Sono
triste, per i cani e i gatti abbandonati
che non vuole nessuno, per l’orchestra della televisione greca che non suonerà
più, per la bellezza ovunque oltraggiata, specialmente nel nostro paese che ne
possiede una buona percentuale, per le bandiere italiane sfilacciate di cui si
parlava stamani in un articolo del Corriere e che sono sintomo dello
sfilacciamento di un paese che non crede in se stesso e nei propri simboli, per
la libertà calpestata in piazza Taksim a
Istanbul e in buona parte del mondo, e per il mio corpo che manda segnali che
non mi piacciono e di cui ho paura (probabilmente si tratta del solito attacco
di ipocondria, ma chi me lo assicura?). Non so se questo sia l’ordine giusto dei motivi per cui essere triste, ma lo lascio così come
mi è venuto.
C'è
qualcosa cui appigliarsi per superare la tristezza? Forse solo la natura e
l'arte, possono fornirci un antidoto. Ci sarebbe forse anche l'amore, ma mi ci
soffermerò un'altra volta.
Riflettevo
su questi concetti dopo aver visto l'ultimo film di Paolo Sorrentino, “La grande bellezza”.
Cosa dire? Nell'immediato restano impresse le splendide immagini di Roma, dei suoi monumenti
e dei suoi palazzi, ma per queste sarebbe bastato un buon documentarista, la cafonaggine di tante feste e l'estenuante
lentezza. Del resto la lentezza è una caratteristica dei film di Sorrentino, o
almeno così mi è parso, almeno ricordando "Le conseguenze dell'amore"
che non mi è piaciuto e "Il Divo" che invece mi è piaciuto molto. Per
quest'ultima opera qualcuno ha chiamato in causa l’opera di Diderot, “Il nipote
di Rameau”, che avrebbe dato origine al personaggio del mondano, cinico,
perditempo, che disprezza sé e gli altri. Ma se il nipote di Rameau non aveva
un lavoro e in sostanza faceva il parassita, ma erano altri tempi, il
protagonista del film è un giornalista di successo, Jep Gambardella, interpretato
dall'ottimo Toni Servillo, che in gioventù aveva dimostrato un certo talento
letterario, pubblicando un libro, “L’apparato umano”, accolto favorevolmente
dalla critica, talento che tuttavia ha vanificato per pigrizia, preferendo
diventare il re dei mondani, frequentare la Roma che fa tendenza, passando il
tempo in feste e gossip, annoiandosi, senza un progetto, se non il culto di sé,
del proprio cinismo e della propria misantropia. Niente è importante, tutto è
un trucco. L’unica ancora di salvezza forse è la bellezza, che si manifesta
nell’arte, nei monumenti, negli indimenticabili scorci della città eterna.
Non
ricordo bene la frase di Celine tratta dal “Viaggio al termine della notte” che
apre il film ma mi pare questa:
Viaggiare, è proprio
utile, fa lavorare l'immaginazione.
Tutto il resto è
delusione e fatica.
Il viaggio che ci è
dato è interamente immaginario.
Ecco la sua forza.
Va dalla vita alla
morte.
Uomini, bestie, città
e cose, è tutto inventato.
Forse
potrei leggere il romanzo che aspetta da tanti anni. C’è chi dice sia
illeggibile. Vedremo.
A
proposito di città eterna, sto leggendo un romanzo sulla fondazione di Roma “Il
ribelle” di Emma Pomilio. Francamente non mi sta prendendo molto. Non si
capisce bene quale sia il personaggio centrale, se l’etrusco in fuga Larth o
Romolo. Ormai lo finisco e subito dopo attacco “Lui è tornato”, romanzo
dell’esordiente Timur Vermes su un ipotetico risveglio di Hitler nella Berlino di oggi. E poi magari Celine.
L'ultimo
romanzo che mi ha entusiasmato invece è “City”
(anni senza fine) di Clifford D.Simak, ove si parla di un
futuro in cui l'umanità è scomparsa, emigrata su Giove, e la specie dominante
sulla Terra è quella canina. Per i cani l'uomo è una specie mitologica di cui
narrare davanti al focolare, quando le
fiamme bruciano alte e il vento spira da Nord. Essi si pongono domande su
cosa fosse esattamente un essere umano, come fossero fatte le città e cosa
fosse la guerra. Forse
ci scriverò qualcosa.
Certi
romanzi e certi film mi intrigano e sono spunto per delle riflessioni che però
al momento di metterle sulla carta ( o meglio su un file.doc, perché ormai
sulla carta al massimo ci metto il diario delle paturnie, che, anche a detta
degli psicologi, sembra venga meglio su carta) svaniscono come d’incanto. Devo
ammettere che non ho talento o forse non lo esercito. Troppo pigra. E non sono
riuscita nemmeno a essere come Jep
Gambardella , il protagonista del film di cui sopra.
A
proposito di film ieri sera mi sono persa “Bright Star” film del 2009, scritto
e diretto dalla regista neozelandese, Jane Campion, basato sugli ultimi tre
anni di vita del poeta inglese John Keats. Devo riuscire a trovarlo, perché
penso mi sarebbe piaciuto.
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