giovedì 21 novembre 2013

L'abolizione delle Province tra propaganda e complicazioni

E’ di stamani la notizia che tra gli emendamenti presentati dal governo alla legge di stabilità al vaglio del Parlamento c’è anche quello che prevede di  bloccare le elezioni provinciali (peraltro mi domando quanti andrebbero a votare) con una norma che proroga i poteri dei commissari straordinari, ciò al fine di evitare di rinnovare gli organi di enti che tutti dicono di voler abolire  anche se farlo sembra piuttosto complicato.

Ho comunque l’impressione che l’abolizione delle Province sia una proposta che è stata data in pasto a noi cittadini, giustamente stanchi degli sprechi di certi enti (ma le Regioni, come ci dicono le cronache, hanno sprecato, e malversato di più), a scopo di propaganda, come se da questa riforma dovesse passare il risanamento del paese e dell’economia. La stessa cosa che sta avvenendo per la vendita del patrimonio pubblico (è stato proposto anche di privatizzare le spiagge!) e delle partecipazioni statali in Eni, Enel e quant’altro, e per la privatizzazione dei servizi pubblici. Sempre meno Stato, è la ricetta dei liberisti estremi, perché lo Stato è la causa di tutti i mali, invece privato è bello. Poi forse non è proprio o sempre così, ma certamente ci sono delle  ragioni che portano a sostenere certe tesi, e stanno nel cattivo funzionamento della Pubblica Amministrazione e negli sprechi che poi in larga parte sono una conseguenza della corruzione che è il vero male da sradicare.

Tornando all’abolizione delle Province c’è anche da considerare che probabilmente il risparmio che ne deriverebbe per la spesa pubblica non sarebbe esaltante. In questo studio dell’Istituto Leoni si calcola un risparmio di circa 1,9 miliardi di euro l'anno considerando oltre ai 130 milioni di euro per gli emolumenti dei politici, che non sarebbero poi gran cosa, le spese di funzionamento  e quelle per il controllo sugli enti. Altri parlano di circa 800 milioni. C'è tuttavia da considerare che si aboliscono gli enti ma non le funzioni che sarebbero attribuite ai Comuni  e continuerebbero pertanto ad avere dei costi,  compresi quelli del personale che parimenti sarebbe assegnato ai Comuni (anche se nel tempo ci sarebbero delle riduzioni).  Si tratterebbe certo di una razionalizzazione, ma che non darebbe frutti immediati, anche perché si dovrebbero mettere nel conto le spese per il processo di riorganizzazione. Se a ciò si aggiunge che si vogliono istituire le Città Metropolitane, peraltro previste dalla Costituzione dopo la riforma del 2001, avrei dei dubbi sull’entità del risparmio.

Altro luogo comune che circola è che per abolire le Province basta volerlo  e che se tutti i tentativi falliscono è ovvio che ciò dipende dagli interessi dei politici. E’ evidente che ci sono degli interessi, se non altro quelli di chi perderebbe l’incarico e di chi non potrebbe più candidarsi alle prossime elezioni provinciali, per non dire che ogni ente è un veicolo attraverso il quale passano la corruzione e il clientelismo in cui tanti sguazzano. Tuttavia se si vuole dare una giusta informazione, bisogna anche dire che le Province sono previste dalla Costituzione (art.114) e che pertanto si possono abolire solo con una legge costituzionale. E a questo proposito mi domando se il Parlamento attuale sia in grado di fare una riforma costituzionale. Non mi pare. Francamente non so se il famoso comitato dei saggi abbia prodotto qualcosa, mi pare tuttavia che il livello culturale sia sempre più basso e che le leggi, anche quelle ordinarie, e i decreti legge, che vengono sfornati in quantità industriale, non siano ben fatti e neanche ben scritti. Poi sarebbe necessaria anche una certa capacità di mediare tra le varie istanze, ma questi  si scannano per tutto, tranne che quando si tratta di fare gli interessi loro.

Si sa che l'abolizione delle Province è questione annosa. Se ne comincia a parlare già dopo l’istituzione delle Regioni negli anni ’70 del secolo scorso. Tuttavia dopo poco ci se ne dimentica e alle 95 province esistenti, 91 dalla nascita della Repubblica, e 4 aggiunte nel 1974, se ne aggiungono ben 15 tra il 1992 e 2009, per un totale di 110.

La questione torna di moda negli ultimi anni e in particolare con la crisi economica sembra divenire la panacea di ogni male.

Ci prova il governo Monti con D.L. 6 dicembre 2011, convertito nella L. 22 dicembre 2011, n. 214, che prevede la devoluzione secondo leggi regionali o statali dei poteri delle Province a Comuni e Regioni entro fine 2012, data poi portata a dicembre 2013, e il mantenimento delle Province come esclusivo organo di coordinamento intercomunale, con i Consigli nominati dai Consigli dei Comuni che ne fanno parte e ridotti a non più di 10 membri, l’abolizione della Giunta, il Presidente della Provincia eletto dal Consiglio Provinciale nel suo seno, come avveniva prima delle riforme del 1993.

Con il successivo decreto-legge 6 luglio 2012 n. 95, convertito  nella legge 7 agosto 2012, n. 135, sempre il governo Monti attribuisce al  Consiglio dei Ministri il riordino delle province sulla base di requisiti minimi, da individuarsi nella dimensione territoriale e nella popolazione residente in ciascuna provincia, definisce una procedura che coinvolge nel riordino le Regioni, stabilisce che le funzioni amministrative e conseguentemente risorse e personale vadano ai Comuni,  istituisce le Città metropolitane  e stabilisce infine che le Regioni a Statuto Speciale adeguino agli stessi principi i propri ordinamenti. 

Si ricorderanno poi sui quotidiani le cartine d’Italia con le varie ipotesi di riordino e le polemiche varie. A mio parere pessima legge da cui non so quanti risparmi sarebbero potuti derivare, tenuto conto anche delle spese di riorganizzazione. Una soluzione probabilmente peggiore dell'attuale,  per non parlare di chi avrebbe pescato nel torbido dei localismi che, a torto o a ragione, fanno parte della nostra storia (solo pensare di accorpare Pisa con Livorno!) .

Ma in data 3 luglio 2013 la Corte Costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale dei provvedimenti di riordino e riduzione del numero delle province italiane, per una questione di metodo; viene infatti contestato l'utilizzo del decreto legge come strumento normativo applicato a una riforma organica e di sistema dell'istituzione provinciale.

Ci riprova il governo Letta con il DDL Delrio. Qui il testo e qui una sintesi video.  Il DDL prevede solo 2 enti a elezione diretta, Regioni e Comuni, mentre le Province, in attesa di essere abolite con legge costituzionale, diventano enti di area vasta con organi costituiti dai Sindaci dell'area che prestano gratuitamente la loro attività. Il progetto prevede anche le Città Metropolitane in numero di 10, corrispondenti alle nostre 10 più grandi città, e le Unioni di Comuni, in sostanza piccoli Comuni che si associano per lo svolgimento di determinate funzioni. Anche gli organi delle Città Metropolitane e delle Unioni di Comuni sono costituite dai Sindaci delle aree interessate che svolgono la loro attività a titolo gratuito.

Questa volta lo stop viene dalla Corte dei Conti che boccia il disegno di legge. Nell’audizione sul provvedimento, che risale a qualche giorno fa, il giudizio della Sezione autonomie della magistratura contabile è netto: basse possibilità di risparmio per gli enti, una volta che il disegno di legge dovesse entrare in vigore a tutti gli effetti, e rischio di confusione amministrativa nell’indefinito periodo di transizione.

Ancora una volta hanno agito gli interessi di chi non vuole l’abolizione delle Province? Certo l’UPI (Unione Province Italiane) è contraria e indica le stesse motivazioni per le quali la Corte dei Conti ha bocciato il progetto.

E' ovvio che nel breve periodo i risparmi sarebbero stati minimi con la compresenza di Province e Città Metropolitane, seppur enti di secondo livello senza spese per gli organi politici, spese queste che comunque risultano meno significative di quelle di funzionamento.

A mio parere però il problema vero non sono tanto le Province in sé, ma le inefficienze e gli sprechi che non riguardano solo gli emolumenti dei politici. Poi ben venga l'eliminazione, con un'efficiente ridistribuzione delle funzioni ai Comuni, ma non si dia ad intendere che con questa riforma, come con le privatizzazioni, si risolvano i problemi del paese.


Quello che deve finire sono gli eccessi di generosità nelle uscite non solo delle Province, ma anche dei Comuni e soprattutto delle Regioni. E se è il caso di abolire le Province, che dire delle Regioni? Era proprio necessario costituirne 20? Quel che è certo è che hanno speso malamente i loro soldi (dalle ambasciate a inutili e risibili iniziative) e addirittura li hanno distratti a fini privati (ci hanno comprato di tutto, dai lecca-lecca, alle scacciacani, ai pranzi di nozze dei politici), ma nessuno parla di abolirle.

E che dire infine degli altri enti inutili sopravvissuti alla riforma del 1970? E se ne creano pure di nuovi che assumono personale per non fare niente. Emblematico il caso dell'AIP (Autorità Idrica Pugliese) che purtroppo non è il solo.

Nessun commento:

Posta un commento

giovedì 21 novembre 2013

L'abolizione delle Province tra propaganda e complicazioni

E’ di stamani la notizia che tra gli emendamenti presentati dal governo alla legge di stabilità al vaglio del Parlamento c’è anche quello che prevede di  bloccare le elezioni provinciali (peraltro mi domando quanti andrebbero a votare) con una norma che proroga i poteri dei commissari straordinari, ciò al fine di evitare di rinnovare gli organi di enti che tutti dicono di voler abolire  anche se farlo sembra piuttosto complicato.

Ho comunque l’impressione che l’abolizione delle Province sia una proposta che è stata data in pasto a noi cittadini, giustamente stanchi degli sprechi di certi enti (ma le Regioni, come ci dicono le cronache, hanno sprecato, e malversato di più), a scopo di propaganda, come se da questa riforma dovesse passare il risanamento del paese e dell’economia. La stessa cosa che sta avvenendo per la vendita del patrimonio pubblico (è stato proposto anche di privatizzare le spiagge!) e delle partecipazioni statali in Eni, Enel e quant’altro, e per la privatizzazione dei servizi pubblici. Sempre meno Stato, è la ricetta dei liberisti estremi, perché lo Stato è la causa di tutti i mali, invece privato è bello. Poi forse non è proprio o sempre così, ma certamente ci sono delle  ragioni che portano a sostenere certe tesi, e stanno nel cattivo funzionamento della Pubblica Amministrazione e negli sprechi che poi in larga parte sono una conseguenza della corruzione che è il vero male da sradicare.

Tornando all’abolizione delle Province c’è anche da considerare che probabilmente il risparmio che ne deriverebbe per la spesa pubblica non sarebbe esaltante. In questo studio dell’Istituto Leoni si calcola un risparmio di circa 1,9 miliardi di euro l'anno considerando oltre ai 130 milioni di euro per gli emolumenti dei politici, che non sarebbero poi gran cosa, le spese di funzionamento  e quelle per il controllo sugli enti. Altri parlano di circa 800 milioni. C'è tuttavia da considerare che si aboliscono gli enti ma non le funzioni che sarebbero attribuite ai Comuni  e continuerebbero pertanto ad avere dei costi,  compresi quelli del personale che parimenti sarebbe assegnato ai Comuni (anche se nel tempo ci sarebbero delle riduzioni).  Si tratterebbe certo di una razionalizzazione, ma che non darebbe frutti immediati, anche perché si dovrebbero mettere nel conto le spese per il processo di riorganizzazione. Se a ciò si aggiunge che si vogliono istituire le Città Metropolitane, peraltro previste dalla Costituzione dopo la riforma del 2001, avrei dei dubbi sull’entità del risparmio.

Altro luogo comune che circola è che per abolire le Province basta volerlo  e che se tutti i tentativi falliscono è ovvio che ciò dipende dagli interessi dei politici. E’ evidente che ci sono degli interessi, se non altro quelli di chi perderebbe l’incarico e di chi non potrebbe più candidarsi alle prossime elezioni provinciali, per non dire che ogni ente è un veicolo attraverso il quale passano la corruzione e il clientelismo in cui tanti sguazzano. Tuttavia se si vuole dare una giusta informazione, bisogna anche dire che le Province sono previste dalla Costituzione (art.114) e che pertanto si possono abolire solo con una legge costituzionale. E a questo proposito mi domando se il Parlamento attuale sia in grado di fare una riforma costituzionale. Non mi pare. Francamente non so se il famoso comitato dei saggi abbia prodotto qualcosa, mi pare tuttavia che il livello culturale sia sempre più basso e che le leggi, anche quelle ordinarie, e i decreti legge, che vengono sfornati in quantità industriale, non siano ben fatti e neanche ben scritti. Poi sarebbe necessaria anche una certa capacità di mediare tra le varie istanze, ma questi  si scannano per tutto, tranne che quando si tratta di fare gli interessi loro.

Si sa che l'abolizione delle Province è questione annosa. Se ne comincia a parlare già dopo l’istituzione delle Regioni negli anni ’70 del secolo scorso. Tuttavia dopo poco ci se ne dimentica e alle 95 province esistenti, 91 dalla nascita della Repubblica, e 4 aggiunte nel 1974, se ne aggiungono ben 15 tra il 1992 e 2009, per un totale di 110.

La questione torna di moda negli ultimi anni e in particolare con la crisi economica sembra divenire la panacea di ogni male.

Ci prova il governo Monti con D.L. 6 dicembre 2011, convertito nella L. 22 dicembre 2011, n. 214, che prevede la devoluzione secondo leggi regionali o statali dei poteri delle Province a Comuni e Regioni entro fine 2012, data poi portata a dicembre 2013, e il mantenimento delle Province come esclusivo organo di coordinamento intercomunale, con i Consigli nominati dai Consigli dei Comuni che ne fanno parte e ridotti a non più di 10 membri, l’abolizione della Giunta, il Presidente della Provincia eletto dal Consiglio Provinciale nel suo seno, come avveniva prima delle riforme del 1993.

Con il successivo decreto-legge 6 luglio 2012 n. 95, convertito  nella legge 7 agosto 2012, n. 135, sempre il governo Monti attribuisce al  Consiglio dei Ministri il riordino delle province sulla base di requisiti minimi, da individuarsi nella dimensione territoriale e nella popolazione residente in ciascuna provincia, definisce una procedura che coinvolge nel riordino le Regioni, stabilisce che le funzioni amministrative e conseguentemente risorse e personale vadano ai Comuni,  istituisce le Città metropolitane  e stabilisce infine che le Regioni a Statuto Speciale adeguino agli stessi principi i propri ordinamenti. 

Si ricorderanno poi sui quotidiani le cartine d’Italia con le varie ipotesi di riordino e le polemiche varie. A mio parere pessima legge da cui non so quanti risparmi sarebbero potuti derivare, tenuto conto anche delle spese di riorganizzazione. Una soluzione probabilmente peggiore dell'attuale,  per non parlare di chi avrebbe pescato nel torbido dei localismi che, a torto o a ragione, fanno parte della nostra storia (solo pensare di accorpare Pisa con Livorno!) .

Ma in data 3 luglio 2013 la Corte Costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale dei provvedimenti di riordino e riduzione del numero delle province italiane, per una questione di metodo; viene infatti contestato l'utilizzo del decreto legge come strumento normativo applicato a una riforma organica e di sistema dell'istituzione provinciale.

Ci riprova il governo Letta con il DDL Delrio. Qui il testo e qui una sintesi video.  Il DDL prevede solo 2 enti a elezione diretta, Regioni e Comuni, mentre le Province, in attesa di essere abolite con legge costituzionale, diventano enti di area vasta con organi costituiti dai Sindaci dell'area che prestano gratuitamente la loro attività. Il progetto prevede anche le Città Metropolitane in numero di 10, corrispondenti alle nostre 10 più grandi città, e le Unioni di Comuni, in sostanza piccoli Comuni che si associano per lo svolgimento di determinate funzioni. Anche gli organi delle Città Metropolitane e delle Unioni di Comuni sono costituite dai Sindaci delle aree interessate che svolgono la loro attività a titolo gratuito.

Questa volta lo stop viene dalla Corte dei Conti che boccia il disegno di legge. Nell’audizione sul provvedimento, che risale a qualche giorno fa, il giudizio della Sezione autonomie della magistratura contabile è netto: basse possibilità di risparmio per gli enti, una volta che il disegno di legge dovesse entrare in vigore a tutti gli effetti, e rischio di confusione amministrativa nell’indefinito periodo di transizione.

Ancora una volta hanno agito gli interessi di chi non vuole l’abolizione delle Province? Certo l’UPI (Unione Province Italiane) è contraria e indica le stesse motivazioni per le quali la Corte dei Conti ha bocciato il progetto.

E' ovvio che nel breve periodo i risparmi sarebbero stati minimi con la compresenza di Province e Città Metropolitane, seppur enti di secondo livello senza spese per gli organi politici, spese queste che comunque risultano meno significative di quelle di funzionamento.

A mio parere però il problema vero non sono tanto le Province in sé, ma le inefficienze e gli sprechi che non riguardano solo gli emolumenti dei politici. Poi ben venga l'eliminazione, con un'efficiente ridistribuzione delle funzioni ai Comuni, ma non si dia ad intendere che con questa riforma, come con le privatizzazioni, si risolvano i problemi del paese.


Quello che deve finire sono gli eccessi di generosità nelle uscite non solo delle Province, ma anche dei Comuni e soprattutto delle Regioni. E se è il caso di abolire le Province, che dire delle Regioni? Era proprio necessario costituirne 20? Quel che è certo è che hanno speso malamente i loro soldi (dalle ambasciate a inutili e risibili iniziative) e addirittura li hanno distratti a fini privati (ci hanno comprato di tutto, dai lecca-lecca, alle scacciacani, ai pranzi di nozze dei politici), ma nessuno parla di abolirle.

E che dire infine degli altri enti inutili sopravvissuti alla riforma del 1970? E se ne creano pure di nuovi che assumono personale per non fare niente. Emblematico il caso dell'AIP (Autorità Idrica Pugliese) che purtroppo non è il solo.

Nessun commento:

Posta un commento