giovedì 18 luglio 2013

Burocrazia: causa di tutti i mali?

E ci risiamo con la burocrazia colpevole quasi di tutto. Anche nel caso Kazakistan la colpa è tutta dei burocrati, Alfano non ne sapeva niente, non ha colpe e pertanto non si deve dimettere. In sostanza non conta niente, ma questo già si sapeva.

Anche oggi sul Corriere della Sera nell’articolo a firma di Antonio Polito dal titolo “Burocrazia forte e politica debole”, partendo da quest’ultima vergognosa vicenda si sostiene che sempre più spesso l’ultima parola ce l’hanno i burocrati che tra troppe norme utilizzano quella che corrisponde a quanto hanno già deciso. La politica è sempre più debole e - siccome in natura il vuoto si riempie - più forti sono diventati i “mandarini” che controllano la macchina statale.



Per burocrazia, dal francese bureau – ufficio - connesso al greco krátos - potere - , si intende l’insieme di apparati e di persone ai quali è affidata, a diversi livelli, l’amministrazione dello Stato e degli Enti Locali, ovvero la Pubblica Amministrazione,   ma ormai il termine ha assunto un connotato spregiativo più vicino al significato letterale ovvero potere dei funzionari che ricoprono gli uffici (burocrati) che si associa immediatamente all’inefficienza e allo spreco.

Non siamo capaci di varare un piano credibile di radicale riduzione delle uscite, quindi ci affidiamo all'aumento della pressione fiscale, ma in questo modo non usciremo mai dalla crisi affermavano Alberto Alesina e Francesco Giavazzi in un articolo del Corriere della Sera apparso il 12 luglio scorso e intitolato  Perché è difficile tagliare la spesa - L'insuperabile tabù italiano” .

Riprendendo in parte il discorso di Giavazzi e Alesina, nell’articolo dal titolo La ragnatela del non fare - il peso abnorme della burocrazia, uscito il 14 luglio sempre sul Corriere, Angelo Panebianco affermava che “la società affonda lentamente, imprigionata in un triangolo della morte ai cui tre lati stanno, rispettivamente, le tasse, già altissime, in aumento, la spesa pubblica in aumento e la burocratizzazione, anch'essa in aumento” e su quest’ultima l’autore appuntava la sua attenzione, definendola ragno velenoso che crea una ragnatela normativa di norme ingarbugliate in continua proliferazione che appaiono prive di scopo, razionalità e logica e che soffocano la società, ma che servono all’autoriproduzione degli apparati burocratici e danno lavoro anche a ogni tipo di mediatori professionali (avvocati, commercialisti, eccetera) che sguazzano in regole e procedure complesse e nei contenzioni che ne derivano.

Infine ancora sul Corriere il 15 luglio, Pietro Ichino in un articolo dal titolo Lettera sulla burocrazia - gli ostacoli che non aiutano il cittadino onesto “La mia odissea per pagare una tassa” , ci raccontava la sua odissea di cittadino che deve registrare un contratto concludendo che la burocrazia che affligge il nostro Paese fa molto danno ai cittadini, ma forse ne fa ancora di più allo Stato stesso che la produce.

In sintesi l’apparato burocratico sarebbe la causa di ogni male. E la politica ne sarebbe un po’ complice, un po’ ostaggio.

Ora, pur conoscendo le magagne e i limiti dell’apparato amministrativo, ritengo che il discorso tenda a individuare un generico capro espiatorio nell’apparato burocratico, alleggerendo le colpe della politica che di questo apparato sarebbe quasi vittima al pari dei cittadini.

Mi domando tuttavia se sia il caso di spezzare una lancia in favore della Pubblica Amministrazione, insomma se sia il caso di difenderla o meno. Anche se ormai nell’immaginario collettivo dipendente pubblico significa parassita, mi domando se sia sempre vero.

Nessuno credo possa negare che nel nostro paese si facciano troppe leggi e soprattutto confuse, farraginose, spesso scritte anche male, con continui rimandi ad altre leggi, per non parlare di quelle obsolete, ma purtroppo ancora vigenti, che nessuno si ricorda di abrogare, e se in questa giungla legislativa è difficile districarsi per i giuristi, figurarsi per i cittadini non esperti della materia. Nessuno credo possa negare che ci siano burocrati e anche professionisti esterni che nella confusione ci  sguazzano, e che nell’apparato amministrativo, sia centrale che locale, ci siano tanti, troppi, incapaci.

Tuttavia in primo luogo occorre distinguere tra chi redige le troppe e confuse normative che ci complicano la vita e chi, nelle varie amministrazioni statali e locali, le deve applicare e che spesso ne è parimenti vittima, allo stesso modo dei cittadini. Anche all’interno delle amministrazioni capita di domandarsi chi mai le scriva: i giuristi che sono in parlamento e nel governo, con il supporto degli apparati centrali? Certo talvolta qualche funzionario "zelante" ci mette del suo.

Panebianco propone di eliminare il predominio dei giuristi nell'amministrazione, anzi afferma che “occorrerebbe impedire a chiunque di accedere ai livelli medio-superiori di una qualsivoglia amministrazione pubblica nazionale o locale (e anche delle magistrature amministrative, dal Consiglio di Stato alla Corte dei conti) se dotato solo di una formazione giuridica. Servirebbero invece specialisti addestrati a valutare l'impatto - effetti e costi economici e sociali - di qualunque norma e procedura. Specialisti nel semplificare anziché nel complicare. Meglio se potessero anche vantare lunghi soggiorni di formazione presso altre amministrazioni pubbliche europee e occidentali.”
Concordo con il fatto che oggi siano necessarie altre competenze che si aggiungano a quelle giuridiche, ma spero che a qualcuno non venga in mente di eliminare la formazione giuridica di base, considerato che negli ultimi anni le università hanno sfornato una marea di laureati in materie più o meno evanescenti che da qualche parte devono essere collocati e purtroppo ho l’impressione che finiscano nelle amministrazioni a fare ulteriori danni, nei limiti delle attuali possibilità di assunzione delle stesse.

Con lo scopo, almeno dichiarato, di rimediare a certi malanni della pubblica amministrazione, dall’inefficienza, agli abusi, all’opacità, negli ultimi anni abbiamo anche assistito al varo di ulteriori numerose normative. C’è da domandarsi tuttavia se le norme di legge per evitare e, nel caso, colpire comportamenti illeciti, illegittimi o anche solo scorretti non ci fossero anche prima, se non bastasse applicare il misconosciuto art. 97 della Costituzione sul buon andamento e l’imparzialità della Pubblica Amministrazione, le norme del Codice Penale sui reati dei pubblici funzionari, la legge 241/90 e successive modifiche sul procedimento amministrativo, e se il profluvio delle norme recentemente varate in materia, che Panebianco definisce l’industria della lotta agli abusi, siano veramente la soluzione.
Ho dei dubbi perché sono convinta che furbi e disonesti continueranno a prosperare finché non avranno la certezza di essere colpiti, e prima ancora emarginati, e a tal fine non è necessaria qualche legge in più ma la certezza dell’applicazione delle legge e l’ostracismo da parte degli onesti.

In secondo luogo se di fronte a qualsiasi disservizio la colpa è solo del responsabile amministrativo o tecnico di turno, che però generalmente non viene rimosso, mentre il politico può cadere dalle nuvole, affermare di non saperne niente, mi domando cosa ci stia a fare  quest’ultimo e per quale motivo il cittadino contribuente lo dovrebbe mantenere nel suo incarico? E la colpa in eligendo e in vigilando non si considerano?

L’apparato amministrativo è costituito di dipendenti assunti con concorso pubblico per partecipare al quale è stato chiesto il possesso di determinati requisiti valutati anche con apposite prove di esame. Lo Stato e le amministrazioni locali avrebbero tutto l’interesse ad assumere le migliori professionalità sul mercato,  ma purtroppo è storia risaputa, anche se voglio sperare che non sia la norma, che ci sono concorsi truccati, che si assumono amici e parenti spesso incompetenti del politico di turno, oppure persone cresciute negli apparati di partito, in genere yes man/woman chiamati a lavorare più per i politici che per la collettività, e che a questi si fa fare carriera anche se non hanno le qualità per farla. Ma in tali casi chi è responsabile di decisioni e comportamenti illeciti, illegittimi, vessatori o anche solo inutili e comunque dannosi per il Paese e per i cittadini? Il burocrate, certo, ma anche, e in primis, chi ce l’ha messo. Non si può parlare solo di complicità, ma di responsabilità diretta della politica. E ancora di chi è la responsabilità se un funzionario non si dimostra all’altezza dei compiti assegnati e non viene rimosso, ma talvolta addirittura promosso? Non è mica vero che nella Pubblica Amministrazione non si possa licenziare se ci sono i giusti motivi. C’è solo da domandarsi perché non lo si faccia, se non in casi rarissimi. Il clientelismo è il vero tarlo, forse ancora di più degli abusi e della corruzione, che poi spesso ne sono logica conseguenza.

In terzo luogo credo che si debba sempre distinguere invece di fare di tutta l’erba un fascio.

Come ho detto è innegabile la presenza di pessimi burocrati, generalmente molto vicini ai politici che ci li hanno messi, ma non mancano persone capaci ed esperte. Il problema è che spesso questi ultimi sono malvisti e attaccati da politici e collaboratori. Altri, per tema di essere emarginati se non fanno ciò che il politico vuole o credono voglia, si limitano a vivacchiare cadendo spesso nella depressione che è nemica della creatività oltre che dell’efficienza.

Quello su cui tutti apparentemente concordano è che è necessaria una riforma della Pubblica Amministrazione, ma ero giovanissima e già se ne parlava.  Non so se e quale sia la ricetta giusta allo scopo, ma  è certo che in primo luogo necessita un generale cambiamento di mentalità che ha a che fare con l’orgoglio dell’appartenenza, la consapevolezza di servire la collettività oltre che ovviamente con l’etica di base che riguarda tutti, cittadini, pubblica amministrazione e politica. E’ il degrado etico della società, di cui anche l’apparato amministrativo fa parte, che deve essere arginato.

Se sia ancora possibile fare qualcosa di concreto e risolutivo è difficile dirlo. Fare analisi, individuare le cause delle magagne è importante, cercare capri espiatori molto meno, ma quello che veramente ci vuole, oltre ovviamente a individuare e applicare delle soluzioni concrete, è una spinta al rinascimento. Occorre ridare orgoglio al paese e anche ai suoi apparati, valorizzare la professionalità e il merito, emarginare furbi e incapaci, assumere solo i migliori e valorizzarli. Dubito però che la politica, che si regge sulle clientele, voglia e possa farlo, altrimenti l’avrebbe fatto da tempo.

Purtroppo in genere grandi cambiamenti seguono a eventi disastrosi. Siamo sull’orlo del baratro, dobbiamo aspettare di esserci caduti definitivamente per rialzarci e impostare la società su basi più etiche?


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giovedì 18 luglio 2013

Burocrazia: causa di tutti i mali?

E ci risiamo con la burocrazia colpevole quasi di tutto. Anche nel caso Kazakistan la colpa è tutta dei burocrati, Alfano non ne sapeva niente, non ha colpe e pertanto non si deve dimettere. In sostanza non conta niente, ma questo già si sapeva.

Anche oggi sul Corriere della Sera nell’articolo a firma di Antonio Polito dal titolo “Burocrazia forte e politica debole”, partendo da quest’ultima vergognosa vicenda si sostiene che sempre più spesso l’ultima parola ce l’hanno i burocrati che tra troppe norme utilizzano quella che corrisponde a quanto hanno già deciso. La politica è sempre più debole e - siccome in natura il vuoto si riempie - più forti sono diventati i “mandarini” che controllano la macchina statale.



Per burocrazia, dal francese bureau – ufficio - connesso al greco krátos - potere - , si intende l’insieme di apparati e di persone ai quali è affidata, a diversi livelli, l’amministrazione dello Stato e degli Enti Locali, ovvero la Pubblica Amministrazione,   ma ormai il termine ha assunto un connotato spregiativo più vicino al significato letterale ovvero potere dei funzionari che ricoprono gli uffici (burocrati) che si associa immediatamente all’inefficienza e allo spreco.

Non siamo capaci di varare un piano credibile di radicale riduzione delle uscite, quindi ci affidiamo all'aumento della pressione fiscale, ma in questo modo non usciremo mai dalla crisi affermavano Alberto Alesina e Francesco Giavazzi in un articolo del Corriere della Sera apparso il 12 luglio scorso e intitolato  Perché è difficile tagliare la spesa - L'insuperabile tabù italiano” .

Riprendendo in parte il discorso di Giavazzi e Alesina, nell’articolo dal titolo La ragnatela del non fare - il peso abnorme della burocrazia, uscito il 14 luglio sempre sul Corriere, Angelo Panebianco affermava che “la società affonda lentamente, imprigionata in un triangolo della morte ai cui tre lati stanno, rispettivamente, le tasse, già altissime, in aumento, la spesa pubblica in aumento e la burocratizzazione, anch'essa in aumento” e su quest’ultima l’autore appuntava la sua attenzione, definendola ragno velenoso che crea una ragnatela normativa di norme ingarbugliate in continua proliferazione che appaiono prive di scopo, razionalità e logica e che soffocano la società, ma che servono all’autoriproduzione degli apparati burocratici e danno lavoro anche a ogni tipo di mediatori professionali (avvocati, commercialisti, eccetera) che sguazzano in regole e procedure complesse e nei contenzioni che ne derivano.

Infine ancora sul Corriere il 15 luglio, Pietro Ichino in un articolo dal titolo Lettera sulla burocrazia - gli ostacoli che non aiutano il cittadino onesto “La mia odissea per pagare una tassa” , ci raccontava la sua odissea di cittadino che deve registrare un contratto concludendo che la burocrazia che affligge il nostro Paese fa molto danno ai cittadini, ma forse ne fa ancora di più allo Stato stesso che la produce.

In sintesi l’apparato burocratico sarebbe la causa di ogni male. E la politica ne sarebbe un po’ complice, un po’ ostaggio.

Ora, pur conoscendo le magagne e i limiti dell’apparato amministrativo, ritengo che il discorso tenda a individuare un generico capro espiatorio nell’apparato burocratico, alleggerendo le colpe della politica che di questo apparato sarebbe quasi vittima al pari dei cittadini.

Mi domando tuttavia se sia il caso di spezzare una lancia in favore della Pubblica Amministrazione, insomma se sia il caso di difenderla o meno. Anche se ormai nell’immaginario collettivo dipendente pubblico significa parassita, mi domando se sia sempre vero.

Nessuno credo possa negare che nel nostro paese si facciano troppe leggi e soprattutto confuse, farraginose, spesso scritte anche male, con continui rimandi ad altre leggi, per non parlare di quelle obsolete, ma purtroppo ancora vigenti, che nessuno si ricorda di abrogare, e se in questa giungla legislativa è difficile districarsi per i giuristi, figurarsi per i cittadini non esperti della materia. Nessuno credo possa negare che ci siano burocrati e anche professionisti esterni che nella confusione ci  sguazzano, e che nell’apparato amministrativo, sia centrale che locale, ci siano tanti, troppi, incapaci.

Tuttavia in primo luogo occorre distinguere tra chi redige le troppe e confuse normative che ci complicano la vita e chi, nelle varie amministrazioni statali e locali, le deve applicare e che spesso ne è parimenti vittima, allo stesso modo dei cittadini. Anche all’interno delle amministrazioni capita di domandarsi chi mai le scriva: i giuristi che sono in parlamento e nel governo, con il supporto degli apparati centrali? Certo talvolta qualche funzionario "zelante" ci mette del suo.

Panebianco propone di eliminare il predominio dei giuristi nell'amministrazione, anzi afferma che “occorrerebbe impedire a chiunque di accedere ai livelli medio-superiori di una qualsivoglia amministrazione pubblica nazionale o locale (e anche delle magistrature amministrative, dal Consiglio di Stato alla Corte dei conti) se dotato solo di una formazione giuridica. Servirebbero invece specialisti addestrati a valutare l'impatto - effetti e costi economici e sociali - di qualunque norma e procedura. Specialisti nel semplificare anziché nel complicare. Meglio se potessero anche vantare lunghi soggiorni di formazione presso altre amministrazioni pubbliche europee e occidentali.”
Concordo con il fatto che oggi siano necessarie altre competenze che si aggiungano a quelle giuridiche, ma spero che a qualcuno non venga in mente di eliminare la formazione giuridica di base, considerato che negli ultimi anni le università hanno sfornato una marea di laureati in materie più o meno evanescenti che da qualche parte devono essere collocati e purtroppo ho l’impressione che finiscano nelle amministrazioni a fare ulteriori danni, nei limiti delle attuali possibilità di assunzione delle stesse.

Con lo scopo, almeno dichiarato, di rimediare a certi malanni della pubblica amministrazione, dall’inefficienza, agli abusi, all’opacità, negli ultimi anni abbiamo anche assistito al varo di ulteriori numerose normative. C’è da domandarsi tuttavia se le norme di legge per evitare e, nel caso, colpire comportamenti illeciti, illegittimi o anche solo scorretti non ci fossero anche prima, se non bastasse applicare il misconosciuto art. 97 della Costituzione sul buon andamento e l’imparzialità della Pubblica Amministrazione, le norme del Codice Penale sui reati dei pubblici funzionari, la legge 241/90 e successive modifiche sul procedimento amministrativo, e se il profluvio delle norme recentemente varate in materia, che Panebianco definisce l’industria della lotta agli abusi, siano veramente la soluzione.
Ho dei dubbi perché sono convinta che furbi e disonesti continueranno a prosperare finché non avranno la certezza di essere colpiti, e prima ancora emarginati, e a tal fine non è necessaria qualche legge in più ma la certezza dell’applicazione delle legge e l’ostracismo da parte degli onesti.

In secondo luogo se di fronte a qualsiasi disservizio la colpa è solo del responsabile amministrativo o tecnico di turno, che però generalmente non viene rimosso, mentre il politico può cadere dalle nuvole, affermare di non saperne niente, mi domando cosa ci stia a fare  quest’ultimo e per quale motivo il cittadino contribuente lo dovrebbe mantenere nel suo incarico? E la colpa in eligendo e in vigilando non si considerano?

L’apparato amministrativo è costituito di dipendenti assunti con concorso pubblico per partecipare al quale è stato chiesto il possesso di determinati requisiti valutati anche con apposite prove di esame. Lo Stato e le amministrazioni locali avrebbero tutto l’interesse ad assumere le migliori professionalità sul mercato,  ma purtroppo è storia risaputa, anche se voglio sperare che non sia la norma, che ci sono concorsi truccati, che si assumono amici e parenti spesso incompetenti del politico di turno, oppure persone cresciute negli apparati di partito, in genere yes man/woman chiamati a lavorare più per i politici che per la collettività, e che a questi si fa fare carriera anche se non hanno le qualità per farla. Ma in tali casi chi è responsabile di decisioni e comportamenti illeciti, illegittimi, vessatori o anche solo inutili e comunque dannosi per il Paese e per i cittadini? Il burocrate, certo, ma anche, e in primis, chi ce l’ha messo. Non si può parlare solo di complicità, ma di responsabilità diretta della politica. E ancora di chi è la responsabilità se un funzionario non si dimostra all’altezza dei compiti assegnati e non viene rimosso, ma talvolta addirittura promosso? Non è mica vero che nella Pubblica Amministrazione non si possa licenziare se ci sono i giusti motivi. C’è solo da domandarsi perché non lo si faccia, se non in casi rarissimi. Il clientelismo è il vero tarlo, forse ancora di più degli abusi e della corruzione, che poi spesso ne sono logica conseguenza.

In terzo luogo credo che si debba sempre distinguere invece di fare di tutta l’erba un fascio.

Come ho detto è innegabile la presenza di pessimi burocrati, generalmente molto vicini ai politici che ci li hanno messi, ma non mancano persone capaci ed esperte. Il problema è che spesso questi ultimi sono malvisti e attaccati da politici e collaboratori. Altri, per tema di essere emarginati se non fanno ciò che il politico vuole o credono voglia, si limitano a vivacchiare cadendo spesso nella depressione che è nemica della creatività oltre che dell’efficienza.

Quello su cui tutti apparentemente concordano è che è necessaria una riforma della Pubblica Amministrazione, ma ero giovanissima e già se ne parlava.  Non so se e quale sia la ricetta giusta allo scopo, ma  è certo che in primo luogo necessita un generale cambiamento di mentalità che ha a che fare con l’orgoglio dell’appartenenza, la consapevolezza di servire la collettività oltre che ovviamente con l’etica di base che riguarda tutti, cittadini, pubblica amministrazione e politica. E’ il degrado etico della società, di cui anche l’apparato amministrativo fa parte, che deve essere arginato.

Se sia ancora possibile fare qualcosa di concreto e risolutivo è difficile dirlo. Fare analisi, individuare le cause delle magagne è importante, cercare capri espiatori molto meno, ma quello che veramente ci vuole, oltre ovviamente a individuare e applicare delle soluzioni concrete, è una spinta al rinascimento. Occorre ridare orgoglio al paese e anche ai suoi apparati, valorizzare la professionalità e il merito, emarginare furbi e incapaci, assumere solo i migliori e valorizzarli. Dubito però che la politica, che si regge sulle clientele, voglia e possa farlo, altrimenti l’avrebbe fatto da tempo.

Purtroppo in genere grandi cambiamenti seguono a eventi disastrosi. Siamo sull’orlo del baratro, dobbiamo aspettare di esserci caduti definitivamente per rialzarci e impostare la società su basi più etiche?


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