Stiamo vivendo una grave crisi
economica, sociale, politica, ma anche una crisi etica, di valori.
Il governo si concentra
sull'economia e per farla ripartire sembra non trovare altra soluzione che i tagli
alla spesa pubblica e nuove tasse. Sui primi sono tutti d'accordo, purché
colpiscano gli altri. Basta fare un giro su Facebook. Secondo alcuni la panacea
di ogni male sarebbe licenziare. Gente arrabbiatissima, licenzierebbero il
mondo, ma soprattutto i dipendenti degli enti pubblici, che, si sa, sono troppi
e tutti lavativi. Probabilmente sono anche troppi, alcuni sono pure lavativi, ma
molti sono male utilizzati.
Molti si indignano giustamente
per gli sprechi della politica, e di motivi ce ne sono. Addirittura con il
finanziamento pubblico ci si compravano i diamanti!
Però pochi si indignano per il
fatto che lo stipendio di un grande manager è di 300/400 volte superiore a uno
stipendio medio, per non parlare delle mega liquidazioni da cifre astronomiche.
Quel che è certo è che gli
stipendi medi sia nel pubblico che nel privato sono i più bassi d'Europa,
mentre il costo del lavoro è relativamente alto, anche perché nel privato siamo
costretti a competere con i paesi del terzo mondo. Le nostre imprese sono
realtà piccole, talvolta piccolissime, gestioni familiari, ove non c'è capacità
di innovazione tecnologica, non si spende nella ricerca, non si valorizza il
merito (ho l'impressione che anche nel privato si preferisca gli "yes
man" o i figli e i parenti scemi cui comunque un posto in azienda va
assicurato), e così non si riesce a imporre al mondo prodotti innovativi,
tranne che in pochi settori d'eccellenza, e subiamo la concorrenza dei paesi
emergenti che finiranno per superarci, se non lo hanno già fatto, appunto anche
per il più basso costo della loro manodopera. Le grandi imprese sono
pochissime, in passato mi sembra ce ne fossero di più, poi non si sa che fine
abbiano fatto e perché. Governi di destra e di sinistra hanno poi sfasciato la
scuola sempre più facile, non selettiva, che sforna sempre più incompetenti. La
classe dirigente, politica e imprenditoriale, non è all'altezza della
situazione, quando non è anche corrotta e collusa con le mafie.
Certo la crisi è mondiale e non
si sa quando, se, e come ne usciremo.
Il paradigma
neoliberista invoca la riduzione della spesa degli Stati, l'aumento della
flessibilità del mercato di lavoro, l'ulteriore liberalizzazione del commercio
dei beni e servizi, le politiche di austerity che
acuiscono il conflitto sociale, il salvataggio delle banche a tutti i
costi, la fiducia nei mercati, cioè in quella finanza che ha creato il
disastro, tutte misure che serviranno solo a produrre recessione e non
risolveranno il problema, anzi.
Jeremy Rifkin afferma che la
crisi deriva dal problema energetico e propugna la terza rivoluzione industriale
basata sulle energie rinnovabili (tra l'altro dice l'Italia potrebbe essere nelle energie
rinnovabili quello che l'Arabia Saudita è stata per il petrolio).
Comincia comunque
a diffondersi una sensibilità diversa, alternativa al
neoliberismo, secondo la quale è necessario porre delle regole alla finanza
globale in nome di una società più equa.
Così nel
febbraio 2011, in Francia nasce un'associazione "Les économistes
atterés", tradotto in economisti sgomenti, o forse meglio
letteralmente atterriti.
Essi considerano che le basi
teoriche di queste politiche neoliberiste debbano essere messe in discussione,
perché basate su false certezze. Per loro sono
possibili altre scelte. Sostengono che sono le diseguaglianze sociali a determinare
l'abbassamento spaventoso della domanda interna che causa la chiusura delle fabbriche e che, unita alla delocalizzazione della
rimanente produzione industriale in paesi dove il lavoro costa meno e le
imposte sono inferiori o nulle, produce deindustrializzazione, disoccupazione,
soprattutto tra le giovani generazioni, oltre i limiti naturali e sopportabili e
quindi ulteriore impoverimento in un circolo vizioso interminabile.
Per
questo scopo hanno pubblicato un manifesto, appunto "Le manifeste deséconomistes atterrés" (Il manifesto degli economisti sgomenti o forse
atterriti) ove non solo si rilevano dieci false
certezze del paradigma neoliberista, ma si propongono ventidue controproposte.
Nessun commento:
Posta un commento