Bran ( Romania - Transilvania) - Il castello di Dracula |
Ed eccomi di ritorno. Il blog riapre dopo una interruzione di una quindicina di giorni. In viaggio non ho mai letto i giornali, né visto la televisione (negli alberghi si prendeva il secondo canale italiano, ma non ne ho mai avuto il tempo, né la voglia) . Così non mi è giunto nulla di quanto avvenuto in questo periodo, a prescindere dalla bandana di Berlusconi, di cui ho saputo telefonando a casa, che non mi sembra da commentare (al di là del fatto che le battute sulle segretarie, sugli amanti della moglie e le corna nella foto di gruppo a conclusione di un consesso internazionale mi sono parse più gravi), ma che, come al solito, per tutto quanto riguarda il personaggio ha diviso l’opinione pubblica, tra inorriditi ed estasiati (tra gli inorriditi, mi dicono, sembrerebbe da annoverare anche la moglie di Blair il cui sorriso appariva molto forzato o imbarazzato). Del rapimento del giornalista e pubblicitario italiano Baldoni ho saputo invece nel viaggio di rientro.
Viaggio in Romania - Impressioni
Sono stata in Romania, in Transilvania, alla ricerca delle suggestioni del romanzo gotico di Bram Stoker (il nostro viaggio si chiamava “Dracula tour”), difficilmente rintracciabili tuttavia sotto il sole di agosto ed in mezzo a turisti accaldati, e ho trovato un paese che può vagamente somigliare all’Italia di 50 anni fa, senza tuttavia le speranze di sviluppo che la caratterizzavano e che si espressero poi nel “boom” economico degli anni ’60. Qui tra i residuati dell’epoca di Ceausescu, dalle mega fabbriche abbandonate alle poche infrastrutture ancora malamente funzionanti, sembrano essersi arenate le speranze sorte dalle giornate del dicembre del 1989 che posero fine al regime. Si potrebbe parlare di paesaggio bucolico, se non fosse che ciò significa miseria per gli abitanti, caratterizzato com’è da una campagna immensa ed uniforme, coltivata in gran parte a granoturco, che sarebbe ricca (la Romania in passato fu il secondo granaio d’Europa) ma non può dare quanto potrebbe in mancanza di strumenti adeguati di coltivazione (ad esempio, non ho visto traccia di impianti di irrigazione), pecore e vacche al pascolo, intere famiglie su carretti trainati da cavalli, ancora normali mezzi di trasporto. Le strade sono strette e dissestate (non ci sono autostrade, né superstrade) e, nelle campagne, addirittura sterrate. Il pullman procedeva a sbalzi, facendoci venire in mente le diligenze del Far West o le montagne russe. Nelle città, antichi palazzi e case tipiche avrebbero urgente bisogno di restauri, così come i bellissimi monasteri ortodossi ricchi di affreschi. Nelle periferie orribili agglomerati popolari, copiati anche da noi, bisogna riconoscere, ma completamente degradati seppur dotati di parabola (davanti ad un edificio malridotto ne ho contate cinque). I negozi sono discretamente forniti, anche se di prodotti di scarsa qualità, ma i cittadini che, all’epoca di Ceausescu, avevano i soldi e non trovavano niente da comprare, ora che potrebbero comprare non hanno i soldi, tenuto conto che guadagnano l’equivalente di circa 200 euro al mese, anche se i generi di prima necessità costano pochissimo rispetto ai nostri standard.
Un euro corrisponde a circa 40.000 lei. In una settimana ho cambiato solo 70 Euro e sono tornata a casa con quattro sacchi di paccottiglia che sembrava fossi stata al supermercato. La spesa più grossa: una tovaglia, presunta ricamata a mano, del valore di 1.200.000 lei (30 euro). Appena varcata la frontiera ungherese nel ristorante dove abbiamo fatto il primo pranzo in Romania (dopo il pagamento di apposito balzello a due distinti doganieri che altrimenti avrebbero continuato a chiederci e restituirci i passaporti per ore) si sono subito affacciati venditori di artigianato locale in legno ad offrirci oggetti (a mio parere orrendi) ad un prezzo massimo di 5 euro ciascuno (al ritorno siamo ripassati dallo stesso posto e, benché non fosse ancora mezzogiorno, i venditori sono ricomparsi poco dopo il nostro arrivo svendendo anche a 3 Euro ciascun pezzo). Una cena costa meno di una colazione da noi, anche se per la cena tipica alla quale mi sono fatta trascinare dalla pubblicità sapiente del nostro accompagnatore, pur avendo deciso dopo esperienze analoghe in altri viaggi, di non prendere più in considerazione simili proposte, abbiamo sborsato 18 Euro, che non è certo una gran cifra, ma lo è rispetto ai prezzi dei ristoranti romeni e soprattutto in relazione al fatto che non abbiamo mangiato quasi niente e quel niente faceva schifo. Ci avrà guadagnato di più la famiglia di contadini che ci ospitava (in realtà gestori di agriturismo) o l’agenzia che ha organizzato il “tour”? Dimenticavo che la cena è stata anche allietata da musica tipica e da c.d. contadini in costumi locali che ci hanno coinvolto nelle danze. Una noia mortale. In compenso uscendo dalla cena per raggiungere il pullman abbiamo fatto un breve tratto di strada (sassosa) completamente al buio, a parte la luce dei telefonini e di qualche pila, e così ho visto tante stelle quante non ne vedevo da tempo e anche la “via lattea” che da noi, a causa dell’inquinamento luminoso, è ormai visibile solo in montagna. Per concludere la serata, non particolarmente brillante il nostro accompagnatore italiano (avevamo anche una guida romena e ovviamente l’autista, anch’egli romeno, ma di stanza in Italia quale dipendente dell’agenzia turistica) che forse aveva bevuto un po’ troppa grappa, ci ha deliziato con barzellette noiosissime e scontatissime su Berlusconi (a cominciare da quella della caduta dai tacchi) e sugli omosessuali (peraltro nel gruppo ne avevamo una coppietta o forse due) tanto che quando qualcuno ha chiesto di fermare il pullman perché c’era uno che aveva bisogno di vomitare ho creduto che volessero alludere al livello dell’intrattenimento. Ma non era così. Qualcuno aveva veramente ecceduto in vino e grappa. Sembra peraltro che il vino facesse schifo, anche se, a mio a parere, insieme alla grappa è stata l’unica cosa decente della cena (un rosé frizzantino con un sapore un po’ strano, ma tutto sommato piacevole).
Il giorno dopo di prima mattinata siamo andati a vedere il centro storico di Sibiu, città fondata dai Sassoni nel XII° secolo con il nome di Hermannstadt, che ha conservato quasi per intero l’impianto medievale con palazzi e bastioni in stile gotico anche se non mancano case signorili e palazzi in stile barocco austro-ungarico. Si tratta nel complesso di una cittadina che potrebbe essere un gioiello, in particolare la piazza piccola, dove sorgevano le botteghe di pellicciai, conciatori, orafi, con un bell’insieme di vecchie case del XV° e XVI° secolo, ma come si può vedere ha bisogno di urgenti restauri. Purtroppo ho avuto l’impressione che non si stia facendo molto. Qua è là c’è qualche cantiere, ma niente a che vedere con quanto è avvenuto in altri paesi dell’ex-impero sovietico dopo la caduta del muro di Berlino. Qui sembra che dopo la rimozione e l’uccisione di Ceausescu non ci siano stati molti cambiamenti. Certo il regime non esiste più, nel senso che è possibile esprimere liberamente le proprie idee, ci sono i giornali ed i partiti, si fanno le elezioni, ma al governo è Ion Iliescu ex uomo d’apparato, relegato in secondo piano negli ultimi tempi di Ceausescu, che, ad un tratto, si è trasformato in virtuoso democratico (come spesso accade, non solo in Romania). A quanto ci ha raccontato la guida romena (certo è solo una voce, e, dato il tipo di viaggio, non ho avuto modo di parlare con altri locali) non è cambiato molto, le infrastrutture sono quelle dei tempi di Ceausescu e poco è stato fatto dopo anche in termini di semplice manutenzione, molte fabbriche hanno chiuso, perché non più competitive in Europa (del resto il regime non aveva mai investito in innovazione e pertanto come potrebbe essere competitivo oggi ciò che era già obsoleto 15 anni fa) come la grande fabbrica siderurgica che si trova nei pressi di Hunedoara, che dava lavoro a circa 30.000 dipendenti, di cui oggi funziona solo una piccola parte, tanto che capannoni e ciminiere oramai in disuso sono stati definiti “museo della siderurgia”.
Il seguito a domani, tenuto conto dell’ora.
Baldoni assassinato?
Infine due parole su Baldoni considerato che purtroppo Al Jazeera ha dato notizia del suo assassinio affermando altresì di essere in possesso del video dell’esecuzione, anche se mancano ancora conferme ufficiali.
Alcuni giornali hanno descritto il giornalista come un “rambo” che ama provare forti emozioni, perché passava le ferie in zone ad alto rischio e poi ne pubblicava i resoconti su riviste e giornali, o ne scriveva in diretta sul suo blog (Bloghdad). Ma a mio parere questo può ascriversi ad un bisogno di conoscere, di capire le motivazioni degli avvenimenti e di coloro che ne sono protagonisti, che poi dovrebbe essere l’essenza del giornalismo, anche se lui lo faceva per diletto, impegnandovi le proprie ferie, essendo il suo lavoro principale quello di pubblicitario, sembra piuttosto affermato. Inoltre in Iraq era andato anche come volontario della Croce Rossa e allora sono forse “rambo” tutti coloro che si spingono in zone a rischio per portare aiuti umanitari? Non tutti lo fanno e certamente chi lo fa deve avere anche una buona dose di coraggio e altruismo, e, perché no, talvolta, un certo bisogno di protagonismo, ma ciò non ha niente a che vedere con la ricerca di forti emozioni e con il fascino della guerra, tenuto peraltro conto che le une si possono provare dedicandosi a sport estremi e l’altro facendo il mercenario, ma non è il caso di Baldoni. Ho visionato il suo Bloghdad e ho trovato degli articoli simpatici, come quello sul guerrigliero del Chiapas, Marcos, dal titolo “Culo e carisma”, altri un po’ più scontati e improntati ad un voluto “gigionismo”, come quelli sulla “fica” o “figa” che dir si voglia. Forse è stato un po’ avventato, probabilmente si sentiva o appariva troppo sicuro di se stesso, come si è visto anche nel video trasmesso da “Al Jazeera”, in una situazione in cui altri sarebbero stati forse un po’ più tetri, tenuto conto che si trattava della propria pelle, avrà senz’altro contato anche su una certa dose di simpatia e sulle sue capacità oratorie, dalle quali i terroristi non si sono fatti impressionare, considerato che per loro un occidentale infedele, oltretutto cittadino di una nazione para belligerante, è comunque un nemico da annientare, qualunque sia il motivo per cui si trova in Iraq e qualunque siano le sue opinioni personali che, comunque, per quanto contrarie a quelle del governo in carica, non sono certo quelle dei terroristi.
Non so se si possa parlare di resistenza irachena. Certamente non è resistenza la barbarie perpetrata ogni giorno da questi terroristi non tanto contro le forze di occupazione, ma anche e soprattutto contro stranieri inermi e contro i propri stessi concittadini, e il cui scopo non è di cacciare gli americani per rendere libero il proprio paese ma di cacciarli per instaurare un regime che sarebbe più barbaro e oppressivo di quello di Saddam Hussein.
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