quasi impossibile che tanti non abbiano avuto paura, sempre che le dichiarazioni della commissione elettorale rispondono a verità.


 

In questo articolo dell’ “Observer International” si parla di elezioni senza precedenti, per le quali non reggerebbe nemmeno il confronto con quelle tenutesi nella Repubblica di Weimar in mezzo agli scontri tra nazisti e comunisti.

venerdì 28 gennaio 2005

Guerriglieri o terroristi?



Non sono in grado di giudicare la sentenza con la quale il giudice Clementina Forleo ha mandato assolti alcuni islamici imputati in un processo per associazione con finalità di terrorismo internazionale, perché non l’ho letta. Presumo che nemmeno Fini, Borghezio, e compagnia, l’abbiano letta.


 

Se avessi la certezza che gli imputati del processo di Milano reclutavano kamikaze per compiere attentati terroristici in Iraq o in qualsiasi altro paese riterrei la sentenza aberrante. Ma per giudicare dovrei essere certa dell’esistenza o meno di prove decisive che vadano in un’unica direzione, certezza che potrei raggiungere forse solo a seguito di una lettura attenta della sentenza e degli atti del processo. Questo parlando razionalmente, perché di fronte a certi giudizi di certi personaggi mi viene voglia di stare dalla parte opposta senza troppi distinguo. Della serie, se loro dicono questo, allora la sentenza è giusta, e magari invece non lo è. 


 

Poi sui fondamentalisti islamici la penso più o meno come la Fallaci (ma penso tutto il male possibile anche dei fondamentalisti cristiani, dei TEOCON, dell’Opus Dei, di tutte le associazioni di ipocriti bacchettoni, ecc.), ma sono altresì convinta che, nonostante tutto, almeno che non si voglia introdurre nel nostro paese aberrazioni come il “patrioct act”, approvato negli Stati Uniti all’indomani dell’11 settembre, non si possa, non si debba, rinunciare mai  al garantismo e ai principi dello stato democratico. 


 

Ritengo anche che in certe situazioni sia molto difficile distinguere tra azione bellica e azione terroristica. Infatti un attentato compiuto contro obiettivi militari, che coinvolga solo militari, (anche se mi dispiace quando vengono coinvolti militari italiani che, magari in buona fede, credono di partecipare ad una missione di pace, che probabilmente di pace ha solo gli equipaggiamenti), è un’azione di guerriglia e in un paese occupato la resistenza è legittima.



Del resto la Convenzione ONU sul terrorismo del 1999 dice che “Le attività violente o di guerriglia nell’ambito dei contesti bellici… non possono essere perseguite a meno che non vengano violate le norme del diritto internazionale umanitario.”



Sono invece senza alcun dubbio atti terroristici quelli che colpiscono solo la popolazione civile del paese occupato e/o i civili stranieri in quel paese o in altri, allo scopo appunto di incutere terrore.


 

Tuttavia come si deve considerare la stessa azione diretta contro obiettivi militari che finisca per coinvolgere anche la popolazione civile? Terrorismo o “danno collaterale”?

SESSANTANNI DOPO AUSCHWITZ



A noi tedeschi si addice il silenzio davanti a questo massimo crimine contro l’umanità.Vorremmo riuscire a comprendere questa realtà inconcepibile, che travalica ogni immaginazione umana. E inutilmente cerchiamo le risposte ultime.

 

(Dal discorso del Cancelliere della Repubblica federale tedesca Gerhard Schroeder in occasione del 60° anniversario della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz)


Ma possiamo credere alla sincerità di un Fini che torna a stigmatizzare ogni cedimento sul tema delle responsabilità del fascismo verso la Shoah come ha fatto ieri sera intervistato dal TG2?


 

Nella stessa intervista il Ministro degli Esteri Fini ha anche citato Gobetti insieme a Gramsci e ad una serie di altri esponenti della cultura dell’epoca, da Palazzeschi a Marinetti a Gentile per dire che in fondo erano tutti accomunati dall’italianità! Qui certo la profondità del pensiero raggiunge livelli sublimi. 

mercoledì 26 gennaio 2005

Si può dire, ma una sola volta

Documento americano sulle parolacce in TV



La Federal Communications Commission, l’autorità governativa americana che sorveglia le radio e le telecomunicazioni, in risposta alle 36 denunce di una sdegnata associazione di genitori a causa delle parolacce in televisione, ha informato le reti TV che è ammissibile usare, purché una sola volta e in modo rapido, le seguenti parole: “cazzo, testa di cazzo, coglione, sedere, culo, vagina, pene, testicoli, sacco dei marroni, bastardo (anche grasso bastardo), figlio di puttana, merda, piscia, vai a farti fottere e che Dio ti stramaledica".


Tutto questo compare nel dispositivo numero 04-279, datato 8 dicembre, ove sembra che il greve burocratese  legalistico  associato alla presenza di sconcezze e parolacce renda il tutto particolarmente ridicolo.

venerdì 21 gennaio 2005

Il secondo mandato di Bush



Dalla terrazza del Campidoglio, tra canzoni patriottiche e sventolii di bandiere, durante la cerimonia di giuramento per il suo secondo mandato, George Bush ha rivolto ai popoli oppressi, agli alleati e ai cittadini americani "la sfida della libertà" il cui obiettivo è quello di porre fine a tutte le tirannie "anche negli angoli più oscuri della terra". In un aggressivo discorso di 16 minuti, in cui si è appellato spesso a Dio (5 volte per l’esattezza) e ha pronunciato la parola libertà per 42 volte, il presidente ha promesso di appiccare ovunque "il fuoco della libertà" fino a quando "brucerà in ogni angolo del mondo" , "di abbattere tutti i tiranni", ovunque, magari a partire da quell'Iran che è "al primo posto nella lista dei problemi da risolvere", come il suo vice Cheney ammette, mentre in economia l’accento è sull'individualismo economico, con la costituzione della cosiddetta "società di proprietari".

Ma non ci sono stati solo applausi per il secondo mandato di George W. Bush.  In tante piazze, tra cartelli per il ritiro dall’Iraq, inni pacifisti e bandiere americane, una folla eterogenea ha manifestato la rabbia e la preoccupazione per la sua rielezione.

domenica 2 gennaio 2005

NONOSTANTE TUTTO, AUGURI PER IL NUOVO ANNO



Con lo "tsunami" nel sud-est asiatico del 26 dicembre è finito nel peggiore dei modi possibili un anno che, forse per non smentire la fama funesta dei bisestili, già non era stato avaro di avvenimenti nefasti, dovuti sia alla natura che alle attività  umane, dal terremoto in Marocco del 24 febbraio, all'attentato terroristico di Al Qaeda a Madrid dell'11 marzo, agli scontri etnici e religiosi in Nigeria e nel Sudan,alla strage di Beslan in Ossezia del primo settembre, alla tempesta tropicale che sempre in settembre investiva Thaiti, tanto per citarne alcuni dei più gravi e senza dimenticare l'Iraq, dove la guerra continua con gli scontri tra gli occupanti e gli oppositori e le azioni terroristiche, i rapimenti e le barbare uccisioni di stranieri che a vario titolo si trovano nel paese.

(Per un riepilogo dei principali avvenimenti dell'anno appena concluso visitare questa pagina)


Ma lo “tsunami” che ha investito il Sud-Est asiatico è di questo anno orribile l’avvenimento che ci ha colpito di più, non solo per l’altissimo numero di vittime dovute alla violenza di un evento che supera tutti quelli avvenuti negli ultimi 40 anni, perché per trovare qualcosa di simile bisogna risalire a quello del Cile del 1960, non solo per la sua grande estensione che ha coinvolto sette paesi, se si considera che è arrivato fino alle coste della Tanzania e della Somalia, ma anche per altri due motivi, la presenza in quelle località, complice anche il periodo festivo, di migliaia di turisti che ha distribuito lutti in tutto il mondo e la facilità delle comunicazioni e dei mezzi di documentazione in mano anche ai singoli, che ne hanno fatto la catastrofe più documentata finora nella storia dell’umanità. Basti fare una ricerca su internet e nella "blogosfera".Per una ricognizione vedere il blog di Giusec.

Anche per questi motivi credo che non ce ne dimenticheremo presto, come per altri avvenimenti che hanno colpito popolazioni lontane e che dopo qualche giorno di cordoglio sono state dimenticate. Infatti chi si ricorda, per esempio, il terremoto che proprio il 26 dicembre del 2003 fece migliaia di morti in Iran e distrusse l’antichissima città di Bam?

O il terremoto del febbraio 2004 in Marocco?

Ma quest’ultimo evento ha anche innescato una riflessione che spero possa avere delle conseguenze positive. Infatti proprio in un mondo in cui le comunicazioni sono così facili ci sarebbero stati i mezzi per rendere meno pesante il bilancio delle vittime, ma non è stato fatto niente.

Eppure dal verificarsi del terremoto al largo di Sumatra al momento in cui le onde si sono abbattute sulle spiagge delle Andamane, delle Maldive, dello Sri Lanka, della Thailandia, dell’India, della Birmania, sono trascorse almeno 2 ore e 10 ore perché arrivassero in Somalia e Tanzania. C’era tutto il tempo e anche i mezzi per avvertire e, nonostante l’arretratezza delle infrastrutture di sicurezza e prevenzione di quei paesi che stridono con il lusso delle infrastrutture turistiche, qualche notizia è anche arrivata, ma non è successo niente, forse perché non ci si credeva, forse perché c’era la paura di un falso allarme che avrebbe danneggiato il turismo. Tutto questo comunque ha messo il mondo di fronte alla consapevolezza che almeno sui problemi della sicurezza e della prevenzione occorre unirsi in uno sforzo comune.

Sperando che ci si muova in questa direzione e considerato che comunque é nella natura umana credere in un futuro migliore, e per fortuna che è così, penso che, nonostante tutto, pur nella tristezza per gli eventi dell’ultimo anno e in particolare per quest’ultimo, si possa, nonostante tutto, augurare:



BUON 2005!


martedì 28 dicembre 2004

La catastrofe del Sud-Est asiatico. Le forze della natura e la povertà.

“La tecnica è di gran lunga più debole della necessità che governa le leggi della natura.” (Da “Il Prometeo incatenato” di Eschilo)

Viviamo in un mondo altamente tecnologico in cui le distanze sembrano essersi azzerate. Terre un tempo esotiche, anche per la distanza che le separava da noi, sono ormai diventate vicinissime e alla portata di quasi tutti, mentre in pochi secondi gli attuali mezzi di comunicazione ci permettono di dialogare con tutto il mondo. Crediamo di essere potenti, e ci scordiamo che non siamo ancora in grado di dominare le forze della natura e nemmeno di prevedere quando e come si scateneranno, come nel caso dei terremoti, finché una catastrofe come quella che ha colpito nella notte tra il 25 e il 26 dicembre il sud-est asiatico non ce lo ricorda drammaticamente.

Eppure mi domando se qualcosa non poteva essere fatto per rendere meno gravi le conseguenze di un terremoto il cui epicentro si trovava a migliaia di chilometri di distanza.

I terremoti non si possono prevedere, ma i sismografi di tutto il mondo hanno registrato l'evento e le relative conseguenze.

Mi sembra impossibile che non si sia tentato di fare qualcosa per avvertire dell'imminente catastrofe, quando sarebbe bastato far allontanare la gente di qualche chilometro all'interno per riuscire a salvarli.



E’ vero che i terremoti non si possono prevedere ma la notevole distanza percorsa dalle onde – dall’epicentro di Sumatra fino alle coste più lontane – dava il tempo per avvistare lo tsunami  e lanciare l’allarme. Se pertanto le regioni colpite avessero avuto un sistema di allerta sull’arrivo degli “tsunami” come c’è negli Stati Uniti ed in Giappone le conseguenze sarebbero state molto meno drammatiche. Purtroppo come sempre sono i paesi più poveri a subire le conseguenze peggiori di qualsiasi evento, per l’arretratezza delle infrastrutture di sicurezza e prevenzione che, nel caso di specie, è peraltro stridente con il lusso delle infrastrutture turistiche.

Ad ogni modo, anche in mancanza di sistemi locali, non riesco a capire come nessuno sia riuscito ad avvertire o si sia posto il problema di trovare il modo di avvertire dell’imminenza di onde che per arrivare a schiantarsi su quelle coste, seminando morte, ci hanno impiegato almeno due ore. Non si poteva cercare di avvertire in qualche modo le autorità locali?


sabato 27 novembre 2004

Il velo antimperialista e la sinistra - Leggere Lolita a Teheran

Durante i venti anni successivi alla “rivoluzione khomeinista” una  docente di letteratura inglese all'Università di Teheran, Azar Nafisi, si è trovata a cimentarsi “in un'impresa fra le più ardue, e cioè spiegare a ragazzi e ragazze esposti in misura sempre crescente alla catechesi islamica una delle più terribili incarnazioni dell'Occidente: la sua letteratura", come si legge nel risvolto di copertina del suo libro “Leggere Lolita a Teheran", uscito nel 2003. Ma nell'autunno del 1995 non ne può più, dà le dimissioni da ogni incarico accademico e, come lei stessa ci racconta nella prima pagina del suo libro,decide di “farsi un regalo e realizzare un sogno”.

Così chiede alle sette sue migliori studentesse di andare ogni giovedì mattina a casa sua per parlare di letteratura. Gli studenti maschi vengono esclusi, ma solo perché costituire un gruppo misto sarebbe stato troppo pericoloso.Il seminario si interrompe nel 1997 quando Azar decide di lasciare l'Iran e di trasferirsi definitivamente negli Stati Uniti dove oggi insegna Letteratura inglese alla John Hopkins University.

Il libro è il racconto di un seminario semiclandestino in cui per due anni sette giovani donne e la loro insegnante si concedono il lusso“nello spazio magico del [suo] salotto" di togliersi veli e chador e, tra caffè e pasticcini, storie private e critica letteraria, discutendo di Nabokov, Fitzgerald, Jane Austen ed Henry James, mettono a confronto finzione e realtà, fiaba e storia, sogno e concretezza del quotidiano, ma è anche uno spaccato di storia dell'Iran raccontato da chi quella storia l'ha vissuta in prima persona. E in ciascuna delle quattro sezioni in cui è strutturato il libro ("Lolita", "Gatsby","James", "Austen") l'analisi e la discussione dei testi letterari viene utilizzata da Azar Nafisi anche per decifrare e comprendere la dura realtà di un paese che dal sogno della caduta del regime dei Pahlavi si ritrova intrappolato nell'integralismo fondamentalista.

La realtà

Ed è una realtà da incubo, angosciante, soffocante, claustrofobica.

Tutto è proibito: andare a una festa, mangiare un gelato al bar, tenersi per mano, stringere una mano, innamorarsi, mettere il rossetto, ridere in pubblico. Tutti sono colpevoli, i processi sono all’ordine del giorno, le strade sono teatro di violenze tremende, uccisioni di massa, stupri, mentre tanti ragazzi venivano mandati a morire sul fronte iracheno, a piedi nudi, ma con la chiave del paradiso al collo.

Alle donne poi, costrette in vesti nere fino alle caviglie e veli neri, viene confiscata l'esistenza. Le strade sono pattugliate da squadre di miliziani armati che controllano il colore dei cappotti, la pesantezza del velo, la forma delle scarpe, la misura degli anelli.

Parallelismi tra dittature

Il libro è anche l’occasione per fare dei parallelismi con altre realtà, quelle del nazismo e del comunismo. Nella Repubblica islamica dell'Iran, come nella Germania nazista e nella Russia staliniana, tutti sono, per principio, colpevoli. In più nella teocrazia iraniana c’é l’aspetto farsesco di cui è emblematico l’argomento dell’amore con i polli trattato da Khomeini nei suoi “Principii di politica, filosofia, società e religione”. Infatti poiché tra i rimedi consigliati per placare il desiderio maschile c’è il sesso con gli animali, ci si potrebbe chiedere se un uomo che ha fatto sesso con un pollo lo possa poi mangiare. Ma la risposta è pronta: no, né lui né i parenti più stretti possono mangiare la carne di quel pollo. Semmai possono farlo i vicini, sempre che vivano ad almeno due porte di distanza!

Come è potuto accadere. Le responsabilità

Infine non mancano le riflessioni su come tutto ciò sia potuto succedere, su quali le responsabilità di tutti, e in particolare di quelle formazioni laiche e di sinistra che pur di combattere l’imperialismo americano non videro o non vollero vedere.

Gli integralisti religiosi e della sinistra furono infatti uniti contro chiunque fosse sospetto di simpatie liberali e filo-occidentali. Non che i motivi non ci fossero. Le ingerenze americane negli affari interni iraniani e il coinvolgimento degli Usa nel colpo di Stato contro il governo nazionalista di Mohamed Mossadeq nel 1953 avevano lasciato una forte impronta nelle menti. E certamente lo Sha non era tenero con gli oppositori che metteva in galera, ma almeno aveva cercato di modernizzare il paese. Con Khomeini si torna invece al medioevo, ma la sinistra, inizialmente anche in Occidente, non se ne accorge, e sostiene la rivoluzione iraniana contro il totalitarismo dello Sha, appoggiato dagli americani.

Ed ecco in proposito alcune citazioni significative dal libro:

Pag.120

In una tiepida mattina di ottobre, mi ritrovai a farmi strada tra la folla che si era radunata di fronte all’università, intorno ad una professoressa di sinistra del dipartimento di Storia……………… Diceva che per il bene dell’indipendenza dell’Iran era disposta a portare il velo. Lo avrebbe fatto per combattere gli imperialisti americani, per dimostrare loro… per dimostrare loro che cosa?

Pag.132

La maggior parte dei gruppi rivoluzionari era d’accordo con il governo sulla questione delle libertà individuali, che con una certa supponenza venivano definite “borghesi” e “decadenti”

Pag 137

Mathab e i suoi amici (la cui organizzazione marxista si era implicitamente schierata con il governo) sostenevano che il bersaglio grosso, quello da colpire per primo….erano gli imperialisti ed i loro lacchè. Le lotte per i diritti femminili erano roba da borghesi individualisti, e facevano solo il loro gioco.

venerdì 19 novembre 2004

Gli eredi dell'Impero Romano


“I romani conquistarono il mondo con la serietà, la disciplina, l’organizzazione, la continuità delle idee e del metodo; con la convinzione di essere razza superiore nata per comandare; con l’impiego meditato, calcolato della più spietata crudeltà, della fredda perfidia, della propaganda più ipocrita; con risolutezza incrollabile nel sacrificare tutto al prestigio, senza essere sensibili né al pericolo, né alla pietà, né ad alcun rispetto umano; con l’arte di alterare nel terrore l’anima stessa dei loro avversari, o di addormentarli con la speranza, prima di asservirli con le armi; infine con una manipolazione così abile della menzogna più grossolana da ingannare persino la posterità. Chi non riconosce questi tratti?”



Sono parole di Simone Weil, scritte nel 1940, e il riferimento è alla Germania di Hitler. Ma, pur con tutte le differenze e i distinguo di cui non è possibile trattare in un “post”, non è l’impero romano il modello di tutti gli imperialismi che si sono succeduti nella storia dell’Occidente? E oggi quale paese può riconoscersi in questi tratti?


mercoledì 17 novembre 2004

Barbarie

Un altro ostaggio è stato assassinato in Iraq .


Margaret Hassan, l'operatrice umanitaria britannico-irachena rapita a Bagdad il 19 ottobre scorso, è stata uccisa dai suoi sequestratori, nonostante che vivesse in Iraq da circa trent'anni impegnandosi a favore del popolo iracheno. E ancora una volta l'esecuzione è stata filmata. La tv panaraba Al Jazeera ha fatto sapere di essere in possesso delle immagini e ha annunciato che non le manderà in onda.

La campagna del terrore lanciata dagli estremisti iracheni, fatta di sequestri ed esecuzioni, ha già fatto decine di vittime tra gli stranieri: oltre 120 sono stati rapiti e più di 35 sono stati uccisi.



A Falluja un reporter della tv Nbc ha assistito all'uccisione di un iracheno ferito e disarmato, abbandonato in una moschea per 24 ore. L’episodio è stato filmato.

Fin dove arriverà la barbarie?

Il primo di questi episodi è stato commesso da un gruppo di terroristi.

Ma come si chiama chi spara sui nemici feriti e disarmati?

Si può dire che il secondo episodio è stato commesso da un singolo individuo che ora sarebbe sotto inchiesta, che durante le guerre episodi di questo tipo accadono sempre, perché c’è sempre chi si lascia condurre da istinti primordiali. Certo, ma ad ogni modo un esercito di occupazione si comporterà sempre come tale e sarà vissuto come tale, ciò che non giustifica comunque il terrorismo che fa vittime tra i civili, di qualsiasi nazione e idea politica siano e qualunque attività svolgano.



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venerdì 4 ottobre 2013

La tragedia di Lampedusa

Centinaia di persone incalzate dalla miseria e dalle guerre fuggono credendo di trovare la salvezza e vengono a morire in acque sconosciute. 

Come ha detto il Sindaco di Lampedusa è probabile che  anche in quest'ultima tragedia, la più grande finora verificatasi, ma non la prima, abbia inciso la normativa che ha introdotto il reato di immigrazione clandestina. Alcuni pescherecci avrebbero fatto finta di non vedere per evitare problemi, anche se mi sembra strano che una legge, per quanto iniqua, impedisca di prestare soccorso in caso di emergenza. Però la paura è paura, anche se non tutti, e per fortuna, l'hanno avuta. Poi c'è anche da considerare che i mezzi che dovrebbero pattugliare la zona sono insufficienti.

I continui sbarchi sulle nostre coste di disperati, in fuga non solo dalla miseria ma anche dalle guerre civili che infuriano nei loro paesi di provenienza, sono una vera e propria emergenza umanitaria cui deve far fronte l'Europa tutta e non solo l'Italia anche se gli approdi sono in larga parte italiani. 

Occorre in primo luogo combattere le organizzazioni criminali che organizzano questi viaggi di dannati lucrando sulla loro pelle, anche se queste organizzazioni rappresentano ancora un effetto e non la causa dei problemi che sono da ricondurre allo sfruttamento delle risorse dell'Africa da parte dell'Occidente.

E' certo che se la situazione dei paesi dell'Africa continuerà a essere quella che è, anche per le colpe dell'Occidente, passate e presenti, queste tragedie non avranno mai fine.

Nessuno dovrebbe essere costretto a lasciare il proprio paese, tutti dovrebbero poter vivere dignitosamente a casa propria, salvo decidere di trasferirsi altrove per scelta personale che non dovrebbe ovviamente comportare rischi.

Sarebbe necessario rivedere completamente i rapporti tra gli Stati, pensare a una redistribuzione delle ricchezze, riorganizzare il mondo su basi più eque, ma purtroppo è utopia. 

Per qualche giorno sentiremo frasi di cordoglio, lacrime di coccodrillo da parte di molti, poi la questione uscirà dalle pagine dei giornali e degli altri media, fino alla prossima volta.

venerdì 25 giugno 2010

Signoraggio

E’ un po’ di tempo che si sente sempre più spesso parlare di  “signoraggio”. Devo confessare l’ignoranza, ma non ne sapevo niente fino a qualche settimana fa. Nell’articolo di Pietro Cambi del blog “Crisis”, che qui riporto e che risale al novembre 2009, si cerca di fare un po’ di chiarezza, anche se devo dire che personalmente non mi sono chiarita molto.


Considerato che nell’articolo si fa riferimento all’opinione secondo la quale il “signoraggio” è una bufala, riporto anche un altro articolo ove si sostiene che i teorici del complotto del signoraggio sono noti fascisti o parafascisti che fanno riferimento alle teorie di Giacinto Auriti, nome che ho sentito citare per la prima volta qualche giorno fa in televisione:


 


Ad ogni modo si ricomincia a sentire parlare di complotto demo-pluto-giudaico-massonico, cui questa volta si aggiungerebbe anche la congiura “rettiliana”!  

giovedì 8 gennaio 2009

Hamas e Israele - Le ragioni e le colpe






Volevo scriverne da diversi giorni, ma ho sempre rimandato anche per il fatto che in passato non avrei avuto dubbi sui torti e sulle ragioni, oggi la situazione non è così chiara.

 

E' in corso un massacro. Ma i morti della striscia di Gaza si devono non solo ad Israele ma anche ad Hamas, gruppo integralista islamico che dall’Islam deriva le sue idee e i suoi precetti fondamentali, e che vorrebbe governare con la sharia, la legge islamica.

 

Nel gennaio del 2006 ha vinto le elezioni palestinesi promettendo la distruzione di Israele, nel 2007 si è sbarazzato dei suoi alleati “moderati” di Al Fatah, uccidendoli casa per casa ed assumendo così il pieno controllo della striscia di Gaza. Pochi giorni fa i proiettili di mortaio e i razzi Qassam costruiti in garage dai miliziani di Hamas hanno cominciato a piovere sulle case e le strade dei territori nel sud di Israele. Impensabile che Israele non reagisse.


Quanto detto sopra non deve però far dimenticare che lo Stato di Israele è una realtà artificiale costituita 61 anni fa in un territorio che era dei Palestinesi, i quali si sono visti privare delle loro terre e del loro destino.


E mi domando perché non sia stata data agli ebrei per costruire il loro stato magari una regione della Germania come indennizzo per quanto avevano subito durante il regime nazista. Con quale criterio si è permesso loro di andare ad occupare territori altrui, territori sui quali avevano vissuto, certo, ma nei quali non abitavano più da 2000 anni? E volevo vedere se fossero venuti a casa nostra.


Da allora c’è stata solo guerra e non poteva essere diversamente e ci sarà finché i due popoli non riusciranno a venire ad un accordo che consenta ad entrambi di vivere sullo stesso territorio in pace, perché ormai lo stato di Israele esiste e solo pazzi come Ahmaninejad e i terroristi di Hamas possono pensare di distruggerlo.



Oggi 1.500.000 persone vivono recluse nella striscia di Gaza, senza speranza, senza futuro, molti di loro, quasi tutti, non hanno visto che guerra da quando sono nati, e trovare in questa situazione esplosiva dei terroristi non è difficile.



Sarà mai possibile che la forza della ragione prevalga sulla violenza?



Ormai l'odio è talmente radicato che sono veramente pochi dall'una e dall'altra parte quelli che lavorano dalla parte della ragione.



Credo che l'unica soluzione sarebbe quella di un unico stato con pieni diritti di arabi e ebrei. Le esperienze di ebrei e palestinesi sono storicamente e organicamente legate fra loro. I due popoli dovrebbero comprendere che può esistere solo un futuro che li comprenda entrambi. Purtroppo il fondamentalismo islamico che si è aggiunto negli ultimi anni al problema preesistente dei territori non aiuta.

martedì 4 novembre 2008

OBAMA O McCAIN?



 



Personalmente avrei preferito Hillary. Sicuramente era più preparata e meno messianica.


A questo punto spero vinca Obama per due ordini di motivi:


- di fronte alla crisi mondiale c’è necessità di un cambiamento e di ottimismo, e penso che pertanto Obama possa essere la persona giusta;


- inoltre anche se McCain è un conservatore abbastanza sui generis e sicuramente un laico, tenuto conto della sua età, del non perfetto stato di salute, e della vice-presidente che si è scelta, meglio che non vinca.


Non ho tempo di scrivere altro perché devo uscire.


Ad ogni modo l’importante è che sia finita l’era Bush.         

 

lunedì 3 novembre 2008

VENERABILE ITALIA – LA VERA STORIA DI LICIO GELLI

Stasera su Odeon TV ore 22,20

 Venerabile Italia, la vera storia di Licio Gelli: questo il titolo della nuova trasmissione di Odeon Tv di seconda serata, dedicata alla storia italiana dell'ultimo secolo attraverso la vita del controverso ex gran maestro della loggia P2. Sono previste otto puntate da un'ora ciascuna, a partire da lunedì 3 novembre, con ospiti ed intervistati illustri. Fra i temi che saranno trattati, il rapporto del fascismo con i giovani e la massoneria, la guerra civile spagnola, il peronismo argentino, il crack del Banco Ambrosiano, la fine della Guerra Fredda.

Nelle prime sette puntate Gelli interverrà da Villa Wanda, mentre l'ultima puntata, che lo vedrà per la prima volta protagonista in uno studio televisivo, analizzerà la sua attività di poeta...

E - come prevedibile - infuria la polemica.

 

A mio parere tutti possono dire la loro e magari la trasmissione sarà anche interessante.

 

Ma un’intervista a Licio Gelli passi e non è la prima, però non mi pare un’ottima idea rendere protagonista di una trasmissione un personaggio così controverso che potrebbe essere stato complice (non credo fosse l’unico burattinaio) di molte tragiche vicende, non ancora chiarite, sulle quali forse non sapremo mai la verità, il quale peraltro afferma: “Sono stato, sono e rimarrò fascista”. 

 

martedì 15 marzo 2005

Prove di democrazia nel mondo arabo



 Nasce la democrazia nel mondo arabo?


 

 


In Egitto lo stesso presidente in carica Mubarak promuove elezioni presidenziali multi-partitiche.


 

 


A Beirut, ad un mese dall’assassinio dell’ex premier Rafik Hariri, ucciso il 14 febbraio scorso da un’autobomba, oltre un milione e mezzo di persone sono scese in piazza per manifestare contro l'occupazione militare siriana e chiedere la verità sull’omicidio di Hariri, dietro il quale si sospetta ci sia proprio la Siria.  


 


Il vecchio ordine mediorientale basato sulle dittature non tiene più, però non c’è nessuna garanzia che si passi dai vecchi regimi a delle democrazie filo – occidentali. Potrebbe anche andare male. E in questo caso i nostri dirimpettai mediterranei potrebbero diventare di qui a qualche anno nazioni devastate da conflitti etnici e/o teocrazie governate da mullah fanatici e ignoranti, e il rischio di terrorismo non diminuirebbe certamente.


 

 


 

domenica 6 marzo 2005

La liberazione di Giuliana Sgrena e l’uccisione dell’agente del Sismi Nicola Calipari




Della Sgrena che ringrazia i suoi rapitori non mi importa niente. Voglio solo dire che un conto è comprendere le ragioni di chi lotta contro la presenza di truppe straniere (ma che senso ha poi rapire i giornalisti?), un altro uscirsene con dichiarazioni di questo tipo.

 

Mi dispiace invece per l’uccisione dell’agente del Sismi, Nicola Calipari,  morto a causa del cosiddetto fuoco amico (americano). L’auto con a bordo la giornalista del Manifesto, Nicola Calipari, capo della seconda divisione Ricerca estera del Sismi, e altri due agenti dei servizi italiani, stava viaggiando in direzione dell’aeroporto internazionale di Camp Victory, dove li stava attendendo un aereo per il rimpatrio, quando a poche centinaia di metri dall’aeroporto scoppia il finimondo. Gli americani esplodono 300 colpi, uccidono Calipari, mentre la Sgrena ed un altro agente del Sismi restano feriti.


 

Come è potuta accadere una cosa del genere? Fatalità? Forse un difetto di comunicazione tra i servizi americani e quelli italiani, anche se mi pare molto strano che nessuno si sia premurato di avvertire.


 


Naturalmente non si saprà mai niente. Basti ricordare cosa è accaduto per la tragedia del Cermis del febbraio del 1998 quando un aereo dei marines USA di base ad Aviano, che volava troppo basso, tranciò un cavo della funivia uccidendo 20 persone. L’anno successivo la Corte marziale americana (perché ovviamente i militari delle basi americane non sono soggetti alla giurisdizione della magistratura italiana) condannò il capitano dei marines, Richard Ashby, accusato dell' accaduto, a sei mesi di reclusione e all'espulsione dai marines senza la pensione. Fu infatti assolto dalle accuse di omicidio, ma condannato per aver sottratto e cospirato per distruggere un video che, girato per divertimento poco prima dell'impatto con la funivia, avrebbe potuto rivelare cosa accadde durante il tragico volo.


 

E se ciò è potuto accadere in relazione a fatti accaduti in un paese amico ed in tempo di pace, figurarsi cosa ci si può aspettare per quest’ultimo episodio.

domenica 20 febbraio 2005

La lingua italiana e l’Europa



 La notizia pubblicata dal Corriere della Sera che la lingua italiana è stata cancellata da tutte le conferenze stampa (salvo quelle del mercoledì) tenute dai commissari dell’Unione Europea, riveste una notevolissima importanza politica, in quanto significa che il nostro Paese non sarà tra le nazioni guida dell’Unione ma occuperà un posto di seconda fila.Risulta infatti difficile credere che un Paese la cui lingua è considerata poco importante possa poi ricoprire un ruolo politico primario. Quindi da iniziatori della costruzione europea ne siamo diventati dei semplici comprimari.



Le lingue “stabili” dell’Unione sono francese, inglese e tedesco, non tanto per la loro diffusione nel mondo, che potrebbe valere per inglese e francese, ma non certo per il tedesco,  quanto per il ruolo dei paesi in cui sono parlate.



Così questa Europa sembra sempre più destinata a diventare non un soggetto sopranazionale quanto piuttosto una struttura plurinazionale sottoposta alla leadership di un ristrettissimo gruppo di Stati nazionali, che sono Francia, Germania e Gran Bretagna.



Le cause sono da individuare nella politica miope dei nostri governi, presenti e passati, il cui peso in politica estera è ed è sempre stato marginale e che non si preoccupano nemmeno di sostenere la nostra cultura nel mondo.

lunedì 14 febbraio 2005

I risultati delle elezioni irachene

 

Ma qualcuno se le ricorda le elezioni in Iraq?

Dopo i titoloni sulle prime pagine dei giornali e nei servizi televisivi sulla percentuale dei votanti (inizialmente del 72% degli aventi diritto, poi ridimensionata al 60%) e sulla vittoria della democrazia, solo qualche trafiletto in quarta o quinta pagina, in cui l’afflusso sembrava essere calato sotto il 50%, pur sempre un successo, anche se è legittimo qualche dubbio sul come siano stati individuati gli aventi diritto. Quanto ai risultati si dava per vincente l’alleanza sciita appoggiata dall’ayatollah Ali Al Sistani, presunto moderato, che però nei giorni scorsi si è espresso in favore dell’introduzione della Sharia (legge coranica).



Finalmente i risultati definitivi che confermano la vittoria, anche se in misura inferiore al previsto, dell’alleanza,che, con il 47,6% dei voti, si è aggiudicata 132 seggi su 275 e quindi non ha la maggioranza assoluta, segue la coalizione curda con il 25,7%, e poi quella dell’attuale premier ad interim Iyad Allawi, sostenuto dagli Stati uniti, con solo il 18,3%. L’affluenza ufficiale alle urne è stata del 58% degli aventi diritto, in tutto 8.456.266 elettori, ma nelle province a maggioranza sunnita si sono avute percentuali che vanno dal 2% al 29% .

martedì 1 febbraio 2005

L’Iraq verso la democrazia ?



 

Gli iracheni non hanno avuto paura. Il 60% degli aventi diritto, 8 milioni di iracheni, sarebbero andati alle urne. I giornali di tutto il mondo elogiano la forza e il coraggio di un popolo che ha sconfitto i kamikaze di Al Zarkawi, che rifiuta l’oscurantismo di Al Qaeda e che vuole incamminarsi sulla strada della democrazia.


 

Qua e là qualcuno insinua qualche dubbio, come questo articolo di “Reporter Associati”. Devo dire che non si tratta di un bell’articolo, anche nel senso dello stile (ma d’altra parte cosa aspettarsi da chi, per rimandare all’inizio della pagina, scrive “go to top”?).


 

Tuttavia anche se non mi sembra possibile che tutti, comprese le agenzie di stampa e tutti gli organi di informazione, ci prendano in giro, che siano tutti al soldo di Bush, non nego che qualche perplessità ce l’ho anch’io, sia sulla percentuale dei votanti, sia sul fatto che si siano svolte veramente libere elezioni in un paese occupato.


 

Non erano ancora chiuse le operazioni di voto che già si diffondeva la notizia di una percentuale di affluenza alle urne del 72%, poi ridimensionata al 60%.

 

Anche nei paesi occidentali, di consolidata democrazia e in situazioni assolutamente tranquille,  sarebbe difficile in 10 ore di votazione (in Iraq si è votato dalle 7.00 alle 17.00) raggiungere il 60%, figurarsi il 72%, ma in un paese militarmente occupato, sotto minaccia di attacchi terroristici ai seggi, questi ultimi peraltro pochi e da raggiungere a piedi,  perché, per motivi di sicurezza, la circolazione era stata vietata in tutte le zone circostanti, e dopo 50 anni che non si votava, mi sarei aspettata non solo una minore affluenza, ma anche che ci volesse un po’ più di tempo per fornire qualsiasi informazione.


 

Le previsioni della vigilia fornite dagli organi di informazione erano piuttosto negative. Qualche giorno fa lo stesso presidente iracheno Al Yawar aveva messo  le mani avanti annunciando che molti non si sarebbero recati alle urne, anche se aveva rapidamente ritrattato, forse dopo una reprimenda degli americani.


 

Quanto agli osservatori internazionali, il portavoce della ACIE (Alto Commissariato Indipendente per l'Elezioni) Adil Al Lami, ha fatto sapere che erano complessivamente  in numero di 199 e che, per ovvie regioni di sicurezza, sono stati dislocati nelle zone più sicure, particolarmente nel Kurdistan. E guarda caso anche molte delle foto pubblicate dai giornali riguardano seggi del Kurdistan.


 

Se a ciò si aggiunge che Bush non avrebbe potuto permettersi una sconfitta, mi sembra più che legittimo qualche dubbio.

 

Magdi Allam, sul Corriere della Sera del 31 gennaio, sostiene che “le prime elezioni libere nella storia dell'Iraq e del mondo arabo non sono piaciute affatto ad al Zarqawi, Saddam, Assad e al Jazeera. Sono piaciute poco a Erdogan, re Fahd, Khamenei”, ma sono anche “ risultate indigeste agli europei ossessionati dall'antiamericanismo e agli americani che mal sopportano Bush”.


Io penso che se effettivamente il 60% degli iracheni ha espresso la propria volontà di “autodeterminarsi”, non si possa che esternare ammirazione per un popolo che in condizioni così difficili ha dimostrato di essere forte e maturo, e questo anche se non ci piace Bush e ci dispiace un po’ che sia contento.


Credo che a molti di noi europei, senza essere ossessionati da nessun antiamericanismo (che è solo nelle menti dei filoamericani viscerali), non piaccia l’America “teocon” di Bush, mentre ci rendiamo conto altresì che gli interessi dell’America (anche economici) non sono precisamente i nostri interessi.


 

Inoltre anche se dalla guerra di Bush dovesse derivare un Iraq democratico, cosa che è ancora tutta da dimostrare, non per questo ci ricrediamo sulla sua politica e sulla sua visione manichea della storia. Non ci piacciono gli imperi, del bene o del male che siano, e crediamo nell'autodeterminazione dei popoli e nella sovranità nazionale.    


 

Infine, a prescindere da chi abbia vinto le elezioni, ma sicuramente sarà un testa a testa tra Allawi e gli Sciti (addirittura sembra che  Mokta Al Sadr's abbia votato per Allawi!?), se il popolo iracheno ha dimostrato di essere maturo per la democrazia, si dovrebbe poter cominciare a parlare di ritiro delle truppe americane e della coalizione, eventualmente sostituite da forze internazionali sotto mandato ONU, per il periodo necessario a ricostituire un esercito e una polizia iracheni autosufficienti. Ma è molto probabile che il nuovo governo, liberamente eletto, chiederà loro di restare.


 

domenica 30 gennaio 2005

L’Iraq al voto



Conclusa la giornata elettorale in Iraq. I seggi sono stati chiusi alle 17 (le 15 in Italia), ma in certi casi c'erano ancora persone in fila. Alta affluenza nelle zone sciite e curde, seggi deserti nelle aree sunnite e nemmeno aperti per questioni di sicurezza nel “triangolo della morte” a sud della capitale. Ma la commissione elettorale nazionale annuncia che l’affluenza è stata del  60 per cento degli aventi diritto (otto milioni).


Gli iracheni  sarebbero andati a votare nonostante le bombe e le pessimistiche previsioni della vigilia. Quasi trenta esplosioni hanno scosso a ripetizione Bagdad, almeno nove provocate da attentatori suicidi che avevano cinture esplosive nei pressi di seggi elettorali o tra la gente in attesa di votare. Circa trenta le vittime degli attentati.


 

Il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, ha detto che il voto in Iraq è “un primo passo” verso la democrazia. Gli iracheni “sanno che stanno votando per il loro futuro e che con questo voto prenderanno il controllo del loro destino. Noi dobbiamo incoraggiarli”. La promozione del voto iracheno è giunta anche dal rappresentante del segretario generale a Bagdad, Ashraf Qazi. Il diplomatico ha parlato di elezioni “trasparenti e libere” e si è detto confortato dall'alta affluenza alle urne.


 

Soddisfazione è stata espressa anche dal segretario di stato Condoleezza Rice. “Le elezioni in Iraq stanno andando meglio del previsto”, è scritto in una nota diramata dal dipartimento di Stato americano. Una volta chiusi ufficialmente i seggi, è arrivata anche la dichiarazione di George W. Bush: “E' un grande giorno per la democrazia”, ha detto il presidente.


 

 

 

Ma si possono davvero definire trasparenti e libere queste elezioni avvenute in un contesto in cui si fronteggiano un esercito di occupazione e la guerriglia?


Non è stato possibile svolgere una regolare campagna elettorale, persino attaccare manifesti era rischioso, gli elettori sono andati a votare sotto minaccia, quelli che hanno potuto, perché in alcune zone del paese non si sono aperti i seggi. Sembra quasi impossibile che tanti non abbiano avuto paura, sempre che le dichiarazioni della commissione elettorale rispondono a verità.


 

In questo articolo dell’ “Observer International” si parla di elezioni senza precedenti, per le quali non reggerebbe nemmeno il confronto con quelle tenutesi nella Repubblica di Weimar in mezzo agli scontri tra nazisti e comunisti.

venerdì 28 gennaio 2005

Guerriglieri o terroristi?



Non sono in grado di giudicare la sentenza con la quale il giudice Clementina Forleo ha mandato assolti alcuni islamici imputati in un processo per associazione con finalità di terrorismo internazionale, perché non l’ho letta. Presumo che nemmeno Fini, Borghezio, e compagnia, l’abbiano letta.


 

Se avessi la certezza che gli imputati del processo di Milano reclutavano kamikaze per compiere attentati terroristici in Iraq o in qualsiasi altro paese riterrei la sentenza aberrante. Ma per giudicare dovrei essere certa dell’esistenza o meno di prove decisive che vadano in un’unica direzione, certezza che potrei raggiungere forse solo a seguito di una lettura attenta della sentenza e degli atti del processo. Questo parlando razionalmente, perché di fronte a certi giudizi di certi personaggi mi viene voglia di stare dalla parte opposta senza troppi distinguo. Della serie, se loro dicono questo, allora la sentenza è giusta, e magari invece non lo è. 


 

Poi sui fondamentalisti islamici la penso più o meno come la Fallaci (ma penso tutto il male possibile anche dei fondamentalisti cristiani, dei TEOCON, dell’Opus Dei, di tutte le associazioni di ipocriti bacchettoni, ecc.), ma sono altresì convinta che, nonostante tutto, almeno che non si voglia introdurre nel nostro paese aberrazioni come il “patrioct act”, approvato negli Stati Uniti all’indomani dell’11 settembre, non si possa, non si debba, rinunciare mai  al garantismo e ai principi dello stato democratico. 


 

Ritengo anche che in certe situazioni sia molto difficile distinguere tra azione bellica e azione terroristica. Infatti un attentato compiuto contro obiettivi militari, che coinvolga solo militari, (anche se mi dispiace quando vengono coinvolti militari italiani che, magari in buona fede, credono di partecipare ad una missione di pace, che probabilmente di pace ha solo gli equipaggiamenti), è un’azione di guerriglia e in un paese occupato la resistenza è legittima.



Del resto la Convenzione ONU sul terrorismo del 1999 dice che “Le attività violente o di guerriglia nell’ambito dei contesti bellici… non possono essere perseguite a meno che non vengano violate le norme del diritto internazionale umanitario.”



Sono invece senza alcun dubbio atti terroristici quelli che colpiscono solo la popolazione civile del paese occupato e/o i civili stranieri in quel paese o in altri, allo scopo appunto di incutere terrore.


 

Tuttavia come si deve considerare la stessa azione diretta contro obiettivi militari che finisca per coinvolgere anche la popolazione civile? Terrorismo o “danno collaterale”?

SESSANTANNI DOPO AUSCHWITZ



A noi tedeschi si addice il silenzio davanti a questo massimo crimine contro l’umanità.Vorremmo riuscire a comprendere questa realtà inconcepibile, che travalica ogni immaginazione umana. E inutilmente cerchiamo le risposte ultime.

 

(Dal discorso del Cancelliere della Repubblica federale tedesca Gerhard Schroeder in occasione del 60° anniversario della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz)


Ma possiamo credere alla sincerità di un Fini che torna a stigmatizzare ogni cedimento sul tema delle responsabilità del fascismo verso la Shoah come ha fatto ieri sera intervistato dal TG2?


 

Nella stessa intervista il Ministro degli Esteri Fini ha anche citato Gobetti insieme a Gramsci e ad una serie di altri esponenti della cultura dell’epoca, da Palazzeschi a Marinetti a Gentile per dire che in fondo erano tutti accomunati dall’italianità! Qui certo la profondità del pensiero raggiunge livelli sublimi. 

mercoledì 26 gennaio 2005

Si può dire, ma una sola volta

Documento americano sulle parolacce in TV



La Federal Communications Commission, l’autorità governativa americana che sorveglia le radio e le telecomunicazioni, in risposta alle 36 denunce di una sdegnata associazione di genitori a causa delle parolacce in televisione, ha informato le reti TV che è ammissibile usare, purché una sola volta e in modo rapido, le seguenti parole: “cazzo, testa di cazzo, coglione, sedere, culo, vagina, pene, testicoli, sacco dei marroni, bastardo (anche grasso bastardo), figlio di puttana, merda, piscia, vai a farti fottere e che Dio ti stramaledica".


Tutto questo compare nel dispositivo numero 04-279, datato 8 dicembre, ove sembra che il greve burocratese  legalistico  associato alla presenza di sconcezze e parolacce renda il tutto particolarmente ridicolo.

venerdì 21 gennaio 2005

Il secondo mandato di Bush



Dalla terrazza del Campidoglio, tra canzoni patriottiche e sventolii di bandiere, durante la cerimonia di giuramento per il suo secondo mandato, George Bush ha rivolto ai popoli oppressi, agli alleati e ai cittadini americani "la sfida della libertà" il cui obiettivo è quello di porre fine a tutte le tirannie "anche negli angoli più oscuri della terra". In un aggressivo discorso di 16 minuti, in cui si è appellato spesso a Dio (5 volte per l’esattezza) e ha pronunciato la parola libertà per 42 volte, il presidente ha promesso di appiccare ovunque "il fuoco della libertà" fino a quando "brucerà in ogni angolo del mondo" , "di abbattere tutti i tiranni", ovunque, magari a partire da quell'Iran che è "al primo posto nella lista dei problemi da risolvere", come il suo vice Cheney ammette, mentre in economia l’accento è sull'individualismo economico, con la costituzione della cosiddetta "società di proprietari".

Ma non ci sono stati solo applausi per il secondo mandato di George W. Bush.  In tante piazze, tra cartelli per il ritiro dall’Iraq, inni pacifisti e bandiere americane, una folla eterogenea ha manifestato la rabbia e la preoccupazione per la sua rielezione.

domenica 2 gennaio 2005

NONOSTANTE TUTTO, AUGURI PER IL NUOVO ANNO



Con lo "tsunami" nel sud-est asiatico del 26 dicembre è finito nel peggiore dei modi possibili un anno che, forse per non smentire la fama funesta dei bisestili, già non era stato avaro di avvenimenti nefasti, dovuti sia alla natura che alle attività  umane, dal terremoto in Marocco del 24 febbraio, all'attentato terroristico di Al Qaeda a Madrid dell'11 marzo, agli scontri etnici e religiosi in Nigeria e nel Sudan,alla strage di Beslan in Ossezia del primo settembre, alla tempesta tropicale che sempre in settembre investiva Thaiti, tanto per citarne alcuni dei più gravi e senza dimenticare l'Iraq, dove la guerra continua con gli scontri tra gli occupanti e gli oppositori e le azioni terroristiche, i rapimenti e le barbare uccisioni di stranieri che a vario titolo si trovano nel paese.

(Per un riepilogo dei principali avvenimenti dell'anno appena concluso visitare questa pagina)


Ma lo “tsunami” che ha investito il Sud-Est asiatico è di questo anno orribile l’avvenimento che ci ha colpito di più, non solo per l’altissimo numero di vittime dovute alla violenza di un evento che supera tutti quelli avvenuti negli ultimi 40 anni, perché per trovare qualcosa di simile bisogna risalire a quello del Cile del 1960, non solo per la sua grande estensione che ha coinvolto sette paesi, se si considera che è arrivato fino alle coste della Tanzania e della Somalia, ma anche per altri due motivi, la presenza in quelle località, complice anche il periodo festivo, di migliaia di turisti che ha distribuito lutti in tutto il mondo e la facilità delle comunicazioni e dei mezzi di documentazione in mano anche ai singoli, che ne hanno fatto la catastrofe più documentata finora nella storia dell’umanità. Basti fare una ricerca su internet e nella "blogosfera".Per una ricognizione vedere il blog di Giusec.

Anche per questi motivi credo che non ce ne dimenticheremo presto, come per altri avvenimenti che hanno colpito popolazioni lontane e che dopo qualche giorno di cordoglio sono state dimenticate. Infatti chi si ricorda, per esempio, il terremoto che proprio il 26 dicembre del 2003 fece migliaia di morti in Iran e distrusse l’antichissima città di Bam?

O il terremoto del febbraio 2004 in Marocco?

Ma quest’ultimo evento ha anche innescato una riflessione che spero possa avere delle conseguenze positive. Infatti proprio in un mondo in cui le comunicazioni sono così facili ci sarebbero stati i mezzi per rendere meno pesante il bilancio delle vittime, ma non è stato fatto niente.

Eppure dal verificarsi del terremoto al largo di Sumatra al momento in cui le onde si sono abbattute sulle spiagge delle Andamane, delle Maldive, dello Sri Lanka, della Thailandia, dell’India, della Birmania, sono trascorse almeno 2 ore e 10 ore perché arrivassero in Somalia e Tanzania. C’era tutto il tempo e anche i mezzi per avvertire e, nonostante l’arretratezza delle infrastrutture di sicurezza e prevenzione di quei paesi che stridono con il lusso delle infrastrutture turistiche, qualche notizia è anche arrivata, ma non è successo niente, forse perché non ci si credeva, forse perché c’era la paura di un falso allarme che avrebbe danneggiato il turismo. Tutto questo comunque ha messo il mondo di fronte alla consapevolezza che almeno sui problemi della sicurezza e della prevenzione occorre unirsi in uno sforzo comune.

Sperando che ci si muova in questa direzione e considerato che comunque é nella natura umana credere in un futuro migliore, e per fortuna che è così, penso che, nonostante tutto, pur nella tristezza per gli eventi dell’ultimo anno e in particolare per quest’ultimo, si possa, nonostante tutto, augurare:



BUON 2005!


martedì 28 dicembre 2004

La catastrofe del Sud-Est asiatico. Le forze della natura e la povertà.

“La tecnica è di gran lunga più debole della necessità che governa le leggi della natura.” (Da “Il Prometeo incatenato” di Eschilo)

Viviamo in un mondo altamente tecnologico in cui le distanze sembrano essersi azzerate. Terre un tempo esotiche, anche per la distanza che le separava da noi, sono ormai diventate vicinissime e alla portata di quasi tutti, mentre in pochi secondi gli attuali mezzi di comunicazione ci permettono di dialogare con tutto il mondo. Crediamo di essere potenti, e ci scordiamo che non siamo ancora in grado di dominare le forze della natura e nemmeno di prevedere quando e come si scateneranno, come nel caso dei terremoti, finché una catastrofe come quella che ha colpito nella notte tra il 25 e il 26 dicembre il sud-est asiatico non ce lo ricorda drammaticamente.

Eppure mi domando se qualcosa non poteva essere fatto per rendere meno gravi le conseguenze di un terremoto il cui epicentro si trovava a migliaia di chilometri di distanza.

I terremoti non si possono prevedere, ma i sismografi di tutto il mondo hanno registrato l'evento e le relative conseguenze.

Mi sembra impossibile che non si sia tentato di fare qualcosa per avvertire dell'imminente catastrofe, quando sarebbe bastato far allontanare la gente di qualche chilometro all'interno per riuscire a salvarli.



E’ vero che i terremoti non si possono prevedere ma la notevole distanza percorsa dalle onde – dall’epicentro di Sumatra fino alle coste più lontane – dava il tempo per avvistare lo tsunami  e lanciare l’allarme. Se pertanto le regioni colpite avessero avuto un sistema di allerta sull’arrivo degli “tsunami” come c’è negli Stati Uniti ed in Giappone le conseguenze sarebbero state molto meno drammatiche. Purtroppo come sempre sono i paesi più poveri a subire le conseguenze peggiori di qualsiasi evento, per l’arretratezza delle infrastrutture di sicurezza e prevenzione che, nel caso di specie, è peraltro stridente con il lusso delle infrastrutture turistiche.

Ad ogni modo, anche in mancanza di sistemi locali, non riesco a capire come nessuno sia riuscito ad avvertire o si sia posto il problema di trovare il modo di avvertire dell’imminenza di onde che per arrivare a schiantarsi su quelle coste, seminando morte, ci hanno impiegato almeno due ore. Non si poteva cercare di avvertire in qualche modo le autorità locali?


sabato 27 novembre 2004

Il velo antimperialista e la sinistra - Leggere Lolita a Teheran

Durante i venti anni successivi alla “rivoluzione khomeinista” una  docente di letteratura inglese all'Università di Teheran, Azar Nafisi, si è trovata a cimentarsi “in un'impresa fra le più ardue, e cioè spiegare a ragazzi e ragazze esposti in misura sempre crescente alla catechesi islamica una delle più terribili incarnazioni dell'Occidente: la sua letteratura", come si legge nel risvolto di copertina del suo libro “Leggere Lolita a Teheran", uscito nel 2003. Ma nell'autunno del 1995 non ne può più, dà le dimissioni da ogni incarico accademico e, come lei stessa ci racconta nella prima pagina del suo libro,decide di “farsi un regalo e realizzare un sogno”.

Così chiede alle sette sue migliori studentesse di andare ogni giovedì mattina a casa sua per parlare di letteratura. Gli studenti maschi vengono esclusi, ma solo perché costituire un gruppo misto sarebbe stato troppo pericoloso.Il seminario si interrompe nel 1997 quando Azar decide di lasciare l'Iran e di trasferirsi definitivamente negli Stati Uniti dove oggi insegna Letteratura inglese alla John Hopkins University.

Il libro è il racconto di un seminario semiclandestino in cui per due anni sette giovani donne e la loro insegnante si concedono il lusso“nello spazio magico del [suo] salotto" di togliersi veli e chador e, tra caffè e pasticcini, storie private e critica letteraria, discutendo di Nabokov, Fitzgerald, Jane Austen ed Henry James, mettono a confronto finzione e realtà, fiaba e storia, sogno e concretezza del quotidiano, ma è anche uno spaccato di storia dell'Iran raccontato da chi quella storia l'ha vissuta in prima persona. E in ciascuna delle quattro sezioni in cui è strutturato il libro ("Lolita", "Gatsby","James", "Austen") l'analisi e la discussione dei testi letterari viene utilizzata da Azar Nafisi anche per decifrare e comprendere la dura realtà di un paese che dal sogno della caduta del regime dei Pahlavi si ritrova intrappolato nell'integralismo fondamentalista.

La realtà

Ed è una realtà da incubo, angosciante, soffocante, claustrofobica.

Tutto è proibito: andare a una festa, mangiare un gelato al bar, tenersi per mano, stringere una mano, innamorarsi, mettere il rossetto, ridere in pubblico. Tutti sono colpevoli, i processi sono all’ordine del giorno, le strade sono teatro di violenze tremende, uccisioni di massa, stupri, mentre tanti ragazzi venivano mandati a morire sul fronte iracheno, a piedi nudi, ma con la chiave del paradiso al collo.

Alle donne poi, costrette in vesti nere fino alle caviglie e veli neri, viene confiscata l'esistenza. Le strade sono pattugliate da squadre di miliziani armati che controllano il colore dei cappotti, la pesantezza del velo, la forma delle scarpe, la misura degli anelli.

Parallelismi tra dittature

Il libro è anche l’occasione per fare dei parallelismi con altre realtà, quelle del nazismo e del comunismo. Nella Repubblica islamica dell'Iran, come nella Germania nazista e nella Russia staliniana, tutti sono, per principio, colpevoli. In più nella teocrazia iraniana c’é l’aspetto farsesco di cui è emblematico l’argomento dell’amore con i polli trattato da Khomeini nei suoi “Principii di politica, filosofia, società e religione”. Infatti poiché tra i rimedi consigliati per placare il desiderio maschile c’è il sesso con gli animali, ci si potrebbe chiedere se un uomo che ha fatto sesso con un pollo lo possa poi mangiare. Ma la risposta è pronta: no, né lui né i parenti più stretti possono mangiare la carne di quel pollo. Semmai possono farlo i vicini, sempre che vivano ad almeno due porte di distanza!

Come è potuto accadere. Le responsabilità

Infine non mancano le riflessioni su come tutto ciò sia potuto succedere, su quali le responsabilità di tutti, e in particolare di quelle formazioni laiche e di sinistra che pur di combattere l’imperialismo americano non videro o non vollero vedere.

Gli integralisti religiosi e della sinistra furono infatti uniti contro chiunque fosse sospetto di simpatie liberali e filo-occidentali. Non che i motivi non ci fossero. Le ingerenze americane negli affari interni iraniani e il coinvolgimento degli Usa nel colpo di Stato contro il governo nazionalista di Mohamed Mossadeq nel 1953 avevano lasciato una forte impronta nelle menti. E certamente lo Sha non era tenero con gli oppositori che metteva in galera, ma almeno aveva cercato di modernizzare il paese. Con Khomeini si torna invece al medioevo, ma la sinistra, inizialmente anche in Occidente, non se ne accorge, e sostiene la rivoluzione iraniana contro il totalitarismo dello Sha, appoggiato dagli americani.

Ed ecco in proposito alcune citazioni significative dal libro:

Pag.120

In una tiepida mattina di ottobre, mi ritrovai a farmi strada tra la folla che si era radunata di fronte all’università, intorno ad una professoressa di sinistra del dipartimento di Storia……………… Diceva che per il bene dell’indipendenza dell’Iran era disposta a portare il velo. Lo avrebbe fatto per combattere gli imperialisti americani, per dimostrare loro… per dimostrare loro che cosa?

Pag.132

La maggior parte dei gruppi rivoluzionari era d’accordo con il governo sulla questione delle libertà individuali, che con una certa supponenza venivano definite “borghesi” e “decadenti”

Pag 137

Mathab e i suoi amici (la cui organizzazione marxista si era implicitamente schierata con il governo) sostenevano che il bersaglio grosso, quello da colpire per primo….erano gli imperialisti ed i loro lacchè. Le lotte per i diritti femminili erano roba da borghesi individualisti, e facevano solo il loro gioco.

venerdì 19 novembre 2004

Gli eredi dell'Impero Romano


“I romani conquistarono il mondo con la serietà, la disciplina, l’organizzazione, la continuità delle idee e del metodo; con la convinzione di essere razza superiore nata per comandare; con l’impiego meditato, calcolato della più spietata crudeltà, della fredda perfidia, della propaganda più ipocrita; con risolutezza incrollabile nel sacrificare tutto al prestigio, senza essere sensibili né al pericolo, né alla pietà, né ad alcun rispetto umano; con l’arte di alterare nel terrore l’anima stessa dei loro avversari, o di addormentarli con la speranza, prima di asservirli con le armi; infine con una manipolazione così abile della menzogna più grossolana da ingannare persino la posterità. Chi non riconosce questi tratti?”



Sono parole di Simone Weil, scritte nel 1940, e il riferimento è alla Germania di Hitler. Ma, pur con tutte le differenze e i distinguo di cui non è possibile trattare in un “post”, non è l’impero romano il modello di tutti gli imperialismi che si sono succeduti nella storia dell’Occidente? E oggi quale paese può riconoscersi in questi tratti?


mercoledì 17 novembre 2004

Barbarie

Un altro ostaggio è stato assassinato in Iraq .


Margaret Hassan, l'operatrice umanitaria britannico-irachena rapita a Bagdad il 19 ottobre scorso, è stata uccisa dai suoi sequestratori, nonostante che vivesse in Iraq da circa trent'anni impegnandosi a favore del popolo iracheno. E ancora una volta l'esecuzione è stata filmata. La tv panaraba Al Jazeera ha fatto sapere di essere in possesso delle immagini e ha annunciato che non le manderà in onda.

La campagna del terrore lanciata dagli estremisti iracheni, fatta di sequestri ed esecuzioni, ha già fatto decine di vittime tra gli stranieri: oltre 120 sono stati rapiti e più di 35 sono stati uccisi.



A Falluja un reporter della tv Nbc ha assistito all'uccisione di un iracheno ferito e disarmato, abbandonato in una moschea per 24 ore. L’episodio è stato filmato.

Fin dove arriverà la barbarie?

Il primo di questi episodi è stato commesso da un gruppo di terroristi.

Ma come si chiama chi spara sui nemici feriti e disarmati?

Si può dire che il secondo episodio è stato commesso da un singolo individuo che ora sarebbe sotto inchiesta, che durante le guerre episodi di questo tipo accadono sempre, perché c’è sempre chi si lascia condurre da istinti primordiali. Certo, ma ad ogni modo un esercito di occupazione si comporterà sempre come tale e sarà vissuto come tale, ciò che non giustifica comunque il terrorismo che fa vittime tra i civili, di qualsiasi nazione e idea politica siano e qualunque attività svolgano.